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A tu per tu con Pietro Piller Cottrer, il “Caterpiller” dello sci di fondo

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A tu per tu con Pietro Piller Cottrer, il “Caterpiller” dello sci di fondo

A pochissimi giorni dal via della ventiquattresima edizione dei Giochi Olimpici invernali di Pechino i protocolli di sicurezza adottati dal Governo cinese hanno di fatto escluso la vendita dei biglietti al pubblico. Assisteremo, come già successo per Tokyo, ad un’edizione orfana di spettatori che penalizzerà non poco l’evento clou della stagione invernale alle prese con gli inevitabili casi di Covid e le relative bolle in cui dovranno convivere gli atleti. Pronta a dire la sua la spedizione azzurra con diverse frecce al suo arco, ma che vedono nello sci di fondo uno dei suoi talloni di achille a causa degli scarsi risultati conseguiti nelle ultime due edizioni, dopo i trionfi della nouvelle vague capitanata in campo femminile da Belmondo e Di Centa e in quello maschile da grossi calibri come Fauner, Vanzetta, Di Centa e Piller Cottrer.

Il quarantasettenne carabiniere originario di Sappada, soprannominato Caterpiller è stato uno degli alfieri di quel movimento che ha visto la sua consacrazione nell’edizione Torinese del 2006 conclusa con due fantastici ori e due bronzi ai quali ha contribuito in maniera decisiva ritagliandosi uno spazio nella storia dello sci nordico nostrano. Pietro debutta a venti anni in Coppa del Mondo nella sua Sappada e dopo due anni fisiologici di esperienza e apprendistato ottiene, a marzo del 1997, il suo primo trionfo internazionale nei 50 km della classica Holmenkollen di Oslo, primo azzurro nella storia a riuscire in questa impresa, oltre al primo bronzo iridato in staffetta nei mondiali norvegesi di Trondheim. Dopo l’esordio olimpico a Nagano 1998, in cui ottiene un sedicesimo posto nella 50km, e diverse affermazioni nei campionati italiani ottenute a cavallo tra fine novanta e inizio duemila, è tempo di Salt Lake City 2002 dove il nostro appenderà la prima delle sue quattro medaglie olimpiche al collo. Un argento straordinario ottenuto con Di Centa, Maj e Zorzi, a pochissimi centesimi dalla Norvegia che ha la meglio per soli tre decimi nello sprint decisivo, al quale farà seguito nello stesso anno e nella stessa specialità un altro argento in Coppa del Mondo a Kiruna, in Svezia, con Valbusa, Di Centa e Zorzi.

L’anno successivo torna al successo individuale in Coppa nella 15 km a tecnica libera di Beitostolen in Norvegia, ma l’anno che lo  consacrerà nel gotha dello sci nordico sarà il 2005: oro ai mondiale tedesco di Oberstdorf nella 15 km a tecnica libera e successo in Coppa, nella stessa specialità, nella tappa canadese di Canmore. L’Olimpiade Torinese è alle porte, Pietro ci arriverà con la maturità e la consapevolezza giusta per lasciare il segno, e i risultati daranno ragione a questo gruppo formidabile di cui Caterpiller sarà di una delle colonne portanti. Il 2006 si aprirà con una vittoria in Val di Fiemme nella 4×10 di Coppa e proseguirà nella rassegna a cinque cerchi con uno strepitoso oro a squadre, con i soliti Valbusa, Di Centa e Zorzi, in cui la sua terza frazione entrerà di diritto negli annali dello sci di fondo, mandando in delirio la platea di Pragelato. A completare l’opera arriverà anche un bronzo per soli 0,9 secondi nella incredibile 30km a inseguimento, ricordi indelebili per un atleta che a trentadue anni è nel pieno della maturità e che Torino ha portato alla ribalta col suo sguardo pulito e determinato che supportano una classe e un talento fuori dal comune. Nei mondiali di Sapporo del 2007 arriva la terza medaglia, un altro bronzo nell’inseguimento, l’anno successivo il miglior piazzamento in classifica generale di Coppa del Mondo classificandosi terzo e nel 2009 riesce, primo e unico azzurro ad esserci riuscito, la classifica finale della Coppa di Lunga Distanza che premierà la costanza e continuità di risultati consolidata col successo decisivo nella tappa canadese sui 30 km di Whistler. E’ di nuovo tempo di Olimpiadi a Vancouver, le tue ultime, ci arriva determinato per lasciare l’ultimi segno della sua immensa classe che si concretizzerà con un argento nella 15 km a tecnica libera, la quarta assoluta e seconda individuale a cui vanno aggiunte le tre mondiali e gli oltre trenta podi in Coppa del Mondo, traguardi importanti di una carriera straordinaria che si chiuderà nel 2013 per cominciare quella di allenatore, occupandosi del settore giovanile. Anni difficili, avari di successi a cui ci avevate fin troppo bene abituati, ma dedicati a ricostruire  e riprogrammare la nostra competitività partendo dal basso e avvalendosi di tecnici esperti che con la loro esperienza avrebbero pian pianino riportato l’Italia dello sci nordico ai livelli alti di inizio duemila. Ha fatto la sua parte con ottimi risultati nei settori juniores, ma circa due anni fa la presidenza Fisi gli ha tolto l’incarico lasciando un po’ di comprensibile amaro in bocca, per poi rientrare nella sua Arma dei Carabinieri che da sempre lo supporta per dedicarsi alla crescita dei ragazzi del Centro Sportivo tra i giovani arruolati del rispettivo settore giovanile. Abbiamo avuto il piacere di contattarlo per rivivere con lui i meravigliosi momenti della sua carriera e le prospettive dello sci di fondo azzurro alle prossime imminenti Olimpiadi di Pechino.

