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A tu per tu con Pino Maddaloni, l’oro di Scampia

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A tu per tu con Pino Maddaloni, l’oro di Scampia

Archiviati gli europei di Judo a Lisbona con tre medaglie raggiunte dagli azzurri, ottimo viatico in vista del prossimo step di Kazan ai primi di maggio in cui avrà luogo il Grand Slam che metterà a disposizione ulteriori pass per Tokyo 2021. Lombardo, la Giuffrida e Parlati, rispettivamente oro, argento e bronzo nelle loro rispettive categorie sono tre dei fiori all’occhiello di un movimento che da sempre ha dato il suo contributo, a suon di risultati,alla gloria dello sport nostrano che sta vivendo in questa delicatissima fase un calendario fittissimo ricco di appuntamenti decisivi per la kermesse nipponica.

 

Quando parliamo di judo a livello mondiale non possiamo prescindere dalla figura che, con i suoi traguardi, ha trascinato questa disciplina alla ribalta dandole quell’appeal mediatico di cui ogni sport ha bisogno per uscire dal letargo dell’anonimato, e questa persona risponde al nome di Giuseppe Maddaloni, Pino per gli amici. Una figura chiave per l’intero settore perché è il simbolo vivente di un riscatto di una comunità, quella della periferia napoletana, che col sudore e la fatica è riuscito a coronare il sogno più grande che ogni atleta insegue da bambino, quello di appendere al collo una medaglia d’oro olimpica. Figlio di Giovanni, che approccia questa disciplina quando Pino è appena nato, viene da subito instradato ai fondamentali dall’amore paterno che veglia su di lui nei vari step, molto repentini, che lo vedono già tra gli esordienti e gli juniores imbattuto e ben tredici volte campione d’Italia e vice campione del mondo nel 1991 nella categoria under quindici. Finita la trafila giovanile nel 1995 Pino entra a far parte delle Fiamme Oro garantendosi quella stabilità finalizzata per preparare al meglio l’ascesa al gradino successivo, quel salto di qualità a livello assoluto che non tarderà ad arrivare nelle successive competizioni internazionali. Si inizia nel 1996 con l’argento al mondiale under 21 di Oporto, preludio al trionfo italiano senior di Ostia nel 1997 e al primo oro assoluto agli Europei di Oviedo 1998, che Pino confermerà l’anno successivo a Bratislava aggiungendo in bacheca anche un bronzo ai mondiali militari di Zagabria. Siamo a cavallo del terzo millennio, il ventitreenne napoletano ha dimostrato la sua forza a livello continentale, ma l’Olimpiade è storia ben diversa e i favori del pronostico a Sydney non sono proprio dalla sua parte perché il confronto con i temibili campioni Nakamura e Pedro non è di sicuro dei più semplici. Pino passa agevolmente i primi due turni, accede ai quarti in cui si sbarazza con autorità del lettone Zelonijs, ma in semifinale dovrà lottare fino all’ultimo per avere la meglio sul bielorusso Laryukov, la medaglia è raggiunta e ad attenderlo in finale c’è l’altra sorpresa del torneo, il diciottenne brasiliano Tiago Camilo. Finale a senso unico dominata dal nostro che esploderà di gioia con quell’urlo incontenibile che lo proietta nella storia olimpica, vent’anni dopo Ezio Gamba, un altro azzurro sale sul gradino più alto del podio, una favola di un ragazzo e di una famiglia che hanno sempre creduto nei valori dello sport dedicandosi anima e corpo per raggiungere questo obiettivo.

