Ucciso il Giornalista che indagò sulla Calciopoli Africana: una morte annunciata (quasi richiesta)
Alla fine l’hanno ammazzato. Tre colpi da una motocicletta in corsa per strappare via la vita dal 34enne Ahmed Hussein Suale, il giornalista che lo scorso anno aveva portato alla luce insieme al collettivo Tiger Eye Private Investigation lo scandalo della corruzione all’interno della Federazione Calcistica del Ghana che ebbe come conseguenza la decisione del Governo di scioglierla con effetto immediato e il capo Kwesi Nyantakyi ad essere arrestato a Maggio, poi scarcerato e infine lo scorso ottobre costretto a pagare una multa di 500 mila dollari, oltre naturalmente ad essere radiato a vita dalla FIFA di cui era membro del Consiglio.

La “Calciopoli Africana” era stata scoperchiata grazie ad un documentario il cui titolo rende bene l’idea della situazione del pallone non solo in Ghana ma in tutta l’Africa: “Number 12: When Greed and Corruption Become the Norm” la cui traduzione è un atto di accusa frontale a tutto il sistema: “Quando avidità e corruzione diventano la norma”. La firma è quella di Anas Aremayaw Anas, il capo del team di giornalisti di cui faceva parte anche Ahmed Hussein, tanto inviso e nell’occhio del ciclone da essere costretto a mostrarsi con il volto coperto da perline per non essere rintracciato dai tanti nemici che si è fatto nel corso delle sue inchieste. In particolare quella sul sistema di corruzione del calcio ghanese in cui emerge, attraverso incontri con falsi investitori senza scrupoli (interpretati dai giornalisti del suo gruppo sotto mentite spoglie, tra cui anche Hussein), la disponibilità del Presidente della Federcalcio e di alti dirigenti di ricevere tangenti al fine di ottenere contratti con il Governo (si parla di 11 milioni di dollari) e di avere rassicurazioni sull’esito di partite truccate. Il tutto filmato da telecamere nascoste che hanno inguaiato anche altri 14 membri della Federazione. Il governo sottolineò fin da subito la sua estraneità ai fatti.
Nyantakyi che era anche vicepresidente della CAF (l’equivalente della UEFA africana) appare in un video all’interno del documentario mentre intasca 65mila dollari. Oltre alla Federazione Ghanese, la CAF ha fermato anche 50 arbitri di altre nazioni, perché l’inchiesta non coinvolgeva solo il paese della Black Stars ma anche tutta l’Africa, con partite combinate in un sistema praticamente fuori e senza controllo. Le inchieste di Hussein, che furono trasmesse dalla BBC, non riguardavano però solo il calcio ma anche altri aspetti torbidi del sottobosco criminale come la vendita di organi umani in Malawi. Come riferisce sempre la BBC, la violenza nei confronti dei giornalisti è qualcosa di anomalo in Ghana, sottolineando come dal 1992 solo un cronista sia stato ucciso. Ma allargando l’analisi a tutto il Continente Africano scopriamo che nel 2017 sono 8 quelli uccisi, secondo i dati forniti dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti.
“È nell’interesse nazionale che vengano arrestati i responsabili di questo crimine”. Queste le parole del Presidente della Commissione Ghanese per i media che auspica un’indagine approfondita delle forze dell’ordine per scoprire i colpevoli dell’attacco omicida, mentre il Presidente del sindacato dei giornalisti ha sottolineato che “l’omicidio di Hussein è un attacco a tutti i giornalisti e al giornalismo”.
Anche Anas, l’uomo delle perline, ha salutato il suo collega con un messaggio di cordoglio in cui dava la triste notizia, invitando i giornalisti a non mollare e a non restare in silenzio, il tutto corredato da un video in cui il protagonista è il politico ghanese Kennedy Agyapong. Il parlamentare che in risposta al famigerato documentario Number 12 di Anas di cui parlavamo, produsse un contro documentario dal titolo “Who watches the Watchman” in cui si metteva in dubbio il lavoro di Anas e si accusava lo stesso di aver ricevuto dei soldi per fermare un’inchiesta su cui stava investigando. Agyapong, secondo quanto riferisce la BBC, ora viene considerato un colpevole indiretto della morte di Hussein, reo di aver mostrato una foto con il volto del giornalista, indicando Medina, un quartiere della capitale Accra, come luogo di sua residenza e incitando chiunque a picchiarlo promettendo in cambio una ricca ricompensa. Hussein aveva sporto denuncia e il Comitato Internazionale di protezione giornalisti con base a New York aveva intimato Agyapong di smettere di minacciare i giornalisti.
Ma due colpi al torace e uno al collo hanno messo fine all’esistenza di un ragazzo che voleva cambiare il calcio del suo Paese, un giornalista che aveva messo la sua vita al servizio della giustizia.
Una storia che lascia un grande monito a coloro che oggi esultano: non sarà il piombo, il sangue e la paura a fermare la verità.