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Il Volley di oggi e di domani: a tu per tu con Coach Chicco Blengini
Periodo intenso per l’Italvolley reduce, tra fine estate e inizio autunno, dalla straordinaria qualificazione olimpica, dall’europeo francese e dalla world cup giapponese che hanno visto la nazionale in campo ben ventuno volte in due mesi. Test più che sufficiente per coach Blengini per verificare la tenuta e il ricambio del volley nostrano tra le conferme dei soliti noti e l’utilizzo nella kermesse nipponica di una batteria di giovani talenti che danno sin da ora le adeguate garanzie per un futuro di livello. Allenatore giovane, ma con un enorme bagaglio di esperienza, Chicco Blengini è al timone della nazionale da agosto 2015 a coronamento di una carriera iniziata nel lontano 2000 alla corte di Mauro Berruto. Passato nel 2001 a Piacenza come vice collabora con Velasco nel 2003 seguendolo anche nei quattro anni successivi tra Modena e Montichiari. Inizia come capo allenatore nel 2009 a Santa Croce in A2 per poi esordire nella massima serie portando Vibo Valentia ai Playoff per due anni consecutivi. Dopo un anno a Latina torna alla corte di Berruto come suo vice in nazionale, ma contemporaneamente subentra come head coach alla Lube Macerata. Da qui in poi manterrà il doppio incarico, raccogliendo i frutti del suo lavoro in un excalation di successi e traguardi iniziati nel 2015 con il bronzo europeo e l’argento in World Cup ad una sola lunghezza dagli Stati Uniti. Lo straordinario argento Olimpico di Rio 2016 e lo scudetto a Macerata nel 2017 consacrano la carriera di un coach che, nonostante l’eredità pesante dei trionfi passati, sta dimostrando ampiamente di avere le qualità giuste per garantire al nostro volley affidabilità e competitività. Lo abbiamo raggiunto per discutere e commentare lo stato dell’arte della pallavolo nostrana alle prese con una fisiologica transizione, ma con l’obiettivo ben puntato su Tokyo 2020.
Coach buongiorno, riavvolgiamo il nastro sui tre eventi da poco terminati. Bilancio agrodolce?
Partiamo dal nostro primo obiettivo, la qualificazione olimpica, grande gioia e traguardo strameritato. Poi un durissimo europeo che a mio avviso è come un mondiale senza Brasile e U.S.A. al quale siamo arrivati non in perfette condizioni causa maledetto virus, ma non cerchiamo scuse nonostante la formula alquanto discutibile. Sulla World Cup giapponese ci sarebbe da scrivere un libro, svuotata di senso visto che non assegnava alcun pass olimpico e poi troppo accavallata agli europei con molte squadre alle prese col fuso orario e il rischio di infortuni. Si discute spesse di diminuire il numero di partite durante la stagione, una seria riflessione andrebbe fatta sulla gestione dei calendari della nazionali.
Allarghiamo il raggio odierno sulla nostra pallavolo, se tu fossi un medico e dovessi descrivere lo stato del nostro movimento che diagnosi faresti?
Sicuramente molto buono in generale, è chiaro che in questi ultimi anni è aumentata la competitività e molte più squadre lottano per vincere. Nonostante le paure di qualcuno di una mancanza di ricambio posso dire che a livello giovanile i risultati stanno arrivando e anche io in nazionale sto dando fiducia a molti ragazzi che non sempre sono titolari nei club. In Giappone molti di questi hanno fatto un’esperienza formativa importante, il fatto che vedano il campo in azzurro è uno sprone importante per far si che anche nelle rispettive franchigie riescano a ritagliarsi gli spazi che si meritino.
La tua esperienza da allenatore parte da molto lontano. In nomi di Berruto e Velasco vengono spontanei, qual è stata la loro importanza nella tua carriera?
E’ ovvio che nel percorso di un professionista tutte le esperienze arricchiscano e lascino il segno, anche quelle negative che ti insegnano cosa sia giusto non fare. Detto questo all’interno di questo mio percorso diversificato, la più significativa è quella fatta con Julio nei cinque anni in cui ho avuto l’onore di lavorare con lui. Un rapporto simbiotico che va al di la dell’aspetto professionale, siamo diventati amici e ci siamo ritrovati anche da avversari in campo, ma la mia stima e la mia considerazione per lui sono assolute. Mi ha delegato e responsabilizzato da subito contribuendo a livello tecnico e umano a migliorarmi giorno per giorno.
