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Se per un colpo di testa rischi la vita: il calcio e i problemi legati alla neurodegenerazione
E’ tornato d’attualità un tema spinoso che riguarda ormai da anni il mondo del calcio: il colpo di testa è dannoso per il cervello degli atleti? A parlarne nuovamente è stata la leggenda inglese Geoff Hurst, raccontando i ripetuti allenamenti con una palla appesa al soffitto ai tempi in cui era ancora un calciatore. Il Campione del Mondo 1966 ha evidenziato come sia necessario intensificare gli studi e la correlazione tra il colpo di testa e le malattie neurodegenerative, molto frequenti negli atleti dell’epoca. A seguito della recente notizia riguardante Sir Bobby Charlton e la sua demenza senile (ultimo caso di una lunga schiera di altri ex giocatori di quella generazione), l’associazione calciatori del Regno Unito ha deciso di istituire una task force apposita per approfondire un tema tanto delicato quanto discusso nel mondo del calcio.
Al riguardo l’Università di Glasgow ha pubblicato uno studio dedicato che ha fatto emergere alcuni dati che non possono essere ignorati.
I rischi connessi al colpo di testa
La Stirling University di Glasgow ha pubblicato alcuni dati allarmanti che riguardano la salute dei calciatori e, nello specifico dei danni correlati al colpo di testa. Attraverso uno studio condotto su oltre 7000 ex giocatori nati tra il 1900 e il 1976, è emerso che, rispetto alla popolazione generale, gli ex professionisti siano maggiormente soggetti a malattie neurodegenerative o collegate al motoneurone (come la Sla). Nello specifico, è stato evidenziato come i calciatori abbiano un tasso di mortalità 3,5 volte più alto del normale (1,7% contro lo 0,5%) per le neurodegenerative, 5 volte per l’Alzheimer, 2 per il Parkinson e 4 per la Sla.
Le cause sarebbero riconducibili non a l’impatto singolo, ma alla somma dei colpi di testa di un’intera carriera. Un giocatore in media colpisce la palla dalle 6 alle 12 volte durante la partita ma il conto sale quanto consideriamo anche le sedute di allenamento.
Lo studio della Stirling, però, rappresenta l’ultimo caso in cui si è approfondita la correlazione tra i problemi di ex calciatori, ma anche di altri sportivi professioni, e il colpo di testa. Il tutto iniziò con la morte di ex calciatore e la denuncia della sua famiglia.
La morte di Jeff Astle per un problema al cervello
Il rapporto tra disturbi al cervello e calcio ha iniziato ad emergere presso i media da quando l’ex attaccante dell’Inghilterra e del West Bromwich, Jeff Astle, morì a causa di un problema degenerativo al cervello nel 2002, all’età di 59 anni. Un medico legale riportò che il problema di salute di Astle era da addurre al lavoro dell’atleta, un chiaro riferimento alla possibilità che colpire violentemente la sfera con la testa possa aver influito sulla situazione clinica dell’ex calciatore. Alba Astle, figlia dell’ex Inghilterra e West Brom attaccante Jeff Astle, morto a 59 anni ed affetto da un precoce caso di demenza, ha detto che era “assolutamente ovvio che la sua demenza fosse legata alla sua carriera calcistica”. Ms Astle ha dichiarato alla BBC Radio: “A seguito dell’inchiesta sulla morte di mio padre, il mondo del calcio ha provato a spazzare via il caso nascondendolo sotto un tappeto, come si fa con la polvere che non si vuole guardare e poi togliere. Nessuno vorrebbe sapere che il calcio possa essere un ‘assassino’ ma, purtroppo, lo è… o, almeno, lo può essere“. Alba Astle ha poi proseguito affermando che suo padre, all’età di 55 anni, era fisicamente molto in forma quando è andato dal medico, il quale poi ha diagnosticato la precoce insorgenza di demenza.
A partire da quel caso, diversi ex giocatori inglesi si sono trovati costretti ad affrontare situazioni simili, tra cui Jack Charlton, Martin Peters, Nobby Stiles e Ray Wilson, membri della nazionale che nel 1966 vinse i Mondiali di calcio.
