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Turchia: gli sportivi contro Erdogan
Tempi duri per chi si oppone a Erdogan. Il presidente della Turchia, tornato al centro della cronaca per l’incontro in Libia con Putin e la richiesta di cessare il fuoco tra le milizie di Haftar e l’esercito di al-Sarraj, continua a far parlare di se per il modo in cui tratta gli oppositori di quello che per molti è definito un regime vero e proprio.
Lo scorso ottobre, l’azione dell’esercito turco contro il popolo curdo nella Siria del Nord è divenuto il motivo scatenante per appelli e manifestazioni contro di lui e la sua operazione. Anche in quel caso lo Sport finì sotto i riflettori a causa del sostegno da parte di moltissimi atleti, di calcio e non solo, al Presidente, manifestato con il classico saluto militare.
Ma c’è chi dice no. Tra gli esponenti provenienti dal mondo dello Sport, infatti, esistono esempi di persone che già in passato avevano espresso un grande dissenso dei confronti delle politiche adottate da Erdogan, pagando caro per la loro protesta. Proprio negli ultimi giorni sono rimbalzate notizie che spiegano ancora meglio quanto sia difficile essere suoi oppositori.
Quello più eclatante, senza ombra di dubbio, vede protagonista l’ex attaccante del Galatasaray Hakan Sukur che, nel 2000, riuscì a vincere con la casacca giallorossa la Coppa Uefa: il primo trofeo vinto da una squadra turca a livello internazionale.
Subito dopo il trionfo, data la sua immensa popolarità nel paese, l’AKP cercò di sfruttare la figura di Sukur. L’attaccante, nel frattempo, decise di entrare in politica e riuscì a farsi eleggere nelle file dello stesso partito filo-governativo.
Nel 2013 però, l’anno delle prime sommosse contro Erdogan, qualcosa va storto visto che Hakan Sukur venne sospettato sia di sostenere quelle manifestazioni anti-governative ma anche di supportare Fethullah Gulen, ex alleato di Erdogan in esilio da diversi anni negli Usa e che, oramai, veniva considerato il nemico numero uno dello stesso presidente turco.
La situazione si fece sempre più tesa e, di conseguenza, il calciatore prese due drastiche decisioni: prima si dimise da parlamentare e poi, nel 2015, decise di fuggire in esilio in California, solamente pochi mesi primi del tentato golpe del luglio 2016. Oggi parlare di lui in Turchia è vero e proprio tabù, come del resto per chiunque sia sospettato di essere minimamente vicino a Gulen; il Galatasaray ha tolto l’intitolazione di alcune strutture dedicate ad Hakan Sukur, così come ha cancellato i documenti che riguardano i tanti anni che il giocatore ha trascorso con la maglia giallorossa. L’ex Inter si è fatto ripetutamente sentire attraverso i suoi canali social: “La mia è una lotta per la giustizia, per la democrazia, per la libertà e per la dignità umana. Non mi importa di quello che posso perdere se a vincere è l’umanità”.
Di recente, intervistato dal settimanale tedesco Welt am Sonntag, ha affermato che, quando ancora si trovava in Turchia, fu costretto a chiudere il negozio della moglie, divenuto bersaglio di continui lanci di pietre. Decise, dopo essere stato minacciato e i suoi figli aggrediti in strada, di rifugiarsi negli Stati Uniti, come dicevamo, in California. Ma anche lì le cose non migliorarono molto: Sukur ha affermato infatti che intorno al negozio che aveva aperto girava gente strana con fare intimidatorio, costringendolo a chiudere e a lasciare lo Stato della costa ovest statunitense per trasferirsi a Washington dove ad oggi fa l’autista uber:”Non ho più nulla, Erdogan mi ha preso tutto. Quando sono andato via dalla Turchia hanno arrestato mio padre e mi hanno confiscato tutto quello che avevo. Mi hanno portato via anche la libertà, il diritto alla parola, anche il diritto al lavoro”
Facendo un balzo in avanti dal punto di vista cronologico, un altro caso che si può citare è quello del cestista turco Enes Kanter. Anche questo personaggio, che attualmente gioca nella squadra del campionato NBA dei Boston Celtics, si è schierato apertamente contro il presidente Erdogan ed è stato accusato da quest’ultimo di aver fomentato il recente tentativo di golpe del 2016.
Pochi mesi fa, dopo che aveva descritto su Twitter, il leader dell’AKP come “l’Hitler del nostro secolo”, Kanter è stato condannato a ben quattro anni di reclusione. Anche lui, che è stato inoltre accusato di essere un seguace di Gulen, è riuscito ad ottenere asilo negli Stati Uniti data la forte opposizione tra il governo americano e lo stesso Erdogan.