Pietro buongiorno, partiamo dalla stretta attualità. Pechino è alle porte, senza biglietti venduti e le solite restrizioni. Che manifestazione sarà e quanto è difficile per un atleta dover gareggiare con l’incubo perenne di una positività che può vanificare anni di lavoro e preparazione?

Questa situazione non è affatto bella, e da un mese che si combatte a denti stretti con questa paura, c’è tanto nervosismo e tanta agitazione, son due anni che si cerca di adottare tutte le precauzioni possibili per preservare gli atleti racchiudendoli dentro questa bolla. C’è poco da fare bisogna sperare nella buona sorte, la regolarità delle competizioni è fondamentale e sacra, speriamo non venga inquinata dal Covid perché a rimetterci sarebbe lo sport. Pensiamo positivo e speriamo sia una bella Olimpiade in cui si parli solo di medaglie e imprese.

Le nostre prospettive a Pechino. Abbiamo delle chancès o siamo un po’ indietro rispetto agli storici colossi russi e scandinavi?

Abbiamo Federico Pellegrino e Francesco De Fabiani come punte di diamante e carte concrete per un podio, spendibili non solo nella sprint ma anche nella staffetta 4×10, in più De Fabiani ha dimostrato di potersela giocare anche nelle grande distanza come dimostrato ampiamente al recente Tour de Ski. Poi ci sono altri atleti, sempre a livello maschile, tra cui Salvadori e Rastelli che hanno la giusta esperienza per poter fare bene, mentre come outsider io metterei Ventura e il mio paesano Davide Graz che a ventidue anni ha già dimostrato il suo talento, sarà la sua prima Olimpiade e un‘esperienza importante da capitalizzare tra quattro anni a Cortina 2026.

I tuoi inizi, ricordi della fase giovanile? Quando hai capito di avere i numeri per poter arrivare così in alto?

E’ un discorso che parte da molto lontano, sin dalle categorie giovanili ho sentito il feeling giusto e queste doti che madre natura mi aveva fornito, questo senz’altro mi ha dato fiducia e la voglia di crederci. Poi nei giorni vicini al mio ventesimo compleanno esordisco in Coppa del Mondo nella mia Sappada, emozioni indescrivibili e grande tensione, parto in testa al primo chilometro e poi arrivo novantesimo. Da quel momento in poi ho iniziato regolarmente a gareggiare e, pur con le mie fisiologiche battute d’arresto, ho cominciato a raggiungere i primi risultati e lavorando duramente la mia crescita è stata costante fino a portarmi ai traguardi che nel tempo ho raggiunto. Predestinazione, consapevolezza e tanto allenamento, questo mix è stato a mio avviso alla base di tutto quello che ho fatto come atleta.

Quattro medaglie olimpiche e tre mondiali. Ce n’è una che porti dentro più delle altre? Una delusione che non sei riuscito a mandar giù?

Difficile dare una priorità di importanza ad una medaglia, perché sono tutte belle e ti lasciano dentro qualcosa. Tra le quattro olimpiche sicuramente il bronzo di Torino nella 30km perché è la prima vinta individualmente, ma anche la prima a Salt Lake City 2002 e quella in staffetta a Torino, dove ero circondato dai miei affetti, sono ugualmente impresse nella mia mente. L’ultima di Vancouver raggiunta a trentacinque anni è quella della maturità e ne sono altrettanto fiero, per cui come vedi è difficile fare una scaletta, mentre di delusioni ne vuoi solo una? La mia prima Olimpiade a Nagano nella 50km stavo bene ero nel trenino perfetto per giocarmi il podio, prendo della neve marcia e mi sono insaccato nelle reti, ci metto cinque minuti per venirne fuori e addio sogni di prima medaglia olimpica.

La preparazione fisica e mentale di un fondista. Non è certamente una disciplina semplice, e richiede grandi doti psicofisiche di resistenza?

