“Yes, we Kimi!”. Nel week-end del Gran Premio di Gran Bretagna la notizia migliore in casa Ferrari è stata la conferma ufficiale di Raikkonen al fianco di Vettel anche per il 2017. A parte le classiche voci sulle possibili alternative (Perez, Gutierrez, Sainz jr. e Bottas), l’annuncio godeva i favori del pronostico poi rispettato dalla scelta di Maranello, lungimirante e condivisibile per più di un motivo.
In primis, i risultati. Se nella vita contano i fatti, nello sport parlano i meriti sul campo. E dopo dieci gare, sulle ventuno complessive, Raikkonen è terzo in classifica mondiale (primo dei piloti non Mercedes) con 106 punti, otto in più del compagno di squadra, nonché prima guida del team, Sebastian Vettel. Esulando dalle penalizzazioni a tavolino per interventi sulla vettura (tipo la sostituzione del cambio), nelle qualifiche il confronto fra i due è in perfetta parità (5 a 5) e a favore del tedesco soltanto il numero dei podi (5 a 4). Vero, Vettel è avanti anche nei ritiri (3 a 2), ma in quanto a rotture meccaniche il bilancio è 1 a 1 (Australia, power-unit, Raikkonen; Bahrain, motore, Vettel).
Già quest’analisi sarebbe dunque più che sufficiente a dimostrare come l’ultimo campione del mondo con il Cavallino Rampante (2007) meriti di corrervi ancora per un anno. Con buona pace dei suoi detrattori più accaniti che, se hanno diritto al dissenso come avvenuto in settimana con interventi sulla stampa (di settore e non), devono però motivarlo con ragioni oggettive e genuine. Non puerili – simpatia/antipatia personale – o pregiudiziali – “È troppo anziano”. Ma se ottiene risultati, lo si manda via perché ha trentasette anni? – che rivelano superficialità valutativa o, a pensar male, interessi secondari come la sponsorizzazione di corridori con i quali si ha un rapporto di amicizia o, peggio, la destabilizzazione dell’ambiente Ferrari.
Ma la conferma di Raikkonen è una scelta intelligente anche per il delicato momento sportivo della scuderia modenese. La realtà dice che il 2016 si sta rivelando deludente rispetto alle attese del presidente Marchionne, che dopo il Gran Premio di Russia (1 maggio), quando era comunque chiara la difficoltà a colmare il gap prestazionale con la forte Mercedes, non poneva limiti alla stagione: “Vogliamo tutto quello che possiamo beccarci, e credo che ce lo meritiamo. Siamo solo alla quarta gara, ne abbiamo ancora diciassette da fare, è un mondo completamente aperto”. D’accordo, l’ambizione è fondamentale per affermarsi. Ma è imprudente fissare un traguardo elevato quando ancora regna l’incognita sulla disponibilità effettiva dei mezzi per raggiungerlo. Sul piano tecnico, la SF-16-H era un anno zero poiché molto differente dalla vettura del 2015 e non si poteva conoscere in anticipo la sua competitività. Dunque, era meglio maggior cautela negli obiettivi per evitare di generare aspettative che, se non corrisposte nei risultati, avrebbero generato nervosismo e stress con il passare del tempo. Come puntualmente sta avvenendo, basta soffermarsi sugli errori di strategia in Canada e in Austria, a causa di un deficit di carico aerodinamico emerso in circuiti tecnici e veloci, Silverstone e Barcellona, dove la macchina ha denunciato una lentezza in uscita di curva che le ha impedito non solo di insidiare le Mercedes, ma anche di competere con la Red Bull, trionfante in Spagna nell’unica gara dove non hanno vinto le Frecce d’Argento.
A proposito. Appena hanno aggiunto cavalli al motore, i “bibitari” hanno davvero messo le ali. In pista, sono la seconda forza del campionato. E se la Ferrari non migliorerà, a breve lo saranno anche in classifica. A metà di una stagione tanto problematica, logico che Maranello guardi anche al futuro. Per il 2017 ci sarà molto da lavorare anche perché cambieranno le dimensioni degli pneumatici (più grandi del 25%) e occorrerà trovare il giusto equilibrio con il telaio per ottenere prestazioni elevate fin da subito. Un lavoro per il quale è fondamentale disporre di un pilota bravo nella gestione delle gomme (e Raikkonen in questo è maestro, come ha ribadito domenica superando Perez nel finale nonostante entrambi avessero gli stessi giri con lo stesso tipo di mescola) e capace anche di sviluppare la vettura in ottica 2018, quando – così si mormora – il Cavallino sarà pronto per un concreto assalto all’iride. Pertanto, chi meglio di uno al sesto anno di militanza (cioè Raikkonen) potrebbe garantire un contributo simile?
Prendere un altro pilota significherebbe, da una parte, rallentare questa crescita (la squadra dovrebbe conoscerne il metodo di lavoro) e, dall’altra, mandare allo sbaraglio il neoarrivato perché costretto a calarsi, e anche in fretta, in una realtà nuova. Senza contare che, a eccezione di Verstappen (blindato dalla Red Bull), Sainz jr. (anch’egli in orbita Mateschitz) e Wehrlein (uomo Mercedes), non ci sono potenziali campioni all’orizzonte.
Allora meglio tenersi ciò che si ha. E anche ben stretto. Soprattutto se dotato di qualità morali che un giovane, proprio per la baldanza figlia dell’anagrafe, rischia di non avere. Raikkonen è autentico uomo-squadra. Mai una polemica contro il team per i problemi della macchina, mai un dissidio con Vettel che, diversamente, lo ha sempre elogiato come il miglior compagno di squadra possibile.
Alla Ferrari con ogni probabilità hanno tenuto conto anche di questi fattori, trasmettendo all’esterno un segnale chiaro sulla compattezza dell’ambiente e sul desiderio di uscire dalle difficoltà tutti assieme e affidandosi alle certezze del momento. Come Raikkonen, che in questo 2016 ha confermato il suo valore e che saprà farsi trovare preparato, al pari del team, qualora un domani si ritrovasse a competere per il titolo. Un’ipotesi remota, ma che non dovrebbe stupire. Nigel Mansell vinse il suo unico mondiale a trentanove anni, uno in meno di quelli di Iceman nel 2017. E questo è un altro motivo per dire: “Yes, we Kimi!”.
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