A tu per tu con Isolde Kostner, la leggenda dello sci azzurro
In questo caotico ed indecifrabile momento che sta vivendo il Paese, tra il Natale alle porte e le inevitabili relative restrizioni, il settore invernale sta risentendo come è più di altri delle chiusure degli impianti e di un indotto che per lo meno fino a metà gennaio dovrà fare i conti con i mancati guadagni che metteranno a rischio diversi addetti del settore. Momenti difficili anche per il settore alberghiero alle prese con prenotazioni azzerate e un’incertezza globale che inciderà pesantemente su economie che si basano su un turismo stagionale oggi seriamente compromesso.
Problemi che coinvolgono anche la ex sciatrice azzurra Isolde Kostner che, da quando ha tolto sci e scarponi da piedi, ha dedicato il suo tempo e le sue attenzioni ai suoi tre figli e alla gestione dell’albergo di famiglia in Val Gardena, il mitico Hotel Soraiser. Carriera impressionante quella della campionessa di Ortisei, unica sciatrice capace di aggiudicarsi per ben due anni consecutivi– 2001 e 2002 – la Coppa di cristallo della disciplina veloce per eccellenza, la discesa libera. A questi risultati unici e difficilmente ripetibili in Coppa del Mondo, farciti da quindici vittorie, cinquantuno podi totali e due quarti posti assoluti nel 1996 e 2000, vanno aggiunte le sei medaglie olimpiche e iridate conquistate nell’arco di soli sette anni, frutto evidente di una straordinaria e costante competitività. Tre quelle a cinque cerchi, due bronzi in discesa e Super G a soli diciotto anni a Lillehammer nel 1994, e un oro scippatole a sorpresa nel 2002 Salt Lake City dalla non pronosticata Carole Montillet, e altrettante quelle mondiali, tutte in Super G, con un argento a Sankt Anton nel 2001 e due splendidi ori a Sierra Nevada 1996 e quello indimenticabile di Sestriere 1997.
Giunta all’apice dalla maturità agonistica, un grave infortunio nelle prove della discesa di Lake Louise nel 2002 ha compromesso la parte finale della sua attività riuscendo comunque a centrare un’ultima vittoria – la dodicesima in discesa – nel 2004 ad Haus ed un ultimo podio nel Super G di San Sicario nel 2005. Un mese prima dell’accensione della fiaccola di Torino 2006 annunciò al mondo la sua gravidanza e il suo contestuale ritiro dal Circo Bianco, dopo tredici anni di esemplare carriera che ha concluso in abito nuziale spegnendo il braciere olimpico. Quella sua schietta sincerità, quel sorriso genuino e contagioso unito alla tecnica e alla scorrevolezza dei suoi materiali ci mancano, nessuno dopo di lei è riuscito a dettare legge nella velocità femminile nonostante il livello altissimo delle quote rosa che continuano a mietere successi nelle discipline tecniche, perché Isolde quelle doti le aveva sia geneticamente che mentalmente, grazie ad una grande disciplina e un amore incondizionato per la neve alla quale ha dedicato tutta se stessa. L’abbiamo raggiunta telefonicamente nel suo hotel per condividere con lei alcune impressioni sul difficile momento attuale e rivivere, ripercorrendo le tappe più importanti, la sua straordinaria e indimenticabile carriera.
Buongiorno Isolde, partiamo con l’attuale momento legato alla chiusura degli impianti. Stagione compromessa per tutto il settore, scelta giusta o si poteva fare di meglio?
Posso dirti francamente che non so se sia o meno la scelta giusta, non sto seguendo questa fase in maniera dettagliata, ma so che c’è gente titolata che sta decidendo il da farsi tenendo conto dei rischi e delle esigenze legate ad attenuare l’epidemia. Noi viviamo la nostra vita attenendoci alle regole e rispettando le scelte della politica, poi certo vedere gli assembramenti nei centri commerciali non è una cosa bella, come anche le immagini delle piste da sci in Svizzera iper-affollate fa riflettere. Ognuno deve fare i conti con la propria coscienza e col proprio codice etico di comportamento, in questo mi sento tranquilla e spero che almeno la seconda parte della stagione invernale possa ripartire.
