A tu per tu con Fiona May, la Regina del Salto in lungo
Momenti frenetici quelli che si stanno vivendo all’inizio di questa primavera che se da un lato ci invoglia ad uscire e a riprenderci la nostra vita abituale, dall’altra ci tiene ancora legati alle necessarie misure di sicurezza e ad un’attesa spasmodica del benedetto vaccino che potrebbe garantirci un ritorno rapido alla normalità. Nel frattempo la torcia olimpica ha iniziato a girare, con non poche difficoltà, tra le prefetture nipponiche scandendo chilometro dopo chilometro in un estenuante countdown che vede alle prese numerosi atleti in gara ognuno pronto a giocarsi le proprie fishes per tentare di esserci. Il mondo dell’atletica ha ripreso la stagione agonistica a pieno regime all’inizio di quest’anno regalandoci alcune incoraggianti soddisfazioni che fanno di sicuro bene al morale del movimento, grazie ai due metri e trentacinque saltati da Gimbo Tamberi, record mondiale stagionale, e ai sei metri e novantuno raggiunti dalla diciottenne figlia d’arte Larissa Iapichino che ha stabilito il nuovo record di salto in lungo mondiale indoor under 20.
Chi di record se ne intende eccome è proprio sua mamma, Fiona May, che del salto in lungo mondiale ha fatto la sua ragione di vita riscrivendone la storia con le sue straordinarie performance e i suoi record che resistono anno dopo anno al passare degli anni, come quel mai eguagliato 7,11 ottenuto agli europei di Budapest quasi ventitré anni fa. Figlia di una famiglia inglese di origine giamaicana non estranea allo sport, Fiona approccia da bambina la sua disciplina gareggiando da juniores per la Gran Bretagna per la quale ha vinto l’oro sia i mondiali del 1987 che agli europei del 1988, aggiungendo un argento alle Universiadi del 1991 e un bronzo ai Giochi del Commonwealth del 1990 prima di trasferirsi per amore nel nostro Belpaese. Con il matrimonio nel 1994 con l’astista e multiplista Gianni Iapichino, Fiona è abile e arruolata a gareggiare per i colori azzurri e per dare il là alla sua scalata inarrestabile al salto in lungo mondiale. Esordio con medaglia agli Europei di Helsinki, uno storico bronzo che anticipa di un anno l’oro mondiale di Goteborg ottenuto con uno straordinario 6,98 con il quale si presenta, con le carte in piena regola, per dire la sua ad Atlanta 1996. Nella prima Olimpiade in casacca azzurra dopo le due inglesi – l’apprendistato di Seoul e il sesto posto di Barcellona – Fiona conquista uno splendido argento migliorandosi ancora una volta con 7,02, dietro la mostruosa nigeriana Ajunwa oro volante con i suoi 7,12, dimostrando con le tre medaglie di fila ottenute nelle tre più importanti rassegne internazionali la sua costanza di rendimento e la sua indiscussa competitività. Ricco di soddisfazioni anche il 1997, primo oro ai mondiali indoor di Parigi e bronzo a quelli di Atene, a cui farà seguito l’anno successivo l’oro agli Europei indoor, con tanto di record al coperto a quota 6,91, di Valencia e l’argento di Budapest con la sua prestazione migliore di tutti i tempi di cui sopra. Fiona May è ormai un’icona e un personaggio a tutto tondo, le sue doti atletiche e il suo temperamento determinato sono la molla con cui procede inesorabile verso nuovi trionfi che puntualmente arriveranno negli anni a venire. A cavallo del terzo millennio riesce a conquistare un argento ai mondiali di Valencia, arrivando alla piena maturità psico-fisica pronta per Sidney 2000 per tentare l’appuntamento con la storia. Gradino più alto che stavolta le sfuggirà per sette centimetri dietro la fortissima tedesca Heike Dreschler, ma non tarderà di molto l’ennesimo appuntamento con l’oro che arriva l’anno successivo ai mondiali di Edmonton in cui la nostra pantera supera con un magnifico 7,02 la russa Kotova costretta ad arrendersi per un solo centimetro, ennesima perla di una carriera ai massimi livelli suggellata dall’oro conquistato ad appena trentacinque anni ai Giochi del Mediterraneo di Almeria 2005, anno del suo ritiro dal circuito internazionale.