La competitività dei club nazionali è altissima, c’è un giusto equilibrio tra italiani e stranieri nella nostra massima serie?
Sono considerazioni frutto anche del momento storico contingente, per cui da un lato quando la nazionale arranca la colpa è dei troppi stranieri, ma allo stesso tempo se garantisci il posto agli italiani li fai adagiare non facendoli lottare per conquistarselo. Andrebbe fatta un’analisi più ampia che comprende i minori costi che l’ingaggio degli stranieri garantisce ai club, ma se vengono i migliori allora non posso che esserne contento. In Italia giocano grandissimi campioni da tutto il mondo e questo fa bene anche al nostro movimento, bastano quattordici giocatori di livello per avere una nazionale forte cosa che un confronto ad alto livello nei club facilita. Al limite ridurrei un pelino l’incidenza straniera, ma le leggi sono queste e dobbiamo prenderne atto per forza.
A proposito, che rapporto hai con i singoli club?
Durante l’anno io giro molto e faccio spesso visita soprattutto ai club di vertice confrontandomi anche con i tecnici e gli atleti. Parlo molto coi ragazzi per condividere e programmare i vari eventi che ci attendono limitandomi, come è giusto che sia, nei momenti clou della stagione dove è giusto lasciarli liberi e concentrati nel gestire il loro stress. Nell’arco di un anno il mio rapporto è sempre vivo e alimentato nel rispetto dei ruoli, l’anno scorso ho percorso circa sessantamila chilometri durante la stagione, è questo penso la dica lunga.
La più grande gioia e il più grande rimpianto.
Non sono uno che si guarda tanto indietro per cui faccio fatica ad identificare un rimpianto specifico. Certo capita spesso di ripensare a questa o quella decisione e di metterla in discussione, ma il mestiere dell’allenatore è questo. Di gioie per fortuna ne ho avute diverse, tutte incredibili, ma una di quelle che mi porto dentro è senz’altro la semifinale olimpica di Rio contro gli Stati Uniti per l’importanza e per come è venuta in rimonta. Venendo ad oggi di sicuro la vittoria con la Serbia a Bari con la quale abbiamo staccato il pass per Tokyo è un’altra grandissima soddisfazione e motivo di orgoglio.
In World Cup hai portato un bel manipolo di ragazzi. Proiettiamoci nel futuro prossimo, abbiamo Velasco e Frigoni al timone di un progetto giovanile importante.
Sono molto soddisfatto della risposta e dell’atteggiamento di questi ragazzi. Bisognerà lavorarci ovviamente sulla continuità e su alcuni aspetti tecnici e tattici, ma non dimentichiamoci che siamo medaglia d’oro under 19 e d’argento under 21 ai recenti mondiali. L’ingresso di Velasco e Frigoni nel progetto di qualificazione nazionale è un segnale importante e mi sento molto tranquillo in tal senso. C’è voglia di volley in Italia e il numero di tesserati aumenta di anno in anno.
Un altro dato confortante è senz’altro il pienone dei palazzetti. Il pubblico vi segue con grande partecipazione.
Sì indubbiamente a livello maschile c’è stata una grande esplosione di popolarità grazie anche all’altissima qualità del nostro campionato. Lo percepisco anche io dal fatto che veniamo fermati per strada, sentiamo questo grande affetto e la responsabilità che ne deriva. Siamo uno sport in salute rispetto a tanti altri sport e questo vuol dire che stiamo lavorando bene anche sul lato spettacolare. Uno sprone a fare sempre meglio essendo di esempio per i giovani.
E chiudiamo proprio con i giovani. Il movimento in salute, ma le new generation vanno attratte e strappate agli smartphone. Cosa senti di dirgli?
Innanzitutto lo sport fa bene in generale a qualsiasi titolo, poi nel volley c’è l’importanza di praticare uno sport di squadra che aiuta a condividere ruoli, obiettivi, regole e responsabilità. E poi posso dire con certezza che la pallavolo è uno sport molto molto difficile e bello. La federvolley ha un settore specifico che si sta occupando della promozione e reclutamento nelle scuole grazie al progetto S3 che vede in Andrea Lucchetta il nostro grande promoter. L’importante è far arrivare un messaggio positivo, cosa che i social e gli smartphone molto spesso inibiscono.
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