Frances Tiafoe, Taylor Fritz e Brian Baker. Tre tennisti americani che nel primo giorno degli Us Open hanno dato spettacolo e incantato le folle, pur uscendo battuti. Tre sconfitte amare, in quanto maturate dopo cinque estenuanti set. I primi due, Tiafoe e Fritz, sono usciti sconfitti per mano di due connazionali, rispettivamente dal gigante John Isner e da Jack Sock, mentre Baker si è dovuto arrendere all’ostico Federico Delbonis. Ma cos’è che lega davvero questi tre tennisti?
Il filo che lega i primi due non è difficile da scovare: Tiafoe è un classe ’98, Fritz è un classe ’97. Entrambi giovanissimi, entrambi considerati il futuro del tennis americano. Un movimento tennistico che, a seguito del ritiro di Andy Roddick, non ha mai trovato in campo maschile un degno sostituto, un tennista che ricalchi le orme dei grandi del passato, come Connors, McEnroe, Sampras e Agassi.
Eppure loro due danno davvero l’impressione di essere dei predestinati. Fritz lo ha ampiamente dimostrato in questi due anni: nel 2015 ha vinto la finale degli US Open juniores, è diventato il numero 1 del ranking mondiale under18 e, una volta affacciatosi nel circuito maggiore, ha raggiunto la finale nell’ATP 250 di Memphis, venendo sconfitto solo nell’ultimo atto dal top 10 Kei Nishikori. Per giunta, Taylor è sempre apparso una ragazzo con la testa sulle spalle, ben inquadrato in quello che fa. Basti pensare che a soli 18 anni si è sposato con la tennista Raquel Pedraza, con cui era fidanzato da oltre 2 anni.
Tiafoe ha vissuto una carriera anonima, lontana dai riflettori fino a 15 anni, quando si è imposto nel prestigioso Orange Bowl, diventandone il più giovane vincitore di sempre. Da allora gli occhi dell’America non fanno che seguirlo, e lui di contro non ha mai tradito le aspettative dei tifosi. Ha coraggio da vendere. Una qualità che forse gli hanno trasmesso i suoi genitori, Frances Sr. e Alphina, fuggiti dalla guerra civile in Sierra Leone. Una volta raggiunto il suolo americano, il padre aveva iniziato a lavorare come custode in un Tennis Center nel Maryland e, quando la madre era impegnata come infermiera nei turni di notte, non erano poche le volte in cui Frances dormiva insieme al fratello e al padre in uno stanzino del centro sportivo. Situazioni estreme, che però hanno insegnato molto a Frances.
Ma cosa c’entra Brian Baker? Anche i più appassionati probabilmente non si ricorderanno con facilità di questo tennista, tornato in campo ad inizio 2016 dopo un lungo stop. Uno dei tanti stop che hanno condizionato irrimediabilmente la sua carriera.
Era il lontano 2005, Brian aveva 20 anni e giocava le qualificazioni di Wimbledon contro un allora sconosciuto Novak Djokovic. L’americano è in vantaggio, quando ad un tratto si ferma e inizia ad urlare: un ginocchio gli ha letteralmente ceduto. Uscito dal campo, la prognosi è di 4 mesi di riposo forzato. Ma da lì inizia un vero e proprio calvario: nel giro di 4 anni, dal 2005 al 2008, Brian dovrà affrontare 6 operazioni, al ginocchio, al gomito e alle anche.
E una volta conclusi gli interventi, il responso dei medici è lapidario: Brian deve stare lontano dai campi da gioco. E lui ci mette una pietra sopra, riprende gli studi universitari, progetta di diventare un coach.
Ma tre anni dopo, piano piano, ritorna a giocare. Si sente in forma, il tennis ancora gli scorre nelle vene. Quasi per scherzo si iscrive al torneo Futures di Pittsburgh, per testare le sue capacità. E il test risulta più che positivo, perché quel torneo lo vince.
Da qui, la rinascita sportiva di Brian Baker. Nel 2011 ritorna a giocare a livello Challenger, ma è l’anno successivo che fa il botto: nell’ATP 250 di Nizza batte gente del calibro di Monfils e Davydenko e raggiunge un’incredibile finale, dove viene sconfitto da Nicolas Almagro. E 6 anni dopo il terribile infortunio al ginocchio torna a giocare a Wimbledon, dove non solo supera le qualificazioni, ma approda fino agli ottavi di finale, eliminato solo da Philip Kohlschreiber. Un risultato sensazionale.
Ma ad inizio 2013, la sorte torna ad abbattersi su di lui. Durante il secondo turno agli Australian Open è costretto a uscire in lacrime su una carrozzina, a causa della lacerazione del menisco. Il pubblico lo applaude, ma per lui il buio si infittisce sempre di più.
Quest’anno Baker è finalmente tornato dopo l’ennesimo infortunio. La condizione non è delle migliori, eppure a Flushing Meadows è uscito testa alta contro un giocatore ben più quotato. Lui, che avrebbe meritato una carriera ben diversa. Lui, che a livello juniores giocava alla pari contro future stelle come Djokovic, Murray, Berdych, Wawrinka, Tsonga. Lui, che avrebbe dovuto essere un top 10.
E’ proprio questo che lo lega a Taylor Fritz e a Frances Tiafoe: anche lui era un predestinato, una futura stella del tennis americano. E in questi primi turni del Major americano è bello ricordare anche le promesse, purtroppo infrante, del passato.
Promesse che però, ora, sono in buone mani. E chissà se Fritz e Tiafoe non riusciranno, finalmente, a coronare i loro sogni. A non restare solo astri nascenti, come Brian Baker, ma a diventare i nuovi signori del tennis mondiale.