L’icona Maddaloni ha raggiunto la massa, il suo esempio positivo è entrato nei circuiti mediatici nazionali dando risalto alla sua tenacia, al suo talento e al suo sorriso raggiante e contagioso, ma non è ancora tempo di sedersi sugli allori perché il calendario internazionale non fa sconti e confermarsi, si sa, è ben più difficile che raggiungere un singolo exploit. Pino continua a stupire per intensità e regolarità di risultati conquistando un argento e un bronzo europeo a Parigi 2001 e Maribor 2002, aggiudicandosi lo stesso anno la Coppa del Mondo a Mosca e l’argento ai mondiali militari di Palermo nel 2003, ma il diavolo ci metterà la coda proprio nell’anno olimpico negandogli la gioia di poter riconfermare il suo oro australiano. Un infortunio serio al ginocchio lo estrometterà dal circuito per tutto il 2004, ma la voglia di rivalsa è ancora più forte e si concretizzerà l’anno successivo con due formidabili ori ai Giochi del Mediterraneo di Almeria e ai Mondiali Militari di San Pietroburgo a cui faranno seguito un argento agli Europei di Tampere del 2006 e la qualificazione ai giochi di Pechino raggiunta con un quinto posto ai mondiali di Rio del 2007. Pino ritenterà in vano ai giochi olimpici Made in China l’incredibile bis, ritirandosi a trentadue anni da una vita agonistica piena di successi nonostante le difficoltà oggettive affrontate a seguito di un infortunio che non né ha scalfito la tempra e la voglia di credere in se stesso. Dopo il ritiro si dedicherà anima e corpo alla direzione tecnica della nazionale maschile di Judo dal 2013 al 2015, provando con difficoltà ad affiancare il padre nella complessa gestione tecnica della palestra paterna nell’hinterland napoletano, la sua storia romanzata sarà oggetto della fiction targata Rai l’Oro di Scampia e dal 2017 otterrà la qualifica di arbitro internazionale, ulteriore tassello di una poliedrica dinamicità insita nel Dna di questo giovane poliziotto quarantatrenne sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di nuove passioni, con lo spirito e l’entusiasmo che da sempre lo contraddistinguono. Lo abbiamo incontrato per condividere con lui alcune riflessioni sull’attuale complicato momento che sta vivendo il mondo dello sport, e per riavvolgere il nastro della sua unica e memorabile epopea agonistica.

Pino buongiorno, partiamo da questo attuale momento che lo sport sta vivendo. Si va avanti tra mille difficoltà e protocolli rigidissimi, ma a farne le spese è stato il movimento di base?

Il danno c’è stato è inutile negarlo, è stato vietato ai bambini e a molti giovani la possibilità di praticare attività, ma sono estremamente fiducioso per il futuro perché la voglia di sport è uno stile di vita che presto ritornerà a farsi sentire. Quello che dispiace è che il nostro Paese non abbia un’educazione sportiva, per fortuna che esistono tradizioni e famiglie storiche, come può essere la scherma a Jesi o il canottaggio a Castellamare di Stabia che fungono da traino e che ritorneranno a vivere e a riemergere. Il problema dell’italiano è che ha talmente tanta voglia di vivere e per questo dimentica spesso le regole, questo ha di fatto complicato le cose, ma posso dirti con franchezza che chi entra in una palestra per allenarsi è rispettoso dei protocolli di sicurezza e che saprà comportarsi di conseguenza quando arriveranno le prime riaperture.

L’evento clou è ovviamente l’Olimpiade di Tokyo che si svolgerà nonostante tutte le difficoltà del caso. Un segnale importante che lo sport deve dare in questa fase?

Assolutamente sì, sono molto vicino a questi ragazzi che hanno subito molto in quest’ultimo anno, sono degli eroi costretti a preparare in modo così difficile la gara della vita, meritano di gareggiare e competere per il loro grande sogno. Dovrà essere garantita la necessaria sicurezza e la Federazione Internazionale ha dimostrato ampiamente in questo periodo che si possono organizzare eventi sicuri, le bolle funzionano e ci sono tutti i presupposti per portare a termine questo evento unico e straordinario anche se l’assenza del pubblico toglierà qualcosa alla solita atmosfera di festa che purtroppo stavolta mancherà.

Torniamo alle origini, alle tue origini. Sei un figlio d’arte cresciuto a pane judo. Eri un predestinato?

