/

Zach Randolph, dominatore dentro e fuori dal campo

Inizia la lettura
/
11 mins read

Nell’ultimo match prima dell’All Star Game Weekend è stato battuto l’ennesimo record: 14 minuti e 33 secondi, questo il tempo necessario a Nikola Jokic per siglare la tripla doppia più veloce di sempre. 30 punti, 15 rimbalzi, 17 assist e una capacità disarmante nel costruire bel gioco su un campo da basket. E diciamocelo, vedere un lungo che tratta la palla con questa sensibilità, tanto povero di atletismo quanto ricco tecnicamente, è uno spettacolo sempre più raro nell’odierna NBA, un piacere per gli occhi. E ripensando ad uno spettacolo simile non può non venire in mente un giocatore ormai a fine carriera, ora in una delle franchigie più sconclusionate della Lega. Un giocatore dalle condizioni fisiche rivedibili, ma capace di portare a spasso tutti i lunghi NBA. Un giocatore unico come Zach Randolph.

La sua unicità sta prima di tutto nel modo con cui si presenta in campo: da sempre con qualche kiletto di troppo, con un atteggiamento all’apparenza svogliato e quella faccia da classico bonaccione. Anche se al suo ingresso nella Lega non si era proprio distinto per la sua mansuetudine. Del resto, dopo il Draft del 2001 si era ritrovato nel Portland Jail Blazers, non proprio il miglior contesto possibile. Il Jail al posto del Trail non è un refuso ma un marchio indelebile: quella squadra era piena di gente che senza un contratto NBA avrebbe campato di pane e delinquenza. Tra i tanti, come dimenticare Damon Stoudamire e Bonzi Wells che organizzavano loschi traffici con i peggiori criminali della città? O Qyntel Woods che gestiva incontri clandestini tra cani? O peggio ancora Ruben Patterson, accusato di abusi sulla moglie e sulla tata?  Un ambiente dove uno come Rasheed Wallace sembrava uno stinco di santo.

E ovviamente anche il buon Z-Bo non era da meno. In quel periodo non solo viene multato più volte dalla franchigia per non aver mantenuto il peso forma impostogli, ma viene anche arrestato per uso di alcolici prima dell’età consentita. Del resto anche lui doveva contribuire al record dei Blazers: 17 giorni, questo il periodo più lungo passato senza che un giocatore di Portland sia sospeso in qualche modo.

Ma se Zach è unico, non lo è solo per il comportamento fuori dal campo. Perché dopo i primi fisiologici mesi d’adattamento, ai Blazers inizia a mostrare tutto il suo potenziale. Oltre 20 punti e 9 rimbalzi di media, ma soprattutto un tipo di gioco alquanto anomalo. La stazza non si discute, ma l’elevazione è ridicola: come fa a competere con gente che salta il doppio di lui? Semplice: in difesa ha capacità preveggenti innate, riesce a capire a capire dove vada a finire il pallone prima degli avversari, mentre in attacco manda letteralmente in tilt i difensori a suon di rollate, giochi in post e mid-jumper

 Quelle stesse doti che, seppur in modo acerbo, aveva già messo in mostra a tredici anni sui campetti di Marion. Il basket gli scorreva già allora nelle vene, come è normale che sia per un bambino dell’Indiana, là dove la palla a spicchi è una religione. Fu un allenatore squattrinato che passava di là, tale Mitch Sturm, ad accorgersi di tutto quel ben di Dio. E di certo non voleva andasse sprecato, così si avvicinò a quei ragazzi e gli propose di creare una squadra locale. Sarà così che il talento di Zach, supportato dai consigli del coach, emergerà in tutto il suo splendore.

Ma non dimentichiamocelo, Randolph è unico tanto in campo quanto fuori. E se nei suoi primi anni nella Lega coi Blazers ne aveva combinate parecchie, c’è da sperare che prima fosse un santerellino? Assolutamente no. Del resto viene da una famiglia difficile, senza una figura paterna e in condizioni economiche molto precarie. E così non solo si rende protagonista di diverse bravate a scuola, ma una volta viene pizzicato a rubare pantaloni in un mercato, venendo poi punito con trenta giorni in un carcere minorile. E negli anni alla High School di Marion le cose non migliorano, anzi. Un giorno la polizia gli piomba in casa e lo trova con 3 armi automatiche, che lui aveva acquistato da un altro ragazzo poco raccomandabile con l’intenzione di rivenderle e guadagnare un po’ di soldi per la sua famiglia. Risultato? Sospensione e stagione finita.

