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A tu per tu con Giovanna Trillini, la Leggenda della scherma azzurra

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A tu per tu con Giovanna Trillini, la Leggenda della scherma azzurra

In questa stagione agonistica unica e indecifrabile, in quasi tutte le discipline è francamente difficile star dietro a tutti gli stravolgimenti dei calendari e ai continui rinvii che di fatto stanno rischiando di falsarne l’esito. La spada di Damocle che pende su Tokyo 2021 non aiuta rischiando di vanificare anni di preparazione per inseguire un sogno che appare sempre più sfuggente ed irraggiungibile. Non fa eccezione la tanto amata scherma, disciplina venerata per i risultati che negli anni ha saputo donarci, che nemmeno nel mese di gennaio è riuscita a ripartire tra la miriade di protocolli e una continua incertezza che di fatto non sta aiutando gli atleti che si sentono un po’ come dei leoni in gabbia depredati dalla voglia di esprimersi nel tornare a gareggiare.

Di olimpiadi e di medaglie se ne intende eccome Giovanna Trillini che in venticinque anni di carriera ha riscritto la storia del fioretto femminile conseguendo tra olimpiadi, mondiali ed europei 15 ori, 7 argenti e 11 bronzi, cifre che si commentano da sole e francamente difficili da eguagliare. Una storia, la sua, che comincia alla fine degli anni settanta dove sta per nascere a Jesi la più grande fucina di giovani talenti della scherma mondiale, grazie a sua maestà Ezio Triccoli che apprende le basi della disciplina da un sottotenente inglese durante la seconda guerra mondiale. Sarà lui ad instradare la giovane nipote Giovanna, che inizia a otto anni per caso a salire in pedana per recuperare da un infortunio alla clavicola, e sin da subito i risultati saranno dalla sua con gli assoluti italiani conquistati – nel 1986 –  a soli sedici anni. La predestinata punta di diamante della nouvelle vague jesina perfezionerà, toccando con mano, la sua competitività agonistica con due delusioni che ne forgeranno il carattere rendendola ancora più forte negli anni a venire. Parliamo dei mondiali di Losanna 1987 in cui uscirà inaspettatamente ai gironi e dello smacco cocente della mancata convocazione alle olimpiadi di Seoul 1988, punti fermi da cui ripartire per iniziare ad inanellare una serie impressionante di vittorie. La cavalcata trionfale verso la vittoria si concretizzerà con la conquista della Coppa del Mondo assoluta nel 1991 e col successivo strepitoso primo oro mondiale a Budapest, consacrazione assoluta in vista della rivincita targata Barcellona 1992. Qui il diavolo ci mette la coda e pochi mesi dalla kermesse il ginocchio le cede durante una gara di Coppa a Torino, dolori lancinanti e rischio concreto di saltare le olimpiadi ed ennesima sfida da affrontare con sè stessa. Nonostante la lesione al crociato anteriore Giovanna sarà, nonostante il vistoso tutore regolarmente in pedana ed il 30 luglio del 1992 arriverà in una storica finale, contro la cinese Wang, che si deciderà all’ultima stoccata del terzo assalto riportando dopo vent’anni l’oro del fioretto a casa Italia. Seguirà anche l’oro a squadre qualche giorno dopo e la ventiduenne jesina entrerà nella storia come la prima schermitrice in grado di vincere due ori nella medesima olimpiade.

L’ascesa inesorabile della forestale jesina prosegue negli anni a venire, altre due Coppe del Mondo in bacheca nel 1994 e 1995 alle quali si affiancherà il primo oro mondiale individuale a L’Aja e una serie di argenti e bronzi mondiali a squadre, l’Olimpiade di Atlanta è alle porte che Giovanna affronterà da porta bandiera della spedizione azzurra, in cerca di conferme ed ennesimi traguardi. Un bronzo individuale e un oro a squadre, in cui risulterà determinante, sintomo evidente di un dominio assoluto e di una continuità impressionante che proseguirà nel quadriennio successivo. Altri ori mondiali, individuale e a squadre, a Città del Capo nel 1997 e la quarta Coppa assoluta nel 1998 aspettando Sidney 2000 in cui un arbitraggio scandaloso le scipperà la meritata finale contro l’altra star Valentina Vezzali. Bronzo amaro, ma compensato dall’ennesimo oro a squadre con tanto di dedica al compianto Ezio, scomparso due mesi prima, e una maturità agonistica mai sopita, sempre a caccia di nuovi traguardi. Dopo l’oro mondiale a squadre di Nimes 2001, l’appuntamento per l’oro contro la Vezzali avviene puntualmente ai giochi Olimpici di Atene 2004, una finale epica e storica tra i due miti assoluti di questo sport, due amiche rivali con storie e stili diversi, ma unite da una grande passione e da un solenne rispetto reciproco. Sarà solo argento per Giovanna che otterrà la sua quarta medaglia individuale olimpica consecutiva, una giovane trantaquattrenne che continua a stupire anno dopo anno senza cedere di un millimetro a livello competitivo. Due bronzi individuali nel 2006 e 2007 ai mondiali di Torino e San Pietroburgo, e un’ultima Olimpiade da vivere a Pechino coronata da un bellissimo bronzo chiudono degnamente un ventennio di successi proiettandola di fatto nella Hall of Fame di tutti i tempi, come testimonia l’ordine al merito della Repubblica Italiana assegnatole al suo rientro dalle kermesse cinese. Chiuderà definitivamente la sua carriera nel 2012 per iniziare la sua attività di allenatore che porta avanti con lo staff azzurro di fioretto femminile e che la vede da anni in prima linea come chioccia di un gruppo di atlete che ha continuato a vincere e a sognare in grande. Abbiamo avuto l’onore di incontrarla in questa fase incerta e delicata sia per rivivere la sua irripetibile carriera che per delineare il quadro dell’attuale situazione della scherma tricolore.

