Un Barbaro salvato da una Mummia?

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Paolo Guerrero, centravanti del Flamengo e della nazionale peruviana qualificatasi dopo trentasei anni alla fase finale di un mondiale, sta vivendo uno dei momenti di maggior esposizione mediatica della sua lunga carriera nonostante la recente condanna per doping che lo costringerà, salvo diverse decisioni del TAS, a scontare un periodo di squalifica che terminerà un mese e mezzo prima dell’inizio di Russia 2018.

E’ di pochi giorni fa, infatti, la notizia che l’attaccante peruviano si è posizionato secondo nella classifica del Rey de America stilata dai giornalisti interpellati dal giornale uruguaiano El Pais. Guerrero, al posto d’onore alle spalle dell’attaccante del Gremio Luan, ha però raccolto la maggioranza delle preferenze del pubblico, risultando il più votato dai lettori del web con più di 51.000 preferenze, quasi il doppio di quelle collezionate dallo stesso Luan. El Comercio, quotidiano peruviano, lo celebra per questo motivo come “el campeon del pueblo”, mentre gli stessi giornalisti lo hanno inserito anche nella formazione ideale del Sudamerica per il 2017.
Particolare la simpatia trasversale che il capitano della Blanquirroja sta riscuotendo in un periodo che, al contrario, dovrebbe riservare al giocatore frustrazione individuale e biasimo collettivo. Anche se, in tal senso, qualche voce si è levata proprio nei giorni precedenti l’elezione del Rey de America. In particolare il giornalista colombiano del quotidiano “El Tiempo” Gabriel Meluk, lo scorso 29 dicembre, ha postato un tweet al vetriolo contro la possibile vittoria di Paolo Guerrero: ”E’ incredibile che Paolo Guerrero sia finalista… E’ un dopato! Dopato e squalificato!”.



Il testo, ovviamente, ha sollevato commenti e botta e risposta nei quali i sostenitori di Guerrero hanno rinfacciato a Meluk una certa mancanza di obiettività nelle sue considerazioni. Insomma, come si diceva poc’anzi, una sovraesposizione mediatica tipica di periodi migliori rispetto a quelli di una squalifica per doping. Contro la quale, peraltro, lo stesso Guerrero ha proposto ricorso presso il TAS nonostante lo sconto già ottenuto di sei mesi rispetto alla squalifica iniziale. Il collegio di avvocati che difende il peruviano porterà in aula, tra le altre, prove a supporto dell’innocenza del proprio assistito basate su delle… mummie. Sì, proprio così: i corpi mummificati di tre giovani ritrovati sulla Cordigliera delle Ande nel 1999 dovrebbero aiutare a sostenere la tesi che la benzoilecgonina, metabolita della cocaina ritrovato nelle urine di Guerrero, possa rimanere nel corpo umano per secoli.

Questo perché di tale metabolita sono state trovate quantità considerevoli nei capelli di queste mummie, secondo le evidenze raccolte dagli archeologi che ritrovarono i corpi. La tesi difensiva, a corollario di quelle principali che presenteranno gli avvocati, intende sostenere che Guerrero non abbia necessariamente preso cocaina nell’imminenza della partita disputata contro l’Argentina lo scorso 5 ottobre e che quindi la sostanza proibita non sia stata assunta “in competizione”, elemento determinante per infliggere una condanna. Staremo a vedere: non sorprende che El Barbaro stia mettendo anche in tribunale tutta la garra che da sempre contraddistingue le sue prestazioni. In questa occasione quello che sorprende è che l’assist vincente potrebbe fornirglielo non un compagno di squadra ma… una mummia.

Giornalista e scrittore, coltiva da sempre due grandi passioni: la letteratura e lo sport, che pratica a livello amatoriale applicandosi a diverse discipline. Collabora con case editrici e redazioni giornalistiche ed è opinionista sportivo nell’ambito dell’emittenza televisiva romana.
Nel 2018 ha pubblicato il romanzo "Ci vorrebbe un mondiale" – Ultra edizioni. Nel 2021, sempre con Ultra, ha pubblicato "Da Parigi a Londra. Storia e storie degli Europei di calcio".

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