Premesso che lo sci di fondo mi è stato praticamente indotto da mio padre, mentre io andavo tranquillamente con lo sci alpino, è chiaro che quando hai vent’anni devi rubare con gli occhi il mestiere a chi è più esperto di te e in questo direi di essermela cavata abbastanza bene. Col tempo impari a gestirti in maniera autonoma e a calibrare correttamente le tue forze, per l’aspetto mentale è stata importante la stabilità affettiva che solo l’ambiente familiare può darti. Mi sono sposato giovane e questo mi ha dato quella tranquillità necessaria per affrontare non solo la parte agonistica in quanto tale, ma tutti gli aspetti legati al prima e al dopo che sono altrettanto importanti per la serenità di un atleta professionista.

L’Arma dei Carabinieri che da trent’anni ti supporta in tutto e per tutto. Quanto sono importanti questi Corpi dello Stato delle carriere di molti atleti?

Dobbiamo tutti noi essere grati a questi corpi militari senza i quali molti cosiddetti sport minori non esisterebbero al livello attuale. Son trent’anni che grazie all’Arma non devo preoccuparmi di sbarcare il lunario in qualche modo, una tranquillità necessaria che mi ha permesso di concentrarmi solo sul mio percorso agonistico e posso dirlo in tutta sincerità che hanno da subito creduto in me essendo di fatto il mio primo sponsor. Ancora oggi sono con loro da allenatore al Centro Sportivo e mi sto prendendo cura dei ragazzi col massimo impegno e dedizione.

La tua parentesi da allenatore delle nazionali giovanili. Due anni fa sei stato sostituito senza un vero motivo nonostante i tuoi ottimi risultati. Ti sei chiesto come mai la Fisi abbia deciso in tal senso?

Ho chiesto ufficialmente il perché di questa scelta al Presidente Roda, ma purtroppo risposte non mi sono mai ufficialmente arrivate e ahimè me ne sono fatto una ragione. Nel 2013 appena ho smesso di gareggiare ho iniziato come aiuto allenatore per poi prendere in carica l’under 23 femminile, dopo mi sono dedicato al settore giovanile maschile e risultati ne sono arrivati raggiungendo tante medaglie, che non si vedevano da tanto tempo, ai mondiali di categoria. Certamente non sono stati gli obiettivi a mancare durante la mia gestione, ho la coscienza a posto e vado fiero del percorso fatto in tutti questi anni in cui ho lavorato con tanti giovanissimi per rilanciare lo sci di fondo azzurro, se poi un domani qualcuno vorrà darmi una spiegazione sarò ben lieto di ascoltarla.

Il ricambio generazionale dopo i vostri anni d’oro a cavallo tra fine novanta e inizio duemila. Difficile oggi reclutare nuovi giovani disposti a lavorare duramente in uno sport così poco retribuito? Problema generazionale?

Problema ampio e complesso che coinvolge tantissime discipline sportive, è chiaro ed evidente che i giovani di oggi sono bombardati costantemente da ogni tipo di device e da allenatore cerco di immedesimarmi chiedendomi spesso cosa sarebbe successo se anche negli anni novanta io fossi stato soggetto a questo sovraccarico di informazioni e distrazioni. Posso dirti però quest’anno come non mai qui a Sappada, che ha millequattrocento abitanti, ci sono settanta ragazzini che frequentano lo sci club ed è un dato impressionante, per cui credo sia sbagliato generalizzare. Se si riesce a trasmettere la passione e la voglia ai nostri ragazzi si è comunque fatta cultura sportiva che ad oggi è già un messaggio importante che soprattutto in questa fase di chiusura deve raggiungere le nuove generazioni.

Il doping nello sci di fondo. Problema risolto o bisogna tenere sempre alta la guardia?

Ero già fuori da questi discorsi quando ero in gara, ma ai miei tempi qualcuno che ha cercato di fare il furbo c’è stato. Oggi non ne sento più parlare e io voglio credere, anche ingenuamente, che queste pratiche che non hanno nulla a che fare con lo sport siano state completamente debellate e archiviate in maniera definitiva.

Chiudiamo con un messaggio di ripresa e speranza soprattutto per i giovani. Prima o poi usciremo da questa pandemia, un motivo in più per utilizzare il PNNR per rinnovare anche il mondo degli sport invernali. Quali interventi a tuo avviso andrebbero messi in atto?

La priorità è sena dubbio il reclutamento, dobbiamo invogliare più giovani possibile a mettere un paio di sci ai piedi e provare le basi dell’attività motoria legate alla nostra disciplina. Servono tecnici che riescano a lavorare col settore giovanile in grado di creare le fondamenta dei campioni del futuro, a mio avviso bisognerebbe agire in tal senso. Non è per fortuna un problema di impianti o di strutture, ma di risorse umane che vanno convogliate nella giusta direzione con investimenti mirati. La voglia di fare sport dei ragazzi c’è e dopo questa pandemia sarà ancora più bello vedere i nostri figli riappropriarsi del proprio tempo e dei propri spazi facendo sport all’aperto.

 

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