Giovanna buongiorno, partiamo dall’attuale delicata situazione. La stagione tra continui rinvii stenta a decollare, qual è l’atmosfera in squadra?

Sicuramente è una situazione che col passare del tempo si fa dura, è stato bello ripartire dopo il primo durissimo lockdown con tantissimo entusiasmo, ma ora siamo alla vigilia olimpica con un’incertezza che di sicuro non fa bene agli atleti. Servono gli stimoli giusti e degli obiettivi importanti che in questo momento non si intravedono, è chiaro che manca la gara e il confronto con altri atleti perché è quello il termometro che scandisce l’efficacia del tuo lavoro. La competizione per atleti di questo livello è tutto, bisogna rimanere concentrati e continuare a lavorare sperando che Tokyo si faccia, e io credo che alla fine ce la faremo.

Le Olimpiadi. Un obiettivo possibile? Ha senso viverle senza pubblico sugli spalti?

Per chi non le ha mai vissute di sicuro è una perdita importante, ma è innegabile che le Olimpiadi per tanti sport cosiddetti minori siano una vetrina fondamentale il cui interesse ruota anche intorno al pubblico presente sugli spalti. Dall’altro lato è necessario che lo sport dia una risposta importante in questo difficile momento per cui anche se è saranno a porte chiuse è necessario che le Olimpiadi si facciano, anche perchè è difficile tenere sei anni un atleta fermo senza la possibilità di esprimersi nella kermesse più importante del mondo. Certo che se penso a quando ho fatto l’alfiere portabandiera ad Atlanta 2006 entrare in uno stadio pieno fa parte dei ricordi indelebili della mia vita, ma oggi è così e bisogna fare di necessità virtù.

Torniamo agli anni settanta, tuo zio Ezio Triccoli fonda l’accademia di scherma a Jesi, e lì una giovanissima Giovanna Trillini comincia la sua incredibile ascesa…Ricordi? Sensazioni?

Son partita appresso ai miei fratelli che facevano scherma, inoltre mi ero rotta la clavicola a otto anni e andare in pedana sembrava la cosa migliore da fare per la riabilitazione. Appena arrivata in palestra rimasi subito folgorata, un amore a prima vista che mi accompagna tutt’oggi. Ezio mi ha impostato da subito e pian pianino sono arrivati i primi risultati, ma lui mi ha sempre abituato a volare basso e a non montarmi la testa dandomi quella disciplina che mi è tanto servita nei momenti più difficili. E’ stato un lungo e faticosissimo percorso che mi ha forgiato anno dopo anno, ma senza la passione e l’amore per quello che fai non arrivi molto lontano.

La competitività interna, è stato secondo te uno dei fattori che vi ha permesso di poter vincere per così tanto tempo? E nel tuo caso, quanto hanno influito le delusioni di Losanna e Seoul?

Credo proprio di sì, la competizione interna è innegabilmente un valore aggiunto che rinnova sempre nuovi stimoli, la scherma è uno sport sia individuale che a squadre per cui la rivalità è molto forte e sentita perché a nessuno piace perdere. Le delusioni è giusto che accompagnino un atleta nella sua carriera, le mie sono state molto cocenti nonostante fossi ancora giovanissima, e lì mi sono rimboccata le maniche e ho continuato per la mia strada credendo in me stessa e mai piangendomi addosso. Questa mia voglia di reagire è stata una delle molle che mi ha permesso di arrivare ai livelli che ho raggiunto successivamente. Erano di sicuro altri tempi, si cresceva e maturava più in fretta di oggi e nelle difficoltà ci si temprava, oggi è tutto un po’ più difficile perché si è schiavi del risultato e della performance a tutti i costi.

Le tue vittorie. Tra olimpiadi, Mondiali ed Europei ne ho contate trentatrè, tutte bellissime. Ma quell’incredibile oro di Barcellona? 