Io sono nato quando mio padre aveva venti anni e aveva iniziato a praticare judo un anno prima, per cui non credo proprio di essere stato un predestinato anche perché le prime gare le perdevo regolarmente sentendo enormemente la pressione pre-gara. Avevo sette-otto anni e non ero ancora pronto, poi verso gli undici anni è cambiato qualcosa e ho incominciato a non perdere più in Italia per i successivi otto anni, pur non riuscendomi ad imporre a livello europeo. Un momento chiave è stato il mondiale juniores del 1996 ad Oporto in cui sono arrivato secondo e li ho smentito il mio nemico numero uno, la stampa che mi accusava di essere solo in grado di vincere in patria. A queste critiche ho risposto anno dopo anno con la mia tranquillità e con i risultati senza curarmi più di tanto di chi aveva solo in mente di destabilizzarmi senza alcun motivo valido. Questo è un mio messaggio per i giovani, pensate solo a lavorare su voi stessi e a motivarvi senza subire negativamente le pressioni che vi ruotano intorno.

I valori del judo e delle arti marziali in generale. Sono sport da consigliare e praticare soprattutto in età giovanile?

Sì, soprattutto ai bambini perché la mia esperienza in particolare ha insegnato che lavorando da subito sulla velocità e sull’equilibrio puoi in breve tempo migliorarti in questi fondamentali, ma in generale perché nelle arti marziali ci si allena insieme senza oggetti esterni da utilizzare come un pallone o un attrezzo e questo stimola e invoglia la socialità. Anche se poi si scelgono altri sport io un paio di anni di judo li consiglio a tutti perché i suoi aspetti intrinsechi legati alla fiducia del proprio tecnico o al rispetto del tuo avversario sono valori universali, pietre preziose come la pazienza, l’autostima o il controllo della forza ci possono essere utili nella vita in assoluto. Una grande comunità dove si condividono in maniera sana valori etici e salutari per affrontare al meglio la pratica sportiva.

La tua esperienza dorata a Sidney, ricordi e sensazioni? Che cos’ha di speciale un Olimpiade per un’atleta?

Ricordi incredibili, in quella medaglia c’è tanto perché ha rappresentato in primis una rivalsa per chi come me, che viene da una zona umile e complicata del Paese, deve dimostrare ogni volta che anche in quelle zone c’è qualcosa di buono che nasce e cresce. E’ stato più di un sogno e sono stato incredibilmente felice di aver portato alle luci della ribalta il judo mettendo la mia immagine a disposizione per far del bene a tanta gente che ne aveva bisogno. Vivere l’esperienza del villaggio olimpico è stato come transitare perennemente dentro un film, ero un fan che guardava con ammirazione i suoi campioni chiedendo autografi e facendo foto con tutti i suoi idoli, poi ricordo con grande emozione la telefonata di mia mamma la sera prima che mi ha detto di non cercare scuse e di vincere perché se lei ci credeva era impossibile che non ci credessi anche io.

 

 

Il rapporto con la tua Napoli, odio e amore? Cos’è che non ha funzionato?

E’ oggettivamente un rapporto difficile perché da un lato io amo la mia città, i valori di solidarietà e altruismo sono connaturati al Dna della gente anche se c’è tanto da discutere su chi ha le leve del potere che non ha tra le sue priorità il destino dei giovani che vogliono fare sport. Servono più strutture, più palestre e punti di aggregazione per uscire da un degrado strutturale e culturale, ma non voglio banalizzare questi temi perché sono trasversali e non riguardano solo Napoli. Io ho provato a fare qualcosa per questa città e per ora non me ne vado e continuo a restare qui però bisogna darsi una mossa perché il Covid ha accelerato quel disagio sociale che non deve diventare insostenibile, sarebbe gravissimo.

Parliamo di questa bellissima fiction, L’Oro di Scampia. Com’è nata e come si è sviluppata?

Sono fortunato ad avere un papà che è un grande sognatore che spesso mi coinvolge in quello fa perché mi ritiene il suo miglior prodotto. Ha scritto un po’ di libri e da uno di questi Marco Pontecorvo ha deciso di coinvolgere Beppe Fiorello, che ancora ringrazio, in quest’avventura autobiografica che descrive i risvolti di questa medaglia raggiunta da questo ragazzo che è partito da lontano e con poco ha vinto tanto, una metafora ovviamente romanzata di una storia che è stata raccontata con i toni ed il cast giusto che ringrazio ancora oggi per la sua alta professionalità.

