A tu per tu con Marco Galiazzo, l’occhio di falco azzurro
Momenti decisivi per le sorti delle Olimpiadi di Tokyo che, a detta del Comitato Organizzatore, si svolgeranno a prescindere dall’evoluzione pandemica tutelando in primis la voglia di competere degli atleti che attendono questa kermesse dopo cinque anni di lunga e spasmodica attesa. Il mondo dello sport in generale vive questi momenti con grande fibrillazione ancorandosi da un lato alle rassicurazioni del C.I.O e dall’altro cercando di svolgere regolarmente i rispettivi calendari agonistici, con le logiche ed evidenti difficoltà di settore. Non fa eccezione il mondo del Tiro con l’Arco che vede nell’evento giapponese il momento mediatico clou per mettersi in mostra e far accendere i riflettori spesso spenti per sport considerati ingiustamente minori, e che ripartirà ad aprile tra Coppa del Mondo, Europei e l’importantissimo pre-olimpico di Parigi, per poi vivere i momenti topici in estate a Tokyo e ai mondiali statunitensi di fine settembre a Yankton.
Re indiscusso di questa disciplina è il trentasettenne padovano Marco Galiazzo che, con i suoi storici risultati, ha dato lustro al mondo degli arcieri azzurri che mai erano arrivati così in alto raggiungendo vette fino a quel momento lontanamente immaginabili. A soli ventun’anni Marco compie l’exploit della vita, aggiudicandosi alle Olimpiadi di Atene un incredibile oro individuale battendo in finale il più esperto e accreditato Hiroshi Yamamoto che all’epoca aveva il doppio dei suoi anni. Una vittoria che rilancia un movimento che vede nel gioco di squadra una freccia potentissima a disposizione degli archi azzurri, che si sono ripetuti a squadre con due altri prestigiosissime medaglie, d’argento a Pechino 2008 e d’oro a Londra 2012 in cui Galiazzo ha condiviso l’onore del podio con Nespoli in entrambe le occasioni, con Di Buò in Cina e Frangilli nel Regno Unito.
In mezzo a questi storici trionfi a cinque cerchi, frutto di una costante competitività, il nostro si è arruolato nel 2006 nel Corpo dell’Aeronautica Militare, raggiungendo nel 2009 il trionfo in Coppa del Mondo assoluta sconfiggendo nelle finali di Copenaghen il quotatissimo Simon Terry e consacrando definitivamente la sua carriera nell’Olimpo dei grandi nel 2012, laureandosi campione del mondo individuale a Las Vegas. Il suo palmarès è arricchito da due bronzi iridati a squadre nel 2011 e 2013, da un oro individuale agli Europei di Bruxelles nel 2004 e da due ori e un argento a squadre continentali che lo fanno l’arciere azzurro più medagliato di sempre, degno delle onorificenze che spettano ai grandi dello sport azzurro. Nel 2004 dopo l’impresa ateniese fu Carlo Azeglio Ciampi a nominarlo Commendatore al Merito Sportivo, mentre nel 2017 per i suoi successi Olimpici è stato insignito col Collare d’Oro per merito sportivo, riconoscimento doveroso per l’atleta che col suo talento, il suo imperturbabile aplomb e la sua abnegazione ha dimostrato in quasi venti anni di che pasta è fatto. I suoi obiettivi sono chiaramente focalizzati su una stagione ricca di impegni e competizioni che culmineranno nella edizione Olimpica nel Sol Levante in cui Marco proverà a confermare e migliorare sè stesso nella speranza che nuovi talenti possano pian pianino innestarsi su un così solido telaio per compiere quel ricambio generazionale auspicabile per tutto il movimento. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo in questi delicatissimi momenti di training e attesa per condividere e analizzare con lui questa complessa fase di avvicinamento alle gare e per rivivere le tappe salienti della sua bellissima carriera.
Marco buongiorno, partiamo dall’attuale momento che stiamo vivendo. La vostra stagione ripartirà in primavera, tra gare di coppa e il pre-olimpico di Parigi. Come hai vissuto il primo lockdown e come ti stai preparando per questa stagione?
Di certo non è stato e non è tutt’ora un periodo facile, abbiamo purtroppo prolungato gli allenamenti che avevamo pianificato per Tokyo 2020, si è aggiunto un anno in più e stiamo cercando di prepararci al meglio per questa stagione importantissima per noi, l’importante sarà di certo poter tornare a gareggiare e a competere e testarci con i nostri futuri avversari, solo così avremo un quadro reale della nostra preparazione altrimenti restiamo solo nel campo delle ipotesi.
Le Olimpiadi dovrebbero svolgersi regolarmente, che tipo di kermesse sarà? Di sicuro non ci sarà il pubblico, ma l’importante per voi atleti è potervi esprimere in gara?
Sicuramente l’importante è poter tornare in gara, rispettando ovviamente tutti i protocolli di sicurezza che saranno impegnativi, ma necessari. La mancanza di pubblico toglierà di sicuro un aspetto importante alla rassegna, anche da un punto di vista pubblicitario, ma a noi cambia poco perché quando sei in gara sei concentrato solo su te stesso. Ormai ci stiamo abituando alla mancanza di spettatori, sappiamo che dovremo conviverci ancora per un bel po’, ma quel che conta in questa fase è smetterci di allenare e tornare a far sul serio, la gara è il sale di questo e di tutti gli sport in generale.
Hai iniziato a praticare il tiro dell’arco da adolescente con tuo padre, che è diventato tuo allenatore. Quando hai cominciato a capire che avevi i mezzi per poter competere?
