A tu per tu con Giovanni “Johnny” Pellielo, la Leggenda del Tiro a Volo
Fasi decisive per il mondo dello sport in generale che si appresta a vivere un’Olimpiade diversa dal solito, fortemente condizionate dall’emergenza sanitaria che ha costretto il Comitato Organizzatore a vietare l’afflusso di turisti stranieri per motivi di sicurezza. Accesa la fiaccola e partita la torcia di una rassegna blindata, accessibile ai i soli giapponesi, e contestuale rimborso a tutti i pacchetti già prenotati in precedenza. Misura giusta ed inequivocabile per garantirne il regolare svolgimento agonistico e segnale importante di continuità che tutte le discipline, già fortemente penalizzate dal differimento di un anno, sono chiamate a dare con la speranza che sin da questa estate la pandemia abbia di fatto attenuato la sua morsa letale.
In ogni specialità sono in corso d’opera i tornei e le kermesse pre-olimpiche necessarie per assegnare i pass residuali a centinaia di atleti che lottano inseguendo il sogno di partecipare a Tokyo 2021 dopo tanti sacrifici e spasmodiche attese. Di Olimpiadi di certo se ne intende il Re assoluto del Tiro a Volo azzurro Giovanni Pellielo, per gli amici Johnny, che alla tenera età di cinquantuno anni insegue la sua ottava edizione a cinque cerchi, lavorando come sempre giorno per giorno, ma senza quell’ansia spasmodica di esserci a tutti i costi. Il campione vercellese ha ovviamente ben poco da dimostrare, dopo un anno di sicuro difficile in cui ha messo un po’ da parte il suo fucile per badare alla sicurezza della madre ottantaduenne, e vive con approccio filosofico questo momento così delicato che lo condurrebbe alla sua ottava olimpiade dopo oltre trent’anni di una carriera che sa di leggenda. Il tiratore delle Fiamme Azzurre dopo avere sofferto da adolescente di crisi asmatiche comincia a praticare il tiro al volo grazie a sua madre, che già praticava questo sport, e dal primo momento sarà amore a prima vista che lo porterà, dopo i primi ottimi risultati giovanili, quattro anni dopo a Barcellona 1992. Quattro le medaglie olimpiche raggiunte da Johnny, un bronzo a Sidney 2000 e tre argenti datati Atene 2004, Pechino 2008 e Rio 2016 frutto di una mostruosa costanza di rendimento in una disciplina che richiede freddezza e concentrazione, quella che il nostro ha sempre mantenuto nei momenti in cui contava fare risultato. Accanto ai podi olimpici la sua parabola agonistica si nutre di numeri da capogiro che si commentano da soli: 3 ori, due argenti e un bronzo mondiali individuali e sette ori e due argenti a squadre, due ori, quattro argenti e due bronzi europei individuali a cui vanno aggiunti i dodici ori, tre argenti e un bronzo a squadre. Le due vittorie individuali ai Giochi del Mediterraneo, i dieci titoli italiani e le sette coppe del mondo conquistate completano un palmarès da eccellenza assoluta, un esempio vivente di disciplina, grande autostima agonistica e di un temperamento sereno e determinato. Elementi che sommati gli hanno permesso di resistere così a lungo al top uniti all’umiltà e alla passione di cui Giovanni si nutre quando imbraccia il suo fucile.
La storia di un uomo gentile e riflessivo, che ha tra l’altro fondato l’associazione benefica Team Shooting J.P. con iniziative atte a sostenere i più bisognosi, è un esempio vivente che in un Paese normale, e non ad inclinazione becero–pallonara, sarebbe celebrato e considerato per quello che ha dato alla nostra nazione e non dimenticato in un cassetto fino all’ennesima storica medaglia. I doverosi riconoscimenti come Cavaliere, Ufficiale e Commendatore al merito della Repubblica lo collocano nella Hall of Fame di tutti i tempi, ma il giovane ragazzo di Vercelli potrebbe stupirci ancora perché non ha smesso di sognare e di vivere giorno per giorno questa sua cavalcata alla ricerca del prossimo bersaglio da abbattere. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per rivivere i momenti più importanti del suo straordinario percorso agonistico, proiettandoci anche sui prossimi eventi di questo pazzo ed imprevedibile 2021.
Johnny buongiorno, partiamo dall’attualità e da questo momento difficile per tutto il mondo dello sport. Come lo hai affrontato e come sta procedendo la tua preparazione in vista di Tokyo?
