A tu per tu con Giuseppe Abbagnale, la Leggenda del canottaggio
Non di solo calcio vive l’uomo. Questa fase caotica e deleteria per tutti i settori dello sport si è focalizzata assurdamente solo sul tormentone mediatico tra la FIGC e il Governo inerente la riapertura del campionato della massima serie, oscurando ingiustamente le esigenze e le difficoltà evidenti di una platea di discipline che non godono dello stesso appeal popolare. Ai posteri l’ardua sentenza, ma quello che dovrebbe premere a chi fa informazione è quello di garantire e tutelare la voce dei meno forti alle prese con problematiche gestionali ed economiche non indifferenti. Tra queste di sicuro rientra quella del canottaggio che, come tante, vive un stop forzato e mille incognite dopo l’annullamento di Tokyo 2020 sul quale si riversavano le legittime aspettative dopo anni di sudore e preparazione.
Sport molto diffuso e praticato che ha avuto indiscutibilmente il suo zenit mediatico grazie alle gesta del due di coppia targato Carmine e Giuseppe Abbagnale, che negli anni novanta hanno sbaragliato il campo raccogliendo ori olimpici e mondiali a ripetizione, commuovendo a più riprese il bisteccone Galeazzi le cui dirette hanno fatto epoca. Dopo un inevitabile e fisiologica flessione Giuseppe Abbagnale ha preso le redini della Federazione a fine 2012, riportando, da vero leader carismatico, a galla un movimento che sta dimostrando nel tempo, grazie ad alcuni confortanti risultati, di poter tornare a competere con gli equipaggi più forti del mondo nonostante i budget non proprio stellari. Sette ori, due argenti e un bronzo ai mondiali e due ori e un argento olimpici a cui vanno aggiunti ventotto titoli assoluti italiani bastano e avanzano nel descrivere la carriera strepitosa di questo alfiere azzurro che ha onorato l’Italia nel 1992 portando la bandiera tricolore alle Olimpiadi di Barcellona 1992. Nel 2015 la definitiva consacrazione con la doverosa iscrizione nella Walk of Fame dello sport italiano per meriti sportivi conseguiti da un nostro atleta in campo internazionale. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per discutere lo status quo del nostro canottaggio alla luce delle ultimissime disposizioni e per rivivere le tappe salienti del suo unico e straordinario percorso agonistico.
Giuseppe buongiorno. Partiamo dal momento attuale, la vostra situazione ad oggi. Come la state vivendo?
Ovviamente è tutto fermo, eravamo a Sabaudia in ritiro fino a metà marzo, con gli atleti qualificati per Tokyo e quelli che avrebbero dovuto gareggiare per ottenere il pass, poi sono venute meno le condizioni ed abbiamo dovuto rompere le righe, poco dopo è arrivato lo stop definitivo. Ci siamo arresi anche con sollievo dopo la cancellazione olimpica perché una preparazione non adeguata ci avrebbe fortemente penalizzato. Col passare dei giorni abbiamo capito meglio che i rischi per la salute erano troppo alti e che tutto lo sport si sarebbe dovuto obbligatoriamente fermare.
Il vostro sport è considerato altamente a rischio?
Come tipologia non abbiamo grandi rischi sia da un punto di vista numerico che di distanza che supera ampiamente il metro, il problema concreto riguarda la sanificazione degli ambienti e di monitoraggio degli spostamenti. Riteniamoci fortunati perché i nostri allenamenti si svolgono all’aperto e speriamo di poter riprendere al più presto, attendiamo fiduciosi dotando gli atleti degli strumenti indispensabili per potersi allenare un minimo da casa. Avendo spostato di un anno le Olimpiadi speriamo di ripartire da settembre con la giusta ed adeguata preparazione consapevoli che la situazione è in continuo divenire.
Il movimento in generale, il canottaggio odierno gode ottima salute, o è in convalescenza?
Da quando abbiamo smesso noi, c’è stata una sostanziale decrescita con tre bronzi ad Atene 2004 culminata poi con una sola medaglia olimpica tra il 2008 e il 2012, poi sono arrivato io in federazione e posso parlare con cognizione di causa. Da questo momento in poi abbiamo raccolto due medaglie e due quarti posti sintomo di un movimento con quattro equipaggi competitivi. Invertire la curva non è semplice, ma siamo ripartiti da un gruppo di giovani che ha esordito a Rio ed era pronto per migliorarsi quest’anno. Abbiamo comunque raccolto nell’ultimo quadriennio due ori mondiali nel due senza e nel quattro di coppia , conquistando nelle rassegne iridate ben nove pass olimpici di cui ben quattro femminili. Siamo tornati tra le prime tre nazioni al mondo avendo ancora discreti margini di crescita.
La tua carriera, come hai cominciato e con quali aspettative?
