Un bicchiere con Jean-Claude Bouttier
Nel giugno del 2019 sono stato a Strasburgo, per la sessione estiva del Consiglio d’Europa, organismo presso cui rappresento la Repubblica di San Marino.
Ho guidato fino a Venezia, volato fino a Francoforte, sono saltato su un autobus che in ulteriori due ore e mezza di viaggio mi ha portato in Alsazia.
A San Marino, nella mia caldissima soffitta ad uso ufficio, sono io a cercare ispirazione dalla lettura dei miei testi o dalle tante pagine ingiallite della mia collezione di ritagli mentre, quando mi trovo lontano, può succedere che siano i racconti a venire a cercarmi.
Una sera, di ritorno a piedi dal Palazzo d’Europa, mi sono fermato in un locale della Petite France, un complesso di case a graticcio tardo-medioevali costruite su un dedalo di vie d’acqua.
Tipicamente alsaziano, il bistrot proponeva specialità del luogo; ho ordinato una tarte flambé ed un bicchiere di Pinot Gris.
L’uomo accanto a me, al bancone, veniva trattato con grande rispetto e un simpatico signore sovrappeso, che pareva essere il titolare dell’esercizio, gli stava facendo firmare la foto che aveva appena staccato dal muro.
L’uomo, piuttosto anziano, era chiaramente una celebrità ma, colpevolmente, non sono riuscito subito a riconoscerlo.
La foto al muro, però, risalente a molti anni addietro, non lasciava dubbi: egli era Jean-Claude Bouttier, grandissimo peso medio che aveva lasciato una magica impronta nella storia della boxe francese.
Senza accorgermene, mi sono messo a fissarlo e, prima che trovassi le parole da dirgli, Bouttier mi ha toccato la punta del naso, dicendo: “tu as fait le boxeur, non?”
Sì, gli ho risposto, ho fatto un po’ di boxe da dilettante. Ora, più che altro, scrivo di pugilato. Posso bere un bicchiere con lei?
Il Campione mi ha fatto accomodare.
Durante quella giornata avevo avuto l’occasione di parlare con due ex ministri italiani, con il Segretario Generale del Consiglio d’Europa e con il ministro degli Esteri austriaco; sedermi vicino a Bouttier, però, era di gran lunga il momento più emozionante della giornata.
Dopo le classiche domande sul suo stato di salute, francamente inutili dato il florido aspetto di settantacinquenne sano e forte, non ho atteso troppo per fargli la domanda di cui chiunque, immagino, sia curioso di sapere la risposta: “Com’è stato incontrare Monzon?”
Jean-Claude Bouttier, nato nel 1944 in un piccolo villaggio della Mayenne, non era certo venuto al mondo come un predestinato della boxe: il destino lo aveva voluto inseguire lui stesso, con grande caparbietà.
Passato professionista dopo una breve ma trionfale carriera in canotta, aveva infilato una serie di trentasei vittorie consecutive da autentico fuoriclasse, interrotte dalle sconfitte ai punti subite dal brasiliano Juarez De Lima, sua autentica “bestia nera”.
Giunto a indossare la cintura di Campione Nazionale, Bouttier aveva poi riportato in Francia il titolo EBU, strappandolo dalle prestigiose mani di Carlo Duran, il padre di Alessandro e Massimiliano.
Con la naturalezza delle cose che, un tempo, la boxe seguiva per pegni di merito e capacità, Bouttier aveva meritato la propria chance mondiale che avrebbe disputato a Colombes, nei dintorni di Parigi, il 17 giugno del 1972.
…e qui torniamo al senso della domanda posta a quest’affascinante ed elegante campione incanutito.
Il quale, maneggiando per cerchi concentrici il proprio bicchiere di cognac, riviveva nel fondo del liquore i momenti di grande pathos, di urla della folla, di flash dei fotografi, dei mondi della Parigi glamour e delle periferie operaie uniti nel suo nome gridato a perdifiato… e di Escopeta che, freddo come un cadavere ma spaventoso come lo spirito dei morti che mai muoiono, lo fissava dall’angolo opposto al suo.
“Monzon était un grand bâtard!!”
Monzon era un gran bastardo!
“Alla sesta ripresa lo mandai al tappeto – ha preso a raccontare Jean-Claude – e sentii di avere il match in mano.
Allora lui fece l’unica cosa che poteva fare per vincere: mi infilò il pollice nell’occhio durante un clinch!
Faceva un male dannato e poco dopo mi dovetti ritirare!”
“Alla rivincita, un anno dopo, nel Roland Garros strapieno, lui era diventato troppo forte. Non avevo la minima possibilità di mettere colpo decisivi: ormai mi conosceva e faceva quel che voleva con me. Avrei dovuto restituirgli un’azione simile alla sua, ma per fare quelle cose ci vuole un’infinita volontà di vittoria: quella che Monzon ha sempre avuto, in tutta la sua carriera.”
Una testimonianza straordinaria, dalla viva voce di un campione degli anni epici: avevo persino la testa che mi girava.
L’ho ringraziato e abbracciato.
Ero atteso prima di cena e dovevo andarmene con una certa fretta.
Imboccata l’uscita, mi sono girato per guardarlo un ultimo istante.
Ma lui non c’era.
C’era, però, il ritratto firmato alla parete, con cui avevo condiviso il mio bicchiere di vino in una fantasiosa chiacchierata che, a guardar bene, non aveva avuto alcun bisogno di essere reale.
Ho conosciuto Jean-Claude Bouttier tuffandomi nei racconti appassionati dei cronisti transalpini e tutte le informazioni sul suo straordinario primo match contro il fenomenale Monzon risalgono ad un paio di interviste da lui rilasciate negli anni.
Il mio bicchiere di Pinot, però, l’avevo bevuto da solo, come solo avevo camminato lungo il fiume Ill e da solo ero entrato nel locale. Perché chi scrive in continuazione lo fa per sfuggire alla solitudine, pur non riuscendo a farne a meno.
Più solo di uno scrittore, c’è il pugile di cui egli scrive e pochi altri.
Non so se voi, de ” io gioco pulito”, capiate, come spero, che questo quasi cinquantenne è un narratore di razza. L’unico che, senza mai sbagliare, ti commuove, fa vivere e fa venire i brividi in ogni ore piccolo racconto