Sicuramente è una situazione non facile, ma continuo ad allenarmi avendo la fortuna di poterlo fare e lo faccio nella mia Vercelli con l’animo più sereno avendo fatto la prima dose di vaccino, cosa che toccherà a breve anche a mia madre. Mi impegno quotidianamente e attendo come tutti gli eventi cercando di essere sempre sul pezzo e pronto per le gare pre-olimpiche che si disputeranno in questa primavera. Per fortuna la mia disciplina mi ha concesso di poterci esprimere in totale sicurezza e di non perdere mai l’intensità e la concentrazione necessaria.
Le Olimpiadi si faranno e già questa è una bella notizia. Ha senso farle senza il grande pubblico? E’ un segnale importante che lo sport deve dare per segnare un ritorno alla normalità?
Credo senza ombra di dubbio che se c’è al mondo una rassegna che unisce, queste sono le Olimpiadi. Si condivide e si compartecipa, infischiandosene del colore della pelle, della propria cultura e religione. Svolgerla a porte semi chiuse toglie un po’ di senso alla rassegna perché se ogni quattro anni il mondo non si può riunire per celebrare insieme un evento del genere il messaggio che ne deriva credo non sia positivo. Diventa una gara sportiva come ce ne sono mille altre, mancherà quel calore unico e quell’attenzione mediatica che l’hanno sempre contraddistinta, è un po’ come tornare a casa senza avere nessuno che ti aspetti, che ti abbracci e che ti dica bravo, o che ti consoli se le cose non sono andate bene. Vedremo, intanto spero di esserci e di disputarla per l’ottava volta.
Torniamo alle origini. Un ragazzo che dopo aver sofferto d’asma a diciotto anni inizia a praticare la disciplina che lo porterà all’appuntamento con la storia…
La parte adolescenziale non è stata delle migliori, avevo quest’asma allergica che non mi permetteva di praticare sport all’aperto perché non respiravo bene. Pian pianino è andato scemando il tutto e con mia mamma e i miei zii, tutti appassionati, ho cominciato ad avvicinarmi verso i diciotto anni al tiro al volo. Era tutto molto artigianale, non come oggi, ma mi piaceva e mi ci sono subito appassionato e gradualmente questa scintilla che era scoccata è diventata il mio lavoro e la mia passione. Ho capito di avere qualcosa dentro dopo otto mesi in cui avevo iniziato l’attività, nella primavera del 1989 ho partecipato al mio primo gran premio per le qualifiche junior a Santa Maria Capua Vetere in cui gareggiavano anche gli eccellenza seniores e feci il punteggio più alto. Da lì in poi non è stato facile, perché ero figlio di genitori separati e lo sport era molto costoso, ma alcune aziende hanno creduto in me e mi hanno supportato e poi in men che non si dica mi sono trovato nel ’92 a Barcellona, dopo aver vinto due finali di coppa del mondo nello stesso anno.
Le dinamiche del tiro a volo, sport sia individuale che di squadra. Approcci diversi e differenze sostanziali?
Attualmente la dinamica della gara a squadre è stata modificata, fino al quadriennio di Rio la gara consisteva nella somma dei tre risultati individuali dei tre atleti che formavano la squadra, mentre dopo Rio questa formula è stata per fortuna cancellata per cui, finita la gara individuale, si gareggia ex novo per quella a squadre con scontri diretti veri e propri, un po’ come accade nella scherma o nel tiro con l’arco. A livello olimpico la gara a squadre non esiste, ma si effettua il mixed team che consiste in una gara per nazioni in cui partecipano un uomo e una donna. Hanno dinamiche e un fascino diverso, ma la tensione è la stessa, è sempre vietato sbagliare.
Dal 1996 fai parte delle Fiamme Azzurre, quanto contano questi corpi militari per voi atleti? Quanto vi garantiscono in termini di serenità nell’affrontare le vostre discipline?
Sono assolutamente fondamentali e imprescindibili per qualunque atleta, il mio caso è esemplificativo perché sin da piccolo mi son trovato con le relative difficoltà economiche che la separazione dei miei ha accentuato. Questi corpi ti incanalano e ti rendono il cammino più agevole, sostenendoti e facendoti lavorare con tranquillità per migliorare te stesso, senza la pressione di doverti trovare a tutti i costi un lavoro. Pensa se oggi a cinquant’anni non avessi un approdo sicuro come quello che ho alle Fiamme Azzurre, cosa mai potrei inventarmi? Non smetterò mai di ringraziarli per tutto quello che hanno fatto finora consentendomi di dedicarmi a tempo pieno al mio sport, sono molto fortunato lo ammetto.
L’associazione Team Shooting J.P. come nasce e con quali finalità?
E’ nata ad Assisi, patrocinata dal loro comune, in origine con finalità benefiche organizzando gare e kermesse il cui ricavato andava in beneficenza, poi si è sciolta e da lì ho preso la palla al balzo per continuare a fare le stesse cose nella mia Vercelli con l’associazione tiro al volo San Giovanni. Gli ideali son sempre gli stessi, organizzare eventi a favore dei più bisognosi sperando presto di poterlo continuare a farlo quando la salute ce lo permetterà.
