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Vettel, Hamilton o i giovani emergenti? Chi lotta per il titolo?

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Sebastian Vettel contro Lewis Hamilton: la lunga sfida è appena cominciata. Per definire il tema dominante del mondiale 2017 di Formula-1 sono bastate cinque gare, cioè un quarto di stagione. Quello che di solito (almeno fino al 2013) è l’antipasto, utile alle squadre per testare il lavoro invernale e ai piloti per qualche exploit in un campionato dove poi sarebbero stati comprimari (Fisichella su Jordan, Brasile 2003; Maldonado su Williams, Spagna 2012), ha invece offerto fin da subito il menu dell’anno ovvero il duello tra la Mercedes e la Ferrari per la conquista del titolo iridato.

Tre vittorie per le Frecce d’Argento, due per il Cavallino Rampante, ma è il ferrarista Vettel a comandare la classifica con sei punti di vantaggio sull’inglese. Nel campionato costruttori, invece, Brackley ha quattordici lunghezze in più di Maranello: merito di Bottas, vittorioso in Russia e fin qui più costante di un Raikkonen timido fino al Bahrain e atteso al definitivo rilancio tra Montecarlo e la pausa estiva.

E gli altri? Lontanissimi. Terza forza è la Red Bull. Ma solo nelle statistiche, che comunque denunciano meno della metà dei punti della Ferrari, perché i due terzi posti, Ricciardo (Spagna) e Verstappen (Cina), sono arrivati per le défaillance dei “fantastici quattro”, capaci di garantirsi l’esclusiva della top four in tre gare su cinque. Sorprende la Force India, sempre a punti nonostante le vicissitudini del suo patron, che ha mostrato un Esteban Ocon destinato a far parlare di sé. Come l’altro talento della scuola Mercedes, Pascal Wehrlein, che col settimo posto di Barcellona ha ossigenato la Sauber e inchiodato la McLaren all’ultimo posto della classifica, a zero punti e alle prese con i problemi di potenza e di affidabilità della power-unit Honda, ai quali non può porre rimedio l’indomita gagliardia di Alonso, che col settimo posto in qualifica del Montmelò ha almeno reso giustizia alla validità aerodinamica della vettura.

Ma la protagonista di questo scorcio di stagione è senza dubbio la Ferrari, che ha il grande merito di aver riacceso interesse verso uno sport dagli effetti letargici nell’ultimo triennio per via del dominio Mercedes. A nove anni dalla F2008 e per quanto visto finora, Maranello dispone finalmente di una monoposto competitiva su ogni tipo di circuito (tecnico e cittadino), sul bagnato come sull’asciutto, sia in prova – una pole-position e quattro prime file, di cui una “tutta rossa” – che in gara – due vittorie e sei podi.

Aldilà dei risultati, che certificano un Cavallino nuovamente Rampante dopo un triennio anonimo e a tratti illusorio, trasmette fiducia la ritrovata competitività della scuderia, che dall’Australia alla Spagna se l’è sempre giocata alla pari contro la più quotata Mercedes. Se in qualifica la W08 è ancora leggermente superiore – 4 a 1 le pole – in virtù di una power unit più potente, la SF70H ha stupito sul passo gara, dove ha costruito i suoi successi mandando in crisi le Frecce d’Argento. A Melbourne, con un undercut che racconta di una ritrovata brillantezza strategica al muretto come nell’era Schumacher, mentre a Sakhir per merito di un Vettel straordinario alla partenza e nell’esaltazione della macchina senza mandare in crisi le gomme. Premiata la scelta dirigenziale d’italianizzare la squadra, con Mattia Binotto a capo della direzione tecnica, e, soprattutto, il nuovo profilo comunicativo: spirito battagliero, ma esule da sbandierare ai quattro venti proclami di vittoria. Primo, fondamentale, passo per ambiziose mete.

Raggiungibili, se avverrà quello sviluppo tecnico tallone d’Achille della squadra nel 2016 e nell’era Alonso (che mai ha disposto di una vettura così valida) e, al contempo, punto di forza della Mercedes. Mai come ora chiamata al salto di qualità. Perché se ha risposto alla Ferrari con Bottas a Sochi e Hamilton a Barcellona, è consapevole che stavolta il titolo non sarà più un’esclusiva tra i suoi piloti. A complicare i piani di Wolff e soci, anche i problemi di affidabilità, esplosi con il motore di Bottas domenica scorsa ed emersi già all’Albert Park sulla macchina di Hamilton.

Il britannico non è appagato, lo testimonia la rimonta su Vettel in Spagna, e vuole riprendersi il titolo sfilatogli dall’ex compagno di squadra Nico Rosberg. Ma è comunque chiamato anche lui a uno scatto in avanti. Nel miglioramento della monoposto e nella capacità di reggere la pressione derivata dalla lotta contro un avversario di un’altra squadra. Ha sempre desiderato il duello in pista contro Vettel e i fatti sembrano accontentarlo. Ma i fatti raccontano anche di un teutonico in piena forma – due vittorie, tre secondi posti e sorpassi da urlo – e di un inglese a tratti appannato. Come a Sochi, quarto alla fine e mai competitivo. E in un mondiale così equilibrato, a fare la differenza potrebbe essere non tanto l’insieme, cioè le vittorie, quanto i dettagli come la costanza negli arrivi a podio. Perché a volte, vedi proprio il Gran Premio di Russia, permettono di guadagnare sei punti (sette quelli tra primo e secondo). Come quelli che al momento dividono Sebastian Vettel e Lewis Hamilton. La lunga sfida è appena cominciata.

 

Classe 1982, una laurea in "Giornalismo" all'università "La Sapienza" di Roma e un libro-inchiesta, "Atto di Dolore", sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, scritto grazie a più di una copertura, fra le quali quella di appassionato di sport: prima arbitro di calcio a undici, poi allenatore di calcio a cinque e podista amatoriale, infine giornalista. Identità che, insieme a quella di "curioso" di storie italiane avvolte dal mistero, quando è davanti allo specchio lo portano a chiedere al suo interlocutore: ma tu, chi sei?

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