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Wilma Rudolph, la Gazzella Nera che conquistò Berruti e l’Italia
Livio e Wilma. La storia di due campioni che potrebbe essere la trama di un romanzo. Una foto li ritrae insieme, mano nella mano nei giorni delle Olimpiadi di Roma del 1960. Entrambi giovanissimi: lui ventunenne; lei appena ventenne. Lui è Livio Berruti, velocista piemontese; lei è Wilma Rudolph, giovanissima promessa afroamericana dell’atletica leggera. Quell’anno, alle Olimpiadi romane, entrambi scriveranno pagine di storia dello sport mondiale. Livio Berruti conquisterà la medaglia d’oro nella finale dei 200 m piani, piazzandosi davanti a tutti con il tempo di 20’5 (suo record personale). Lei, Wilma Rudolph vincerà invece più o meno tutto quello che c’era da vincere: conquisterà la medaglia d’oro prima nella finale dei 100 m; poi quella dei 200; infine la staffetta 4X100.
La Gazzella Nera
Da quel momento in poi, Wilma Rudolph divenne per tutti la “gazzella nera”. Roma cadde ai suoi piedi e molti italiani rimasero letteralmente stregati dalla velocità delle sue gambe e da quei suoi occhi neri. Tra questi anche lo stesso Livio Berruti, che molti anni più tardi (nel 2010) dichiarerà al Corriere della Sera, di non aver mai “consumato” quell’amore nutrito per la Rudolph. Per colpa, disse, di un giovanissimo pugile americano destinato a diventare leggenda. Sul quale Wilma, a quanto pare, aveva messo gli occhi. Si chiamava ancora Cassius Clay. Prima che, qualche anno più tardi, dopo essersi convertito all’Islam, vorrà farsi chiamare Muhammad Ali. Fu per “colpa” di Clay che Livio e Wilma non andarono oltre quell’immagine che li ritrae insieme come fossero proprio due fidanzati.
Ma Livio non si scorderà mai di Wilma. Così come neanche molti italiani. Lei, che proprio quell’anno in Italia vinse tutto e poi non vinse più niente. Semplicemente perché volle fare altro. Preferì dedicarsi all’insegnamento che continuare la carriera di velocista. Quella stessa carriera che molti anni prima era stata messa a repentaglio dalle precarie condizioni di salute. Per colpa di una poliomelite che Wilma aveva contratto da bambina. E che aveva rischiato di farla rimanere zoppa per sempre. Ma proprio nella gara più importante, Wilma seppe bruciare sul tempo anche l’avversario più pericoloso: la morte. E finalmente, dopo che per anni fu costretta a camminare con un apparecchio correttivo, a dodici anni, riuscì a sconfiggere definitivamente il male. Da quel momento in poi, come molte altre ragazze della sua età, anche Wilma potè dedicarsi allo sport. Prima la pallacanestro poi l’atletica leggera dopo essere stata notata da un allenatore locale che decise di puntare su di lei. Mai scelta fu più azzeccata.
La nascita della Leggenda
Pochi anni dopo, quando Wilma era sedicenne, arrivò anche la prima medaglia (di bronzo) alle Olimpiadi del 1956 nella staffetta 4X100. Solo l’antipasto di quello che accadde quattro anni dopo. Quando Wilma entrò definitivamente nella storia alle Olimpiadi di Roma. Proprio come quella fotografia che la ritrasse insieme a Livio Berruti e che ebbe un impatto fortissimo per quelli che erano i tempi di allora. Anni nei quali l’apartheid dall’Africa cominciava a fare proseliti anche nel resto del mondo. Tre anni più tardi quella fotografia, nel 1963, arrivò lo storico discorso dell’ “I have a dream” pronunciato da Martin Luther King a Washington. Anche quella volta, evidentemente, Livio e Wilma seppero arrivare al traguardo prima degli altri.
Due grandissimi campioni vedendo i quali abbiamo sognato in anni dove fantasticare era lecito e la speranza era in tutti noi.
Come corrispondente dagli stati uniti, conobbi bene wilma e organizzai il suo ritorno a roma nel marzo 1969 dopo che un giornale comunista scrisse che si era vendute le medaglie olimpiche perche ridotta al lastrico. Wilma smenti personalmente quella menzogna e fu lieta di tornare a roma. Parlai a lungo con lei ma non fece alcuna menzione di berruti. Un capitolo del mio libro SCRIBE e dedicato a lei.
Mi informerò, interessante!
Ho pure il kindle, ma 10 euro sinceramente.. mi sento meno interessato.
Ero una ragazzina , ho seguito i due atleti con grande ammirazione , molto eleganti, con grande stile, era quello che ho notato poi erano molto belli, un corpo magro da
gazzelle, quando ho saputo della morte di Wilma mi e’ molto dispiaciuto avrei volu
to rivederla ancora qui da noi in qualche trasmissione dove ricordava il suo passato d’atleta, poi una ragazza di colore che finalmente, senza ghettizzarla ha potuto e vo
luto fare un grande passo nella sua vita facendo vedere che il colore della pelle non
impediva alla persona di essere intelligente, grande sportiva, bella, elegante e tanto ancora!Livio Berruti, un grande, una persona semplice e molto bravo co
me atleta.