La tua mostruosa longevità. Come si fa a rimanere per tutti questi anni ad un livello così alto?
Personalmente credo che si possa gestire una carriera così lunga non smettendo mai di desiderare, l’uomo crescendo tende ad assopirsi nei suoi desideri. Analizzando la parola come farebbe un buon teologo o un filologo, vuol dire mancanza di stelle e traducendola significa per me infischiarsene di quello ciò che è stereotipato o imposto da un deleterio senso comune. Devo questo insegnamento a Papa Vojtila che nel duemila mi disse di non aver mai paura, di essere un segno di contraddizione per il mondo, ho sempre fatto quello che volevo fare non perché lo dovevo fare, sopravvivendo a questo vita frenetica e iper-veloce fermandomi e focalizzandomi sul mio passato difficile per farne tesoro nel presente. Dobbiamo saper cogliere la vita che ci viene addosso e riuscire ad afferrare quel treno che passa e salirci sopra riuscendo ad assecondare il nostro fuoco interiore che si nutre dell’amore, il vero motore dei nostri desideri. Amare e desiderare, questa è la filosofia che ho incarnato e con la quale vado avanti giorni per giorno.
Hai vinto praticamente tutto, manca solo quella ciliegina d’oro olimpica…
Prendiamola con filosofia, pensa che bello essere ricordati tra le alte sfere delle grandi menti come quell’atleta che ha vinto tutto tranne quest’oro. Tornando sulla terra posso dirti che non ho mai fatto di questo obiettivo un’ossessione perché mi sta bene tutto quello che ho fatto fino ad adesso, mi ha dato gioia e tanta serenità anche perché tutte quelle medaglie d’oro ottenute tra mondiali ed europei sono lì a ricordarmi quello che ho fatto. Una vittoria olimpica ci starebbe proprio bene per chiudere la carriera, ecco perché non smetterò mai di desiderarla: magari salto Tokyo e la vinco tra quattro anni a Parigi senza Covid e col pubblico, ti immagini che bello?
Il movimento di base. Come siamo messi per il futuro?
Bene bene, c’è un bel movimento di giovani talentuosi e volenterosi che seguo, sia uomini che donne, sono determinati e hanno delle belle famiglie dietro. Gente perbene, perché questo è uno sport fatto di brave persone che hanno voglia di fare e condividere lo sport, un po’ mi ci rivedo e i loro sogni sono quelli che avevo anche io da ragazzino. Ho un quindicenne molto forte, si chiama Luca Gelvi, un ragazzo determinato che terrebbe il fucile in mano giorno e notte, questo ti fa capire quanta voglia e quanta abnegazione ci sia in questo universo del tiro a volo che è soprattutto un modo di vivere pienamente questa nostra passione comune.
Come si è evoluta questa disciplina in tutti questi anni sia a livello di materiali che di regolamenti?
E’ cambiata innanzitutto la lunghezza della competizione, si sono accorciate le gare da tre a due giorni per cui si spara meno, questa riduzione rende tutto ancora più complesso perché la percentuale di errore è minore ed è più difficile recuperare in corsa. E’ cambiata anche la distanza dei bersagli, sono cambiati i materiali, dai fucili al piombo dei proiettili, ed è cambiata anche la preparazione che è più accurata e professionale rispetto ai miei inizi. Posso dire con vanto che l’Italia dal punto di vista degli attrezzi è sempre stata ed è tuttora all’avanguardia nel mondo e i nostri tecnici sono ricercatissimi. E’ aumentata la competitività ed è sempre più difficile essere al top e fare risultato, questo lo rende ancora più affascinante.
Domanda generazionale per chiudere. Usciremo prima o poi dalla pandemia, ci riapproprieremo dei nostri spazi e della nostra socialità, un motivo in più per fare sport e provare il tiro a volo?
Direi proprio di sì perché nel caso di una prossima pandemia il tiro a volo è uno dei pochi sport che si potrà praticare, no? Scherzi a parte cosa c’è di meglio che stare all’aria aperta a fare sport, divertendosi in un contesto perbene? E poi una cosa che è a mio avviso il valore aggiunto del tiro a volo è quella legata al fatto che i giovani sono in contatto con persone più anziane, cosa che trovo bellissima perché essendo cresciuto nel tempo con gente di una certa età ho saputo apprezzarne la saggezza che controlla l’estro giovanile. E’ bello rispettarli e ascoltarli, un bagaglio importante che non va disperso ed una grande opportunità per i più giovani per diventare persone migliori.