Questa anomala stagione invernale sta entrando nel vivo, purtroppo a porte chiuse. Dal tuo punto di vista di ex-atleta quanto toglie allo spettacolo e all’adrenalina la mancanza di pubblico?
Innanzitutto anche da spettatrice la sensazione che avverto è quella di un coinvolgimento minore rispetto alla normalità, mi sento un po’ più distaccata senza quella passione e quello spirito di sempre. Da atleta che andava in pista nelle discipline veloci ero abituata per lunghi tratti di gara a non avere pubblico presente, ma lo spettacolo della folla all’arrivo e le relative gioie condivise con i tifosi sul momento non avevano prezzo. Ti davano quella forza e quell’adrenalina che è il sale di ogni sport, per cui a qualunque livello è in qualsiasi disciplina la performance sportiva ha bisogno di spettatori presenti con cui condividere i sacrifici che si fanno per arrivarci. Paradossalmente ho la sensazione che invece di assistere a gare di coppa del Mondo si assista a gare di coppa Europa in cui il pubblico non è quasi mai presente, e questo non è un bene.
La tua carriera, vivendo ad Ortisei hai ovviamente preso da subito confidenza con la neve. Quando hai capito che potevi farcela e perché hai scelto la velocità?
Sin da piccola vedevamo assiduamente in tv le gare di coppa, da lì ho iniziato a sognare di poter arrivare a gareggiare e verso i nove-dieci anni ho cominciato seriamente ad allenarmi. Pian pianino mi son trovata verso i quindici ad avere i primi risultati, vedevo che riuscivo a vincere diverse gare juniores e li ho iniziato a crederci davvero. Ho scelto la velocità da un lato perché ricordo che quando mi allenavo in slalom avevo mal di schiena, e dall’altro perché lo sentivo dentro nonostante la paura che mi ha bloccato nella prima gara in cui avevo avuto anche dei problemi con gli occhiali che mi avevano appannato la vista. Poi confrontandomi con i miei allenatori e con il mio compaesano Ermanno Nogler, ex allenatore di Ingmar Stenmark, ho definitivamente abbandonato i pali stretti prendendo confidenza con l’adrenalina che la discesa e il super g mi davano e ho fatto la scelta giusta. E’ stato un lavoro graduale e ragionato che ha scandito tutti i vari step della mia carriera portandomi per mano ai risultati che ho ottenuto.
Le tue vittorie. Hanno più valore le due Coppe di Cristallo in Discesa o le medaglie conquistate in gare di un solo giorno, anche se parliamo di mondiali e olimpiadi?
Credo che personalmente valga molto di più la coppa di specialità per un atleta, essere il migliore in quella disciplina per una stagione intera è di sicuro il massimo riconoscimento. Se poi parliamo di marketing e di audience è chiaro che Mondiali e Olimpiadi, pur essendo gare di un giorno, fanno più notizia e danno grande popolarità, ma non hanno lo stesso valore complessivo di una Coppa di discesa. Se dovessi scegliere mi terrei stretta i miei quindici successi in coppa con tutto quello che hanno rappresentato in termini di lavoro e sacrifici.
Di medaglie ne hai vinte ben sei. Qual è quella che ha un sapore speciale? La tua più grande delusione in carriera?
Vincere nel proprio Paese è davvero un’emozione unica e indescrivibile, l’oro mondiale del Sestriere 1997 è di sicuro tra i ricordi più bella della mia vita da atleta, una gioia che ho avuto il piacere di condividere con tutte le persone che mi sono sempre state vicine. Una cosa che non mi è mai andate giù è l’aver perso l’oro Olimpico a Salt Lake City in discesa, ero convinta di avercela fatta, ma ad un certo è scesa la Montillet che fino a quel momento non aveva avuto grandi risultati e mi ha tolto l’oro. So in quale curva ho perso la gara e ripensandoci ancora in oggi mi resta un po’ di amaro in bocca, ma queste sono le regole dello sci e ho sempre dovuto conviverci, è un piccolo rammarico con il quale convivo.
Piste, materiali e sicurezza. Componenti basilari per chi fa velocità, come sono cambiati in questi ultimi anni? Si va più piano rispetto agli anni in cui correvi tu?