Il movimento nazionale del nostro judo. Questi Europei sono di sicuro un bel segnale di continuo ricambio e di alta competitività?

Sono di sicuro risultati confortanti, siamo vivi e siamo assolutamente competitivi a livello mondiale, ma dobbiamo comunque aumentare il range dei nostri tesserati e continuare ad avere più promozione. A livello top abbiamo diverse carte da giocare per Tokyo sia a livello maschile che femminile, ma non bisogna dormire sugli allori e tenere la guardia sempre alta. Si deve continuare a parlare di judo in tutti i modi possibili e invogliare nuovi giovani a cimentarsi in questa disciplina, ma sono da ex allenatore federale non ho timori e sono fiducioso e convinto che il movimento saprà andare avanti e attirare sempre nuove giovani leve.

 

La tua decisione di diventare arbitro internazionale? E’ difficile arbitrare il judo?

Attualmente sono supervisor per la Federazione mondiale, è stata una scelta voluta e non mi aspettavo che sul tatami ci fosse così tanta tensione simile a quella che si prova a gareggiare. Forse la ricerca di queste intense sensazioni emotive mi ha spinto a provare questa esperienza che comporta una grande responsabilità nei confronti degli atleti, che possono essere penalizzati da una mia decisione sbagliata, che cerco di affrontare con l’energia e la concentrazione giusta. Devo tenermi sempre aggiornato su norme e regolamenti e stare sul pezzo, questo mi fa sentire pienamente coinvolto a trecentosessanta gradi nel mondo del judo che ho affrontato con lo stesso coinvolgimento in tutti e tre i diversi punti di vista.

L’importanza delle Fiamme Oro.Quanto sei riconoscente a questo Corpo e in che modo è stato decisivo per la tua carriera?

Sono poliziotto dal 1995 e sono fiero ed orgoglioso di esserlo perché oltre a garantirmi la tranquillità e la serenità economica di cui ogni atleta ha bisogno, mi ha permesso di concentrarmi sul judo fornendomi tutto il supporto logistico utile per potermi esprimere. Anche il rapporto con colleghi dei vari reparti è sempre stato un momento di confronto e di crescita utile per vivere serenamente la quotidianità, un’esperienza che mi ha arricchito tanto come persona al di là dell’aspetto agonistico. Essere diventato l’anno scorso il loro direttore tecnico è un ulteriore motivo di orgoglio che spero di onorare col massimo impegno, ho dei colleghi forti e insieme potremo fare un bel lavoro nel medio-lungo periodo.

Chiudiamo con un messaggio di speranza. La pandemia prima o poi allenterà la sua morsa, un motivo in più le giovani generazioni di appropriarsi della loro libertà e di muoversi all’aperto? Più sport e meno social?

Sì è un’opportunità cruciale da non sprecare e spero che innanzitutto i media, che tanto si sono prodigati in questa fase a dirci cosa potevamo o non potevamo fare, utilizzino il loro enorme potere per incentivare le riaperture di palestre, piscine e centri sportivi veicolando con forza ed entusiasmo questi nuovi bisogni di cui i giovani necessitano. Sarà fondamentale dare risalto per esempio agli atleti che torneranno da Tokyo con una medaglia, farli diventare testimonial viventi dei valori dello sport, invogliando i ragazzi ad approcciare le più svariate discipline. Destinare inoltre ingenti risorse del Recovery Plan a iniziative inclusive che sostengano le famiglie e i propri figli a vincere questo torpore generale per educare alla pratica sportiva le nuove generazioni. Ognuno dovrà fare la sua parte, solo così piano piano riusciremo ad invertire una tendenza negativa che va avanti da troppo tempo. Diamoci tutti una mossa, recuperiamo i giovani e non lasciamoli a loro stessi e al loro destino solitario, fatto di social e smartphone, sarebbe una sconfitta di tutto il Paese.

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