Per motivi anagrafici ho cominciato per primo, Carmine è arrivato due anni e mezzi dopo per cui a Mosca 1980 ho gareggiato senza di lui. Poi nel 1981 è arrivato il primo oro mondiale a Monaco insieme a lui, e da li si è cominciato a capire che avevamo i numeri per andare avanti. In questo sport si improvvisa ben poco, abbiamo anno dopo anno costruito un mattoncino partendo dalla categoria juniores, senza pensare di competere da subito nelle categorie assolute, ma a meno di ventitré anni ci siamo trovati sul gradino più alto del mondo. Poi sono arrivate le Olimpiadi arrivando subito all’obiettivo massimo, frutto di tanto lavoro e tanti sacrifici.
Tantissimi ricordi e innumerevoli gioie, siete entrati di fatto nella storia dello sport azzurro. La gioia che ancora ti è rimasta nel cuore? E la sconfitta che brucia di più?
Certo, tante gioie e ricordi bellissimi ed indimenticabili, però Seoul 1988 ci è rimasta dentro perché oltre a me e Carmine anche Agostino ha indossato una medaglia al collo, per noi partiti da Castellammare di Stabia trovarsi tutti insieme su un podio olimpico è stato un motivo di orgoglio particolare. Il rammarico più grande è di sicuro legato all’argento di Barcellona 1992, non per la medaglia in sé, ma per come è arrivata perché credevamo di averla in pugno e invece ci è sfuggita di mano facendoci perdere il terzo oro consecutivo. Arrivare secondi in questo caso per l’opinione pubblica è stato più un oro perso che un argento guadagnato, questi sono i paradossi dello sport.
Il vostro budget rispetto ad altre nazioni è oggettivamente basso? Siete adeguatamente supportati?
Il problema nostro e di tanti altri sport che dipendono dai contributi di Sport e Salute, dopo la scissione col Coni, e ovviamente ci barcameniamo non senza difficoltà per gestire nel migliore dei modi il bilancio, ma a mio avviso la nota dolente in generale è la scarsa visibilità di cui godiamo che si ripercuote anche su eventuali sponsor che ti permetterebbero di alleviare le carenze strutturali di fondi. In un paese leader come l’Inghilterra il canottaggio si finanzia grazie ai proventi della lotteria nazionale raggiungendo negli ultimi anni cifre da capogiro che si aggirano intorno ai trentacinque milioni di sterline, noi invece dobbiamo assolvere tutti i nostri obblighi con cinque milioni di euro, stipendi federali compresi.
Metodologie di allenamento, come e in che modo è cambiato il canottaggio? Quanto incide il talento in uno sport così completo e fisico come il vostro?
Oggi il livello è talmente alto che senza continuità e rigidi allenamenti non si va da nessuna parte, poi c’è l’aspetto motivazionale che deve supportarti nel sacrificio. I cambiamenti più significativi riguardano i materiali, ma l’impostazione metodologica di lavoro è rimasta sostanzialmente la stessa. La tecnica si è di fatto uniformata rispetto alle varie scuole che si praticavano ai miei tempi, sicuramente sono cambiati dei parametri alimentari e di gestione del fisico che hanno migliorato le performance, ma in linea di massima non ci sono stati grandi stravolgimenti.
La vostra copertura mediatica, problema non indifferente per la vostra disciplina.
Gli eventi più importanti a livello internazionale vanno in onda su Raisport, ma senza voler fare polemica è ovvio che l’audience è più basso rispetto a quello di una delle tre reti maggiori. A mio avviso questo è estremamente penalizzante tenendo conto che ai miei tempi il servizio pubblico non avendo così tanti canali, trasmetteva gli eventi concedendogli il giusto risalto e l’adeguata copertura mediatica. Se a questo aggiungiamo anche lo spazio che i quotidiani sportivi hanno tolto in questi ultimi anni ai cosiddetti sport minori occupandosi per il novanta per cento di calcio, la frittata è fatta e il discrimine compiuto.
Il doping non è mai sembrato un problema concreto. Il canottaggio gioca pulito?
Assolutamente non è un problema, qualche episodio sporadico legato al singolo e mai ad un sistema mirato, i casi si contano sulle dita di una mano e sia da atleta che da dirigente non ho mai avuto sentore o notizie di comportamenti scorretti o di pratiche dopanti nel nostro sport. Posso dirti in tutta tranquillità che da noi si gioca pulito.
Chiudiamo con un messaggio generazionale. Si guadagna poco e si lavora tanto, perché un giovane dovrebbe approcciare questa disciplina?
Non voglio star qui a decantare le peculiarità del canottaggio ma permettimi di dire una frase in dialetto, “Ogni Scarrafone e bello a mamma soja”, per cui se ti dico che è uno sport completo, che si fa all’aperto con una grande armonia nel gesto non aggiungo niente di nuovo. La cosa che mi preme di dire ai giovani è che il nostro sport è una disciplina di vita, dove vige una formazione integra e totale che farebbe bene a molti ragazzi che dovrebbero assaggiarne il sapore prescindendo dalla mera attrazione, uno sport di resistenza e non di forza bruta praticabile a qualsiasi età. E sfatiamo il mito cella ripetitività perché per arrivare ad un certo livello bisogna assemblare una serie di segmenti corporei e di sequenze su un mezzo instabile che viaggia sull’acqua altrettanto instabile, uniti alla coordinazione, al’equilibrio e all’affiatamento col partner.