Zverev, Nadal e l’empatia
Cos’è uno iato? Uno iato si ha quando due vocali si separano e per questioni di accento non fanno parte della stessa sillaba.
In quell’istante del secondo set, c’è stato uno iato: tra la continuità del gioco la spezzatura del dolore; tra la sequenza dei tanti rimbalzi e il soffocamento dell’ultimo che si perde più lontano.
Alexander Zverev ha ceduto come in genere fanno i campioni: quando era già arrivato oltre: oltre tutto quello che poteva dare e oltre la soglia del dolore; abbandonando una partita senza perderla, trascinando con sé in quella specie di oblio anche il suo avversario, Rafael Nadal, che anche lui ha saputo reagire nella sola maniera consentitagli dalla sua grandezza: dispiacendosi perché quella variante impazzita aveva appena reciso il filo dell’ennesima sfida con se stesso, oltre che con Zverev; con l’ennesima soglia da tentare di spostare un passo ancora più avanti, sulla via della consapevolezza delle sue persistenti capacità, dei sopraggiunti limiti, che sono essi stessi una forma di conoscenza.
Era ovvio, persino scontato il dolore di Zverev, senza che si potesse capire del tutto dove stesse finendo l’acuta sofferenza fisica e dove iniziasse l’abbattimento per la delusione della quale avrebbe preso coscienza col passare delle ore e il manifestarsi delle diagnosi. Il fatto è che, dolore a parte, non sembrava meno abbattuto lo spagnolo, per la resa forzata di un così degno avversario.
Si chiama empatia, la compartecipazione emotiva al “sentire” di un altro; ciò che ti avvicina al suo mondo, anche se in quegli stessi istanti se lo sta giocando proprio contro di te. E, nel momento in cui la sfida si è conclusa anzitempo, attraverso un linguaggio differente lo sport ha scritto un’altra sua grande pagina.