Non le ho mai contate perché a parte il discorso numerico tutte le medaglie sono belle e hanno un sapore particolare, specialmente quelle Olimpiche. Tra tutte di sicuro c’è quella d’oro individuale a Barcellona 1992, ci sono arrivata per il rotto della cuffia con un crociato leso e solo la voglia di esserci dopo la delusione di Seoul mi ha dato la forza di sacrificarmi. Vincere addirittura contro ogni previsione mi ha dato una forza incredibile, perché è da quel risultato lì che ho capito di avere i mezzi e le risorse per poter lottare e continuare a vincere a livello mondiale. Fa parte dei momenti cruciali che ha segnato la mia vita: ho lottato, ho sofferto, ce l’ho messa tutta e grazie all’aiuto del mio staff medico sono tornata in pedana dimostrando quello che sapevo fare.

L’importanza del Corpo Forestale per la tua serenità e per l’occasione che ti ha dato, quella di poterti allenare ed esprimere.

Assolutamente sì, è stato importante per me come lo è per tutti quegli atleti che vivendo la carriera da atleta per un certo numero di anni, devono anche chiedersi cosa vogliono fare dopo e, in tal senso la forestale mi ha dato la sicurezza di un lavoro futuro permettendomi di concentrarmi sulla mia attività in pedana. Mi ha assicurato quella tranquillità ideale sia in gara che adesso come tecnico responsabile federale, gli sarò sempre grata e non smetterò mai di ringraziarli. Credo che l’Italia intera debba molto a questi corpi senza i quali molti di noi non avrebbero raggiunto i risultati che invece siamo riusciti a conseguire senza dubbi o incertezze sul domani.

Gareggiare e allenare, due cose completamente diverse? E’ cambiata la scherma da quando hai smesso?

Due cose diversissime tra loro, da atleta c’è lo stress pre-gara poi quando vai in pedana metti la maschera e pensi solo a te stessa e a dare il meglio, da allenatore si soffre molto di più perché sei all’esterno e puoi fare ben poco. Lavori sia a livello tecnico, tattico, ma soprattutto psicologico che a mio avviso è l’aspetto più delicato e importante. Devi trovare il feeling con gli atleti e aiutarli ad esprimersi al massimo, dargli sicurezza ed analizzare a caldo le performance per individuare dei correttivi, cosa per nulla semplice. Come tutte le discipline anche la scherma si è evoluta, si è velocizzata ed è sempre più atletica, credo sia un fattore fisiologico che accomuna il mondo dello sport in generale, ma i valori fondanti della scherma sono e devono rimanere gli stessi.

Ricambio generazionale. Dopo il ritiro tuo e di Valentina abbiamo continuato a vincere con altre fortissime atlete. Possiamo star tranquilli ancora per molto, oppure oggi si fa fatica a reclutare forze nuove?

Difficile rispondere a questa domanda dopo un anno di stop forzato, ma credo che in generale il movimento sia ancora di buon livello e desideroso di esprimersi a Tokyo. Abbiamo una grande tradizione e i risultati sono dalla nostra, certo oggi è sempre più complesso attrarre dal basso nuovi iscritti e questo è sotto gli occhi di tutti e purtroppo in questa fase la pandemia non sta aiutando per niente. L’entusiasmo non è mai venuto meno e appena avremo la possibilità di esprimerci spero e credo che saremo in grado di dare le soddisfazioni a cui abbiamo abituato gli italiani in questi ultimi vent’anni, perché la scherma azzurra c’è ed ha voglia di esserci sempre.

La scherma, cos’è stata e cosa è oggi per te? Una definizione? 

E’ semplicemente la mia vita! Mi ha permesso di fare quello che voglio, di esprimermi, di girare e conoscere il mondo, di essere me stessa migliorandomi. Quando metti la maschera e sali su in pedana sei protagonista di una partita a scacchi con l’avversario, che abbraccia sia l’aspetto fisico che quello mentale, entrambe presenti e determinanti in un lasso di tempo relativamente breve. Poi personalmente credo di aver vissuto in pieno le due dimensioni, quella individuale e quella a squadre. Poche discipline hanno questo duplice aspetto, puoi rivaleggiare per un oro olimpico contro una tua compagna di nazionale e il giorno dopo trovarti insieme a lei per una medaglia a squadre, può sembrare un paradosso ma è una componente che le aggiunge fascino mettendoci alla prova.

Chiudiamo con una domanda generazionale. Hai due figli adolescenti, che sanno chi è stata sua madre. Manca in generale a questi ragazzi di oggi, quella voglia e quella passione che ha spinto la vostra giovinezza verso mete che oggi sembrano ineguagliabili?

Di sicuro è un problema generazionale, da mamma seguo i miei due ragazzi che praticano la scherma e il calcio, si impegnano e si divertono com’è giusto che sia, ma ovviamente le distrazioni e le comodità di oggi sono più dispersive e penalizzanti. Io non credo che in assoluto i giovani siano più demotivati, ma ai miei tempi c’erano di sicuro meno stimoli e lo sport si intraprendeva con una voglia e una dedizione diversa, oggi si predilige l’aspetto ludico e una vita sostanzialmente più comoda mettendo un po’ da parte i sacrifici e le rinunce che molti non sono disposti a fare. La pandemia in questa fase di sicuro non ha aiutato, speriamo che con la ripresa ci sia più voglia di socialità che vede nello sport uno dei traini portanti per uscire da questo brutto isolamento.

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