La decisione del calcio scozzese
Il calcio scozzese è molto preoccupato per i recenti studi riguardanti il colpo di testa e i rischi di salute connessi. Per questo, la Federazione Calcio scozzese ha deciso di imporre entro il prossimo mese il divieto di colpire la palla con la testa ai minori di 12 anni per evitare di aumentare il rischio di demenza in età adulta. La decisione ha lasciato perplessi i genitori dei giovani calciatori e soprattutto gli allenatori. In effetti, molti sono gli interrogativi al riguardo, su tutti l’età in oggetto in quanto non è molto chiaro come possa essere dannoso il colpo di testa per un dodicenne diversamente da un tredicenne e così via. Inoltre, come affermato da Peter McCabe, presidente dell’Associazione Headway che si occupa di malattie neurodegenerative, sarebbe necessario approfondire gli studi correlandoli anche ai palloni di oggi, prodotti con materiali ben diversi da quelli del passato.
Gli altri studi e gli esperimenti nel Regno Unito
I ricercatori dell’University College di Londra e della Cardiff University hanno esaminato il cervello di cinque ex calciatori professionisti ed un dilettante. Tutti quanti avevano giocato a calcio per una media di 26 anni e tutti e sei hanno sviluppato casi di demenza dopo aver passato i 60 anni.
Durante l’esecuzione di esami post mortem, gli scienziati hanno trovato segni di lesioni cerebrali, chiamati encefalopatia traumatica cronica (ETC), in quattro casi. L’ETC è stata collegata a perdita di memoria, depressione e demenza ed è stata riscontrata anche in altri sport.
Problemi anche per la memoria
Secondo quanto dimostrato dall’università di Stirling, viene confermata quindi la presenza di disturbi cerebrali in coloro che hanno colpito la palla con la testa. Specificatamente per quel che concerne la memoria, nel campione analizzato si evince una perdita della stessa per una percentuale che va dal 41% al 67% nell’arco temporale di 24 ore dal momento dell’impatto. Il test è stato effettuato su 20 calciatori in attività, attraverso una macchina che riproduce la potenza del cross da calcio d’angolo. In tutti i casi studiati, è stata sottolineata una riduzione di memoria con tempi di recupero dal trauma rappresentabili in una giornata intera. Le ricerche correlate al colpo di testa e problemi cerebrali ha portato, per esempio, gli Stati Uniti, a vietare il colpo di testa ai bambini al di sotto degli undici anni.
La paura di Shearer
“Ogni gol segnato con un colpo di testa nel corso di una partita, è stato preceduto da 1000 prove in allenamento. Questo potrebbe mettermi a rischio se tra le due cose c’è correlazione. Ho scarsa memoria e non se è perché non ascolto. Quando si gioca a calcio come professionisti si mettono in conto problemi alle ginocchia, alle caviglie ma non ho mai pensato che il calcio potesse essere legato a problemi al cervello. Ecco perché è indispensabile la ricerca”. Queste le parole di Alan Shearer, bandiera del Newcastle e bomber della nazionale inglese a 15 anni dalla morte di Jeff Astle per demenza procuratagli molto probabilmente dai troppi colpi di testa in carriera.
Non solo calcio: Bennet Omalu e il Football Americano
Bennet Omalu è un patologo forense che nel 2002 a seguito della morte di Mike Webster, centro dei Pittsburgh Steelers, football americano, esaminando il cervello dell’atleta scoprì l’ “Encefalopatia traumatica cronica”, prima della sua scoperta definita “demenza pugilistica”, ovvero quel tipo di demenza indotta dai ripetuti colpi alla testa subiti nel corso della carriera, prima associata solamente al mondo del pugilato. Con queste analisi Omalu scoprì un accumulo della proteina Tau nel cervello di Webster, proteina che influenza l’umore, le emozioni, le funzioni cognitive e spesso porta ad istinti suicidi. I suoi studi inchiodarono la NFL dapprima molto riluttante ad accettare questo tipo di ricerche.
Ho giocato a pallone in gioventù e qnd era possibile, giocando con i palloni di cuoio, evitavo di colpirlo di testa. Troppo duro e pesante, ne avevo una paura istintiva. Con i palloni di gomma era una altro discorso. Parlo di 40 anni fa.