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A tu per tu con Elia Viviani, il fenomeno tuttofare del ciclismo italiano

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A tu per tu con Elia Viviani, il fenomeno tuttofare del ciclismo italiano

Riparte la stagione ciclistica targata 2022 che coincide con la dichiarata fine dell’emergenza sanitaria e la voglia di lasciarsi alle spalle le conseguenze drammatiche del Covid dopo due anni di paure e apprensione. I venti di guerra tra Russia e Ucraina di sicuro stanno minano la serenità globale esponendoci a dei rischi che per ora sembrano lontani, ma lo sport ha il dovere genetico e morale di andare avanti distraendoci da tutte le brutture e storture di una società deviata e alla ricerca di un complicatissimo equilibrio. La Milano Sanremo e la Gand Wevelgem sono stati i primi banchi di prova per Elia Viviani, tornato dopo cinque anni alla casa madre Ineos, all’epoca Team Sky, e pronto a vivere una stagione da protagonista dopo l’esperienza a cinque cerchi di Tokyo nella quale ha avuto l’onore di essere uno dei due portabandiera.

Il trentatreenne scaligero muove i primi passi sulle due ruote grazie ad un amico che lo distoglie da calcio e tennis, dal 1998 al 2005 gareggerà col gruppo sportivo Luc Bovolone di Salizzole, gestito da Lino Scapini vincendo diverse gare e due medaglie d’oro olimpiche giovanili nel 2005 sia in linea che nella corsa a punti, per poi passare nel 2006 alla FDB Car Diesel di Remo Cordioli. Anni decisivi e ricchi di successi tra i dilettanti, che lo vedranno attivo sia su strada, con quindici successi, che su pista, con trentaquattro vittorie e due bronzi mondiali, un binomio perenne che Elia non abbandonerà mai. Il passaggio agli under 23 avverrà sotto il segno della Marchiol di Giuseppe Lorenzetto, il d.s. Biagio Conte lo farà svezzare dall’esperto Jacopo Guarnieri che sarà decisivo per la sua maturazione. Due vittorie nel 2008 e nove nel 2009, le sue caratteristiche di passista veloce e sprinter rapace emergeranno inesorabili accompagnate dagli ennesimi successi in pista in cui si imporrà sia agli assoluti italiani che agli Europei di categoria.

E’ nato un campione senza dubbio, se n’è già accorto Paolo Slongo che lo vuole nella sua Liquigas già dal 2010, primo anno da professionista del ventunenne Elia, una squadra con licenza Pro-Tour zeppa di campioni, da Basso a Pellizzotti, da Oss a Sagan, trampolino di lancio ideale per esprimere al mondo il suo reale potenziale. In Turchia la sua prima vittoria da Pro, una volata al Tour of Turkey ce lo fa scoprire, ma la vittoria al memorial Pantani, ottenuta con una fuga da lontano da lui propiziata, e quella al Memorial Vandenbroucke sul pavè belga ci regalano un atleta adatto sia alle volate che ad un certo tipo di classiche che dirà la sua negli anni a venire, senza sé e senza ma. Il 2011 è un anno ricco di nuove esperienze per testare la propria competitività da Pro, arriveranno otto vittorie in varie tappe dei circuiti internazionali, tra cui la prima in una kermesse del World Tour nel Tour of Bejing, a questo si aggiungerà una medaglia agli Europei su pista di Apeldoorn, un bronzo nell’omnium, e la prima convocazione da parte del c.t. Paolo Bettini al mondiale su strada di Copenaghen. Elia ha rotto il ghiaccio e la Liquigas continua a dargli totale fiducia ben ripagata l’anno successivo dove arriveranno diversi successi in tappe e classiche di un giorno lungo lo Stivale, la prima esperienza alla Milano Sanremo chiusa oltre il centesimo posto e i mondiali di Melbourne su pista in cui una microfrattura lo costringerà al ritiro e a saltare il suo primo Giro d’Italia. Tempo di riprendersi e programmare le sue prime Olimpiadi a Londra, unico azzurro su pista, esperienza importante e formativa pur senza alcuna medaglia. I podi arriveranno dagli europei su pista lituani di Panevezys dove l’oro a punti e i bronzi nell’inseguimento a squadre e nell’Americana in coppia con Angelo Ciccone lo risarciranno ampiamente dalla sfortuna di inizio stagione.

L’esordio al Giro d’Italia è targato 2013, Elia ottiene due secondi e un terzo posto in volata rimandando la prima vittoria a giugno dove riuscirà ad imporsi ad una tappa del Delfinato, prima di trasferirsi in America partecipando, con due successi di tappa e la classifica finale, al Tour of ElkGrove in Illinois, esperienza che precede il successo alla Dutch Food Valley Classic nei Paesi Bassi e alla vittoria nella prima frazione del Tour of Britain. Il finale di stagione lo vedrà ancora protagonista con due ori agli Europei di Apeldoorn, quello individuale a punti e l’Americana con Liam Bertazzo, ottimo test prima dei mondiali su pista di Calì in cui il nostro, pur partendo tra i favoriti nella corsa a punti, non riuscirà ad andare oltre un quattordicesimo posto. Esperienza amara pure quella del Giro d’Italia 2014 condizionato da cadute e febbre che lo lasceranno ancora a bocca asciutta, così come l’esordio al Tour concluso senza particolari piazzamenti che invece arriveranno nella seconda parte di stagione col successo nella Coppa Bernocchi e con l’ennesimo titolo europeo su pista di Baie-Mahault nell’Omnium.  L’esperienza con la Cannondale si chiuderà col passaggio al Team Sky dove Elia inizierà una nuova complessa avventura della sua carriera su strada. Nel 2015, dopo un argento nell’Americana, e un bronzo nell’Omnium, ai mondiali su pista di St. Quentin arriveranno otto successi su strada con la prima volata vincente al Giro nella tappa con arrivo a Genova, e altri sette successi parziali in classiche internazionali, la competitività su strada e ormai un dato di fatto mentre le Olimpiadi di Rio sono alle porte, occasione ghiottissima per entrare nella storia. Dopo due successi su strada a Dubai e al Driedaagse de Panne, arriva il ritiro al Giro nella tappa di Arezzoche precede la spedizione brasiliana in cui il nostro riporterà in patria dopo sedici anni un oro olimpica su pista, una vittoria storica nell’Omnium davanti a Mark Cavendish e la degna consacrazione del suo talento da pistard. Anno di delusioni il 2017 in cui la corazzata Sky lo estromette dalla partecipazione ai tre grandi Giri, Elia nonostante i nove successi stagionali, tra i quali la classica di Amburgo, decide di lasciare il Team per accasarsi alla QuickStep dove riuscirà ed esprimere in pieno il suo enorme potenziale, dopo aver ottenuto un argento agli Europei danesi di Herning nella corsa in linea.