Record e successi ottenuti in undici anni di rara intensità e arricchiti anche dal doppio record italiano di salto triplo con un 14,65, superato poi da Magdelin Martinez, fanno di Fiona May una delle atlete più vincenti di tutti i tempi e degna della massima onorificenza assegnatale nel 2000 come Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica, un sorriso dolce e contagioso unito ad una volontà di ferro e ad una piena consapevolezza dei propri mezzi, quella che solo i grandi riescono ad avere. Smessi i panni da atleta Fiona è entrata da subito, e un po’ per caso, nel mondo dello spettacolo partecipando con successo al programma tv Ballando con le Stelle prima di intraprendere il ruolo di attrice per le due stagioni della fiction Butta La Luna oltre alla famigerata pubblicità per la Kinder Ferrero. Ha trovato anche il tempo e le energie per laurearsi in economia, sua antica passione, all’Università di Leeds e recentemente ha intrapreso una nobile collaborazione come testimonial per le Missioni Don Bosco prestando la sua immagine accanto a giovani e bambini accolti nelle diverse opere salesiane. Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarla per discutere con lei l’attuale difficile scenario pre-olimpico e le tappe salienti di questa sua immensa e prolifica carriera.
Buongiorno Fiona. Partiamo dal momento attuale che stiamo vivendo. Ci Stiamo avvicinando a Tokyo, lo sport professionistico è riuscito in qualche modo ad andare avanti, ma il movimento di base è completamente fermo?
Purtroppo c’è ben poco da fare, è un fatto assodato che questo momento sia difficile e complicato soprattutto per i bambini a cui non è concesso far nulla. Questa situazione sta ammazzando tutto, una generazione di sportivi costretti al palo senza alcuna certezza al riguardo, speriamo che a breve possano recuperare il tempo perduto. A livello professionistico si è lavorato molto bene con i vari protocolli di sicurezza e le varie federazioni si sono organizzate, anche se con alcune lungaggini di troppo, per garantire il giusto percorso agli atleti professionisti che aspirano a Tokyo.
Le Olimpiadi ci saranno, un bene per il mondo dello sport in generale nonostante la triste assenza di pubblico?
E’ importante senza ombra di dubbio che si facciano, è impossibile che gli atleti non gareggino e sarebbe dannoso per loro non potersi esprimere. Bisogna assicurarne il corretto svolgimento con giusti protocolli a tutela degli addetti, il mondo dello sport deve andare avanti anche se a porte chiuse. Gli atleti che da un anno gareggiano con gli spalti vuoti, per loro non cambia nulla, devono dare un segnale importante di ripresa e di voglia di tornare a vivere che Tokyo può e deve rappresentare con la speranza che per fine luglio sia sensibilmente aumentato il numero dei vaccinati.
Torniamo un po’ indietro ne tempo, siamo negli anni a cavallo tra i settanta e gli ottanta, e una giovane ragazza inglese sta per ridisegnare la storia del salto in lungo mondiale…
Ringrazio innanzitutto la mia insegnante di educazione fisica che quando avevo undici anni ha chiamato i miei genitori consigliandogli di farmi fare atletica, ma ero troppo giovane e ho dovuto aspettare i dodici anni per iniziare a provare a gareggiare. Non pensavo affatto di arrivare, ma era un modo per fare sport e passare i week end a fare qualcosa che mi piaceva. Nel 1987 quando ho vinto mondiali ed europei juniores ho realizzato in che direzione stavo andando, e nel 1988 mi sono qualificata per Seoul, ma è successo così naturalmente senza che neanche me ne accorgessi, poi da lì in poi ho cominciato a fare sul serio.
Fino al 1993 hai vestito i colori inglesi, poi nel 1994 arrivi in Italia sposandoti con Gianni, e da lì inizia la tua ascesa ai vertici. Differenze tra le due nazioni come approccio e metodologie di allenamento?
Avevo litigato con la federazione inglese per motivi economici, avevo voglia di cambiare aria e mi sono ritrovata al centro sportivo di Formia alla corte di Giovanni Tucciarone, lì ho deciso di voler allenarmi in Italia. E’ stato difficile ovviamente distaccarmi dalla mia famiglia e dagli amici, ma mi sono subito trovata benissimo e lì ho raggiunto l’obiettivo di essere un’atleta migliore. Credo che i valori sportivi che ho trovato in Italia in quegli anni siano ancora gli stessi di oggi, di sicuro il Paese è cambiato sia politicamente che socialmente, ma il mondo dello sport è rimasto compatto e legato ad una condivisione della quale mi sono sempre sentita parte.
La tua carriera e le tue metodologie di allenamento. In cosa è cambiato, se lo è, questo sport oggi rispetto ai tuoi tempi?
