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Vincere con o senza l’obbligo di farlo

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La storia dello calcio europeo ci ha insegnato, nella sua continua evoluzione, che, sebbene passino gli anni, restano forti le costanti. Questa precisa cultura sportiva ha, come diretta conseguenza, una spaccatura netta, resa facilmente individuabile dai risultati, tra chi “vince sempre”, chi “non vince mai” e chi invece è solamente di passaggio. Parrebbe una distinzione grossolana, ma purtroppo corrisponde alla realtà più di quanto non ci si voglia credere. E se è vero che lo sport è anche lo specchio della società in cui vive, questa teoria trova la sua equazione nella distinzione, sempre alquanto semplicistica, tra ricchi, medi e poveri, laddove i primi da anni conservano immutati il loro stato elitario a discapito, ovviamente, di secondi e terzi. Se non si contassero le eccezioni, si potrebbe tranquillamente dire che questa parrebbe una teoria abbastanza azzeccata: però è proprio grazie alle eccezioni che il mondo preserva, almeno all’apparenza, la sua varietà di infinite possibilità ed è pertanto necessario che tali eccezioni vadano menzionate. Dunque, poiché è difficile fare in questo contesto un raffronto sulla società, ci limitiamo ad analizzarne una sua piccola porzione, ovvero quella calcistica, che, come abbiamo detto, è sempre più specchio di cosa e chi siamo diventati. D’altronde questo sembra proprio essere l’anno giusto per parlare di eccezioni, dal momento che abbiamo il Leicester di Ranieri campione d’Inghilterra a due giornate dalla fine e abbiamo Atletico Madrid e Manchester City in semifinale di Champions League. Ecco, questi sono i tre casi che analizzeremo, per far capire come sia talvolta possibile vincere senza essere per forza obbligati a farlo.

Treno in transito? – “Ora noi stiamo lottando per il titolo. I fan del Leicester che incontro per strada mi dicono che stanno sognando. Ma io dico sempre loro:“Ok, tu stai sognando per noi. Noi non stiamo sognando. Noi stiamo semplicemente lavorando duro.” Queste erano le parole di Ranieri, rilasciate al «The Player Tribune», poco meno di un mese fa. “Ora lo posso dire, ho sempre saputo che avremmo vinto.” Queste le parole dello stesso rilasciate il giorno dopo il trionfo, al «Fatto Quotidiano». Non servono tante cornici per rendere l’idea del capolavoro che è stato dipinto, bastano solamente due dichiarazioni di uno dei suoi autori, una ad un mese dall’altra, ma nelle quali è intercorso un tempo più ampio, che ha fatto letteralmente la storia.  È la tipica favola di Cenerentola che si realizza finalmente anche nella realtà. Insomma, come detto precedentemente, è l’eccezione. Eppure, otto mesi fa, il Leicester City Football Club, tra le tre categorie sopra elencate, l’avrei potuto mettere solamente nella terza. Di passaggio, di passaggio come quei carri merci che vedi passare in stazione la mattina e ti sconquassano capelli e umore, perché entrambi erano ancora troppo affezionati al cuscino. È già storia, ma è diventata tale solo ed esclusivamente dopo aver vinto, perché altrimenti la memoria dei fatti si sarebbe persa nel giro di qualche anno. Perché purtroppo è vero, ma nello sport, anche per chi non ha questo obbligo, vincere diventa fondamentale.  Sono entrati già nella storia ed i nomi di Vardy, Kanté o Mahrez assomigliano sempre più a quei nomi che studiavi e che non avevi difficoltà a ricordare, semplicemente perché così diversi dai soliti. Perché tra i vari sovrani d’Inghilterra, tra i vari Giacomo o Edoardo, il nome che meno si scorda è quello di Oliver Cromwell, perché l’unico, in secoli di monarchia, che re non è mai stato. Motivo per cui, se anche il Leicester avrà vissuto solo per quest’anno la sua favola, in futuro tutti si ricorderanno di come nel 2016 le “Foxes” arrivarono alla vittoria del campionato. Perché quando nessuno si aspetta nulla da te, tutto quello che offri in più è un regalo per tutti, non solo per chi ti è vicino.

Come ci si scorda in fretta – Avete presente quella frase, un po’ volgare, che si usa per chi, dopo essersi arricchito, ostenta al mondo il fatto di essere stato povero? “Ma guarda questo che fino a ieri girava con le pezze al culo…”. Ecco, questa è la storia, in breve, di una squadra che fino al 2008 nessuno si filava, a parte il noto gruppo musicale degli Oasis, ma che oggi è diventata una di quelle squadre d’élite di cui si è parlato in apertura. Eppure, quando leggi Manchester City nel tabellone delle semifinali di Champions League e scopri che non erano mai arrivati così in alto nella competizione, ti ricordi che, nell’immaginario collettivo, i Citiziens erano solamente l’altra squadra di Manchester. Perché dopo i pomeriggi grigi e piovosi, è sempre stato lo United il vero simbolo della città. Eppure quest’anno si giocano per la prima volta qualcosa che hanno letteralmente comprato e che li ha portati a dimenticare il loro passato: è il teorema verghiano dell’ostrica, chiunque provi ad uscire dal proprio guscio, rischia sempre di fare una brutta fine. Hanno dissipato milioni, per potersi togliere il marchio di “loosers” dalla testa ed ora che ci sono, in parte, riusciti, hanno perso di vista il loro passato. Nessuno glielo augura, ma ormai ogni sconfitta in casa City è vista come il mancato conseguimento di un obiettivo. E questo non fa altro che aumentare le pressioni. Se sei obbligato a vincere, sai benissimo che rischi solo di poter perdere. E questa sorte non è in vendita.

L’arte della mimesi – Se Ranieri è diventato il simbolo del Leicester, Diego Simeone è la colonna portante dell’Atletico Madrid. Se ad oggi l’Atletico vince o ambisce a farlo, pur non essendo riconosciuta mai come favorita, parte sostanziale del merito è proprio del “Cholo”. Sia dal punto di vista tecnico, con un gioco mirato a distruggere quello avversario, sia dal punto di vista mentale. Perché al contrario del City, l’Atletico fa del suo passato da perdente, da squadra che “non vince mai”, il suo marchio di fabbrica. “L’Atletico è sforzo, contagio, contropiede competere… e a partire da questo l’Atlético sempre ha avuto successo e noi non lo cambieremo” Queste sono dichiarazioni da outsider, non da semifinalista di Champions, non da chi ha vinto la Liga due stagioni fa e da chi ancora sta combattendo per portarne a casa un’altra. È la terza strada, non è la strada di chi ha vinto stupendo, né di chi ha vinto comprando, ma è la strada di ha vinto costruendo, passo dopo passo e senza mai lasciare che le pressioni prendessero il sopravvento. Sono la sintesi perfetta del procedimento dialettico che è stato qui utilizzato per far capire come sia possibile vincere, ma senza avere l’obbligo di farlo.

Infatti, se nessuno ti costringe, tutto risulta dannatamente più facile.

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