Non sono così rimasta al passo coi tempi, ma è sicuramente positivo il fatto che siano aumentati i raggi di curva degli sci che limita i rischi e gli eventuali danni alle ginocchia e le statistiche sembrano confermarlo. Credo che i materiali si siano evoluti come è giusto che sia e da spettatrice posso dirti che seguo volentieri tutte le gare e non mi sembra che vadano così piano, sicuramente si è limato qualcosa sui salti, ma non a danno dello spettacolo. Ed è bello vedere il movimento femminile azzurro sempre competitivo in ogni tipo e condizione di pista, siamo tecnicamente competitive e in grado di dire la nostra sia in gigante che nella velocità.
Un trend, quello femminile, che negli ultimi anni ci ha sempre regalato grandi soddisfazioni. Coincidenze fortuite o dietro c’è una programmazione tecnica ben definita?
Per me è il frutto dell’ottima scuola italiana di sci, siamo in ambito formativo ai massimi livelli a partire dai principianti fino ad arrivare ai professionisti. E’ un lavoro che parte dal reclutamento dal basso unito al talento dei singoli che in questi anni di certo non è mancato. In questo sport non si improvvisa nulla e per quanto mi riguarda ho avuto sempre al mio fianco allenatori che hanno saputo supportarmi in tutte le varie fasi della stagione, lavorando non solo sull’aspetto tecnico, ma anche su quello mentale e sulla gestione della pressione.
Appena hai annunciato il tuo ritiro mentre eri già in dolce attesa, non hai mai pensato un giorno di poter allenare mettendo a disposizione di giovani talenti la tua esperienza?
A dire il vero sì, allenare mi sarebbe piaciuto dedicandomi magari a stare in pista con atleti più piccoli che iniziano negli sci club, cosa che mi permetterebbe di non dovermi allontanare dai miei tre figli e dall’hotel. Mio marito è già maestro di sci ed io ho dedicato il mio tempo e le mie attenzioni in questi ultimi anni alla gestione familiare e dell’attività di famiglia. Mai dire mai nella vita, di sicuro il mio rapporto con la neve e con le piste non verrà mai meno per cui un domani vedremo, sarebbe un’ulteriore sfida alla quale mi dedicherei con entusiasmo e passione.
La vita di atleta con tutte le scelte che ha comportato, cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto nella vita? Bilancio in attivo? Rifaresti tutto allo stesso modo?
L’unica cosa che mi ha tolto questa vita è stato di sicuro il non poter uscire la sera e andare in giro come facevano tutti gli altri miei coetanei, ma è stata una perdita che personalmente non ha pesato più di tanto, ero troppo innamorata di quello che facevo. Gareggiare a questi livelli mi ha dato tante cose, in primis la voglia di lottare e combattere per degli obiettivi, reagire e rialzarsi subito dopo le inevitabili delusioni e poi posso dirti in tutta onestà che ho avuto la fortuna di vivere in un ambiente sano dove c’era rispetto tra noi atlete pur nella competizione. Si rifarei e rivivrei tutto quello che ho fatto e mi tengo dentro tutti i bei ricordi e le emozioni vissute.
Chiudiamo con una domanda generazionale, chi meglio di te che hai tre figli può dirci come sia cambiato il mondo in questi ultimi vent’anni? I ragazzi di oggi sono più distratti e meno avvezzi alla fatica e al sacrificio rispetto ai tempi della tua adolescenza?
Ho cercato per quanto possibile di tramettergli i valori legati alla passione per quello che si fa, qualunque cosa sia, ma oggi vedo con i miei figli concretamente che c’è meno coinvolgimento e meno voglia di mettersi in gioco per arrivare, faccio sinceramente fatica e non riesco a spiegarmi il perché. Per me è inconcepibile non dare il massimo e non metterci un po’ di amor proprio in più e quella sana cattiveria per fissare e raggiungere degli obiettivi, accontentandosi delle comodità e delle mille distrazioni di smartphone e social. Nel mio caso il mio primo figlio ama il freestyle che non è, a livello giovanile, così organizzato e competitivo per cui prevale in lui l’aspetto ludico e la voglia di stare con gli amici. Generalizzare è sempre sbagliato, ma il trend attuale dei giovani di oggi è più mirato alla tranquillità e al divertimento piuttosto che a fare fatica e rinunce, e questo si riflette ahimè anche nel mondo dello sport in generale.