Ma i problemi in patria non sono certo finiti. E’ stato bandito dalla nazionale di pallacanestro turca e qualsiasi riferimento fatto a lui, da parte di cose o persone, non viene minimamente tollerato.
Vista questa sua presa di posizione il cestista ha rinunciato ad una partita giocata, a Londra, nel gennaio 2019, tra i New York Knicks, squadra in cui militava, e quella di Washington. “Non andrò con la mia squadra a Londra, perché se lo facessi correrei il rischio di essere assassinato. Non potrò svolgere il mio lavoro a causa di quel maniaco lunatico del presidente”: queste la parole esatte del giocatore di basket per far capire i veri motivi di questa sua decisione.
Lo scorso ottobre ha rincarato la dose in un’intervista al Boston Globe in cui ha dichiarato: “Come posso restare in silenzio? Ci sono decine di migliaia di persone in prigione in Turchia, tra cui professori, dottori, giudici, avvocati, giornalisti e attivisti. Sono rinchiusi soltanto perché hanno detto di non essere d’accordo con Erdogan. Centinaia di bambini stanno crescendo all’interno di celle strette e anguste al fianco delle loro madri. Democrazia vuol dire avere il coraggio e la libertà di parlare, non dover essere rinchiusi in galera per questo”. Ha anche aggiunto che, in occasione delle sue visite alla Moschea di Boston per pregare, diverse volte è stato avvicinato da turchi sostenitori di Erdogan che lo hanno chiamato traditore.
Ma il gigante di 2,11 metri per 113 chili non si fa intimidire: “Più cresce la pressione attorno a me, più alzerò la voce”.
Nelle ultime ore, attraverso il suo account Twitter, ha messo in luce l’ultimo smacco nei suoi confronti da parte del suo paese d’origine. Alcuni siti di basket turco che trasmettono le partite Nba, infatti, durante le partite dei Boston Celtics, suo attuale squadra, censurano costantemente il giocatore con grossolane strisce nere a coprire ogni sua azione. Questo il suo commento: “E’ molto triste. I siti di basket turco mi censurano durante le partite. Sono affranto per i tifosi turchi che amano la Nba. Per colpa di una dittatura non possono godersi pienamente il basket.”
Lo scontro tra Erdogan e il mondo dello sport turco non ha visto solo rapporti tesi tra il presidente e singoli sportivi di quel paese. Vi sono anche casi di intere squadre messe sotto accusa: un esempio che si può fare in questo ambito è quello dell’Amedspor.
Del caso ne abbiamo già parlato anche noi in un precedente articolo. Già il fatto che essa sia la squadra del più importante partito curdo della Turchia, il PKK, non rappresenta un buon biglietto da visita.
Si sa infatti che dal 1976, anno di fondazione dello stesso PKK, vi è un forte e chiaro contrasto tra questa forza istituzionale e il governo di Ankara.
Nel febbraio 2016 l’Amedspor, squadra di terza serie con sede a Diyarbakır, capitale del Kurdistan turco sulle sponde del fiume Tigri, si rese protagonista di una vera e propria impresa sul campo: eliminò dalla coppa nazionale il Bursaspor, squadra della massimo campionato turco, riuscendo a qualificarsi ai quarti di finale della competizione dove doveva affrontare il ben più blasonato Fenerbahce.
Pochi giorni dopo l’unità anti-terrorismo della polizia turca compì una irruzione nella sede dell’Amedspor, sequestrando computer e documenti dagli uffici del club. Di seguito si venne a sapere che tale blitz fu deciso dopo che era apparso un tweet, su quello che le autorità ritenevano essere l’account ufficiale del club, che, sempre secondo l’accusa, inneggiava al terrorismo.
Per molti si trattò di un vero e proprio atto intimidatorio contro i rappresentanti sul campo di una minoranza da sempre mal-vista nel paese. Questa repressione, purtroppo, colpì anche altri ambiti. Ai tifosi dell’Amedspor, per esempio, fu impedito di seguire la squadra nella trasferta successiva e alcuni degli stessi supporter furono arrestati ad Istanbul. Infine al giocatore simbolo della squadra, Deniz Naki, fu squalificato per 12 giornate e multato di 19.500 lire turche dopo essere stato accusato di “discriminazione e propaganda politica” visto che aveva fatto un tweet in cui metteva bene in chiaro la sua posizione sulla vincenda.
Nonostante ciò varie e numerose tifoserie di tutta la Turchia hanno espresso la loro solidarietà alla squadra turca. A tal proposito venne redatto un vero e proprio comunicato che metteva bene in chiaro ciò.
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