Ho iniziato per gioco come si fa da ragazzi, ero curioso di provare e già al primo corso ho percepito che certi automatismi mi venivano facili e ho iniziato a gareggiare. L’anno dopo ho vinto i Giochi della Gioventù e da lì ho cominciato a crederci davvero, allenandomi intensamente. A sedici anni mi sono trovato in nazionale e ho avuto modo di concentrarmi e migliorarmi a tempo pieno, raggiungendo in breve tempo i primi risultati a livello nazionale e internazionale. E’ successo tutto molto rapidamente, di sicuro il talento aiuta, ma anche il lavoro e l’allenamento in una disciplina come questa possono fare la differenza.
Metodologie di allenamento, sia fisiche che mentali? Qual è a tuo avviso il differenziale tra un buon arciere e uno vincente?
La fase di preparazione secondo me incide tanto a livello di prestazioni, è importante pianificare i suoi aspetti alternando intensità e quantità a seconda degli impegni stagionali. Un arciere consolidato da un punto di vista tecnico può far bene di sicuro, ma quando si arriva al top la componente mentale è l’aspetto che può fare davvero la differenza, tirare fuori il meglio nel momento decisivo senza cedere alla tensione emotiva. Siamo seguiti da uno psicologo federale durante i nostri raduni col quale testiamo la nostra tenuta psico-fisica, mettendo in atto dei correttivi quando necessari per gestire al meglio la pressione.
Parliamo di materiali, argomento sconosciuto a noi profani. Quale tipo di Arco di usa per le Olimpiadi e a quali distanze si gareggia?
Partiamo dal fatto che sono utilizzabili solamente attrezzi che sono in commercio da un anno, e che non sono consentiti i prototipi. Il livello raggiunto in questi ultimi anni è di altissimo profilo per cui l’aspetto più importante è tarare l’arco a misura di arciere, ogni professionista può personalizzarsi i suoi materiali per le proprie esigenze specifiche, un po’ come accade per le scarpe da atletica o la racchetta da tennis, e su questo aspetto si studia e si investe tanto a livello tecnologico. Alle Olimpiadi si utilizza l’arco ricurvo e la distanza è quella dei settanta metri.
Nel 2006 sei entrato a far parti dell’Aeronautica militare. Una sicurezza per voi atleti? Questi Corpi militari vi permettono di concentrarvi solo sulla performance senza incertezze sul futuro?
E’ assolutamente vero, sono di un’importanza fondamentale. Nel mio caso, come in quelli di altri miei colleghi, si arriva ad un bivio dove bisogna scegliere tra il continuare ad allenarsi nella propria disciplina o di smettere e lavorare per il proprio corpo di appartenenza. Il fatto di potersi dedicare alla propria passione senza quell’incertezza e quella tensione negativa è stato e continua ad essere per me uno degli aspetti cruciali che mi ha permesso di raggiungere gli obiettivi che mi ero prefisso. Un grazie va dato doverosamente all’Aeronautica che mi supporta in tutto e per tutto.
Oro nel singolo ad Atene 2004 e a squadre nel 2012 a Londra. Nel mezzo un argento a squadre a Pechino 2008. Gioie immense, ma diverse?
Sicuramente sono due gare completamente diverse, un po’ come il singolo e il doppio nel tennis a cui anche il Tiro con l’arco si è avvicinato sostituendo per motivi di spettacolarizzazione le gare a punteggio, con quelle a set, ma comunque la gioia di una medaglia olimpica è incredibile a qualunque titolo e ti ripaga delle attese e dei sacrifici che hai dovuto fare. Nel singolo sei concentrato su te stesso e il peso delle tue azioni ricade solo di te, nel gioco a squadre invece la responsabilità e la pressione sono ancora maggiori perché un tuo errore può penalizzare il team e portarlo alla sconfitta, ma dall’altro lato affrontare insieme delle sfide condividendole è di sicuro anche più affascinante e stimolante perché ti senti parte integrante di un gruppo con cui fai squadra.
Il movimento in generale. Tolti voi gloriosi vecchietti c’è un ricambio generazionale in corso? O ci aspettano tempi duri? Quanto dura la carriera di un arciere?
Di sicuro non è un momento roseo, ma questo non riguarda solo il nostro sport. Direi che pian pianino qualche giovane emergente sta venendo su, ma il problema è che questa pandemia ha fermato tutto e da un anno siamo tutti ai box per cercare di capire dove possiamo arrivare. Il mese prossimo avremo una gara di Coppa in Croazia, sarà un bel test per i nostri giovani e poi a Parigi saremo tutti in lizza per il pass olimpico. Fino a qualche anno un arciere poteva tranquillamente dire la sua anche alla soglia dei quaranta, oggi invece il livello è troppo alto e i risultati ci dicono che oggi i trentenni hanno di sicuro più chances. E’ aumentato anche il range delle nazioni che ha investito in questi ultimi anni tirando fuori atleti fortissimi, per cui il rischio più alto che corriamo è quello di rimanere indietro nelle competizioni che contano.
Domanda generazionale per chiudere. Quando quest’incubo sarà finito riprendiamoci la nostra vita e ricominciamo a fare sport? Qualche buon motivo per provare a tirare con l’arco?
Intanto perché bisogna provare vari sport, cosa che non fa assolutamente male. Personalmente non ho mai conosciuto un ragazzo che abbia fatto un tentativo con l’arco che mi abbia detto che non gli sia piaciuto, può essere un bellissimo hobby e si svolge prevalentemente all’aria aperta. E’ anche un’ottima sfida con se stessi per mettersi alla prova e migliorarsi, concentrandosi su un obiettivo. Prima a poi la pandemia ce la lasceremo alle spalle, fare sport deve essere uno dei modi migliori per riprendere la vita di tutti i giorni stando insieme e non isolandosi.