No, non penso sia cambiato granchè rispetto ai miei tempi, credo che il valore aggiunto di ogni disciplina sia quella di trovare dei responsabili tecnici che riescano a gestire al meglio l’individualità di ogni atleta. I veri cambiamenti, che spesso molti dimenticano, sono legati ai materiali, a cominciare dalla velocità delle piste e dalla tecnologia delle scarpe fattori legati inevitabilmente all’evolversi del tempo. Se penso a me e a Larissa per esempio è ovvio che siamo persone diverse che gareggiano in epoche diverse che necessitano di approcci diversi, un atleta vincente non può che essere la somma di tutti questi ingredienti combinati dalla sapienza e dalla capacità di chi allena motivando con la mentalità giusta per una resa ottimale.
L’aspetto mentale nel salto in lungo. Una disciplina che si gioca sul filo dei centimetri richiede una concentrazione e una motivazione non indifferente, come hai gestito questo aspetto durante le tue performance?
Credo che la componente psicologica sia decisiva per qualunque disciplina sportiva si pratichi, è quella che fa davvero la differenza quando ti trovi a competere ad un certo livello. E’ sempre stato così, oggi è diventata quasi una moda quella di avere dei mental coach, ma io già a diciassette anni con i miei allenatori inglesi ho curato molto questo aspetto con uno psicologo americano quando ancora questi temi erano secondari. In questi gli americani erano sempre avanti, ora tutti si sono convinti che queste modalità possono funzionare, io me ne ero accorta più di venticinque anni fa ed ho sempre fatto tesoro del training mentale senza il quale è molto difficile avere dei risultati, il talento da solo non basta.
Gioie tante e qualche piccola grande delusione. Se mettiamo sul piatto della bilancia quello che hai dato e quello che hai ricevuto durante la tua attività, il saldo è in attivo, in passivo o in pareggio?
Direi senza dubbio che siamo in pareggio, un equilibrio dato dal fatto che ho dato la vita per migliorarmi ed ottenere tutto quello che mi sono sudata dando tutta me stessa sacrificandomi giorno per giorno. I riconoscimenti che ho avuto sono la risultante di questo percorso costruito mattone dopo mattone, se riguardo a tutti i traguardi raggiunti posso dirti che sono il frutto di una disciplina e di un’etica che ha pagato nel medio lungo periodo. Non cambierei nulla di quello che ho fatto e sono molto felice di aver dato all’Italia diverse gioie e soddisfazioni che porto sempre dentro di me, un saldo in perfetta parità tra dare ed avere.
Tutto quello che hai fatto dopo il tuo ritiro. Era nelle tue corde recitare o essere comunque un personaggio mediatico diverso?
E’ successo tutto casualmente grazie ad un regista, Vittorio Sindoni, che mi ha scelto e chiamato per il provino per interpretare questa fiction per Raiuno, non pensavo minimamente di avere i numeri per una nuova carriera da attrice. Due stagioni di discreto successo e poi il cortometraggio, diretto da Antonello De Leo, intitolato La Cavia, con il quale ho vinto il globo d’oro come miglior attrice mi hanno dato delle belle, ulteriori e inaspettate soddisfazioni. Adesso non vediamo l’ora di ripartire col nostro spettacolo teatrale Maratona di New York in cui io e Luisa Cattaneo ci confrontiamo sul palco con le nostre diversità in un universo tutto al femminile, un’ennesima sfida che ho accettato come sempre con energia ed entusiasmo.
Sei anche diventata di recente testimonial delle Missioni Don Bosco, un ennesimo e ulteriore segno del tuo impegno civile. Che tipo di esperienze hai vissuto?
E’ un compito importante quello che i missionari Don Bosco stanno portando avanti con la loro opera, solo vedendolo coi tuoi occhi puoi rendertene conto. Un lavoro straordinario non solo volto ad aiutare materialmente chi ha bisogno, ma indirizzato per dare un futuro a questi ragazzi a cominciare dall’istruzione che è il volano principale per dargli la consapevolezza di credere e investire in sè stessi. Un’esperienza importante che mi ha fatto vedere in faccia la realtà dandomi la possibilità di fare qualcosa per migliorare la loro situazione che non può prescindere dagli aspetti educativi e formativi, vere fondamenta delle persone.
Non potrai accompagnare Larissa a Tokyo, ma allargando il discorso cosa ti senti di dire ad un giovane che vuole fare dello sport la sua vita?
Posso solamente dire di crederci fino in fondo e di non mollare mai, continuate ad investire sullo sport e andate avanti giorno per giorno senza mai smettere di sognare. Sperare sempre e pensare che dopo questo momento difficile tutto sarà di nuovo più semplice e torneremo di nuovo alla nostra normalità, riprendiamoci la nostra vita e le opportunità che potrà concederci. A Larissa dico solo di saltare e non pensare troppo, si è allenata e si sta allenando al meglio per cui è giusto che faccia il suo bagaglio di esperienza e dopo Tokyo, comunque vada, sarà ancora più forte e consapevole dei suoi mezzi.