E le sue continue bravate, unite ad un comportamento spesso indolente, non lo aiutano nemmeno in NBA. Tant’è che malgrado le ottime prestazioni e la vittoria nel 2004 del MIP i Blazers decidono di scambiarlo nell’estate del 2007, anche a causa dell’arrivo di lunghi come Lamarcus Aldridge e Greg Oden. Ai Knicks, la sua nuova squadra, le aspettative nei suoi confronti sono altissime, ma malgrado le buonissime medie Z-Bo non convince e viene spedito l’anno dopo ai Los Angeles Clippers. Anche qui i 20 punti e i quasi 10 rimbalzi di media non basteranno a migliorare la sua reputazione di giocatore tanto forte quanto inconsistente e svogliato. Una cattiva nomea che viene per giunta ingigantita dopo un pugno rifilato Louis Amundson, durante un match contro Phoenix.

 

La sua carriera sembra al capolinea. Ma come si fa a snobbare un giocatore con la sua padronanza dei fondamentali? E’ proprio questo il ragionamento che spinge i Grizzlies a puntare su di lui. Un rischio che si rivelerà un vero e proprio affare per la franchigia. Perché Zach, forse anche per la tranquillità di una piazza come quella di Memphis, trova una maturità mai vista prima. E di conseguenza non solo mette su prestazioni impressionanti, ma si afferma come uno dei lunghi più forti della Lega.

Insieme a Marc Gasol, un altro lungo dalle mani d’oro – e dalla condizione fisica opinabile -, forma una coppia devastante sotto le plance. In una NBA sempre più incentrata sul run&gun, sulle spaziature e sul tiro da tre, i Grizzlies si fanno strada nella Western Conference grazie al loro gioco d’altri tempi. E nel 2011 a farne le spese sono gli Spurs di Popovich, che malgrado il raggiungimento della prima piazza della Conference vengono subito eliminati ai playoff da Gasol e soci. Mattatore della serie sarà proprio il nostro Z-Bo, che sigla 31 punti – di cui 17 solo nell’ultimo quarto – e trascina così Memphis alla prima vittoria nei playoff della sua storia.

 E due anni dopo i Grizzlies targati Randolph & Gasol sfiorano l’impresa. Prima eliminano i Clippers, poi fanno fuori i Thunder. Le magie di Randolph esaltano i tifosi, che ora si godono la prima Finale di Conference della loro squadra. E neanche lo sweep subìto per mano degli Spurs ridimensionerà l’affetto del pubblico verso il nostro pupillo.

Due anni dopo arriverà un’altra stagione di altissimo livello, terminata in semifinale di Conference solo al cospetto degli Warriors futuri campioni. Finchè alla fine della scorsa stagione le strade di Randolph e dei Grizzlies si sono divise: il piano della franchigia di svecchiare la squadra non poteva comprendere un nuovo contratto per un giocatore ormai trentaseienne. Eppure il pubblico di Memphis continua ad adorare Z-Bo, tant’è che i Grizzlies hanno annunciato il ritiro della sua canotta numero 50.

 Nessuno, nel lontano 2009, avrebbe scommesso una lira su Zach Randolph. Lui ha ripagato quel nessuno con 7 apparizioni ai Playoff in 8 anni con Memphis, una finale di Conference, due convocazioni all’All Star Game e una selezione nell’All NBA-Third Team. Ma soprattutto, lo ha ripagato con i suoi letali movimenti sotto canestro, poesie vive inimmaginabili in un corpo così massiccio, un ossimoro in carne e ossa. Tutto questo per dire che, malgrado continui a sfoderare prestazioni niente male sul parquet coi suoi Kings, già sappiamo che il giorno del suo ritiro rimpiangeremo amaramente il buon Z-Bo. Lui, il suo talento e la sua unicità, dentro e fuori dal campo.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articoli recenti a cura di