Il 2018 sarà l’anno della consacrazione e della piena maturità con ben diciotto successi all’attivo, si parte con due vittorie di tappe al Dubai Tour in cui vincerà anche la classifica generale, per passare al successo nella seconda tappa dell’Abu Dhabi Tour a cui succederà il bis nella classica Brugge De Panne che precederà il secondo posto alla Gand Wevelgem dietro Peter Sagan e un Giro d’Italia da assoluto protagonista con quattro successi di tappa e la maglia ciclamino della classifica a punti. Battendo in volata Giovanni Visconti diventerò per la prima volta campione italiano su strada dopo aver vinto tra tappe della neonata Adriatica Ionica Race e chiuderà in bellezza la prima parte di stagione confermandosi, con la maglia tricolore, nella Euro Eyes Cyclassics precedendo in volata Kristoff e Dèmare. Dopo l’estate Elia si concederà il bis nella classica di Amburgo e si regalerà tre sprint regali alla Vuelta, degno finale di un’annata su strada unica ed irripetibile al quale seguirà l’ennesimo oro europeo su Pista a Glasgow, nell’inseguimento a squadre e dalla quarta medaglia, stavolta d’argento, nell’omnium. Nel 2019 cercherà di ripetersi, ma dopo alcuni successi in alcune frazioni del Tour Down Under, della UAE Tour e della Tirreno Adriatico arriverà al Giro d’Italia per confermare lo strapotere dell’anno precedente. Nessuna vittoria, ma diversi piazzamenti gli impediscono di confermare la ciclamino, ma Elia è pronto da subito per il Tour in cui riuscirà ad ottenere la sua prima vittoria nell’arrivo a Nancy dopo aver vinto due tappe del Tour de Suisse. Lascerà la Quick Step a fine stagione con il tris ad Amburgo e la maglia di campione d’Europa su strada nella corsa in linea ad Alkmaar ennesima volata vincente di un campione che il team belga ha saputo valorizzare in tutto e per tutto.

Il passaggio alla Cofidis corrisponde al buco nero chiamato Covid, il 2020 di fatto non si correrà mentre il 2021 lo vedrà ancora protagonista con due tappe all’Adriatica Ionica Race e altrettante al Tour de Poitou-Charentes a cui seguiranno due successi in due Gran Prix francesi, prologo alle Olimpiadi in cui avrà l’onore di essere uno dei due Porta Bandiera della spedizione azzurra e nella quale riuscirà ad ottenere la sua seconda medaglia, un fantastico bronzo nell’Omnium, confermandosi tra i più forti del mondo in questa specialità. Alla fine anno Elia saluta la compagine francese per tornare nella casa madre Ineos con la quale ha iniziato la stagione imponendosi in una frazione del Tour de la Provence. Il resto è oggi, una Tirreno Adriatico sfortunata con ritiro a causa di non perfette condizioni di salute, una Sanremo e una Gand Wevelgem corse in difesa in attesa di ritrovare la forma ottimale.

Elia buongiorno,  partiamo dalla stretta attualità. Il passaggio alla Ineos, è un po’ come tornare a casa? Una Tirreno, la Sanremo e la Gand Wevelgem corse in non buone condizioni di salute, a che punto sei oggi e quali sono i tuoi obiettivi stagionali.

La stagione è partita bene con una vittoria in volata al Tour de la Provence e diversi altri piazzamenti, poi ho avuto questa influenza alla Tirreno che ha pregiudicato la Sanremo alla quale ho voluto partecipare a tutti i costi pur sapendo di non essere al top. Alla Gand Wevelgem le sensazioni erano migliori e son rimasto staccato per poco dal treno dei big, sto cercando comunque di gareggiare per non perdere niente in prospettiva futura. Farò la Roubaix e il circuito de la Sarthe concentrandomi sul mio obiettivo principale stagionale che è il Giro d’Italia, so di avere una squadra che punta all’obiettivo massimo con Carapaz, ma avrò anche io i miei spazi e voglio farmi trovare pronto al cento per cento per tornare a vincere qualche tappa.

Un passo indietro doveroso a Tokyo 2021. Hai avuto l’onore di essere uno dei due portabandiera, che esperienza è stata e quanto è stata condizionata dal Covid?

Essere uno dei portabandiera è stato molto importante per me, una grande iniezione di fiducia dopo due anni difficili in cui con la Cofidis non ho reso quanto avrei voluto. Sono riuscito a vincere un’altra medaglia a Tokyo e ho chiuso la stagione scorsa con altre sei vittorie lanciandomi con ancora più entusiasmo in questo progetto triennale col Team Ineos con l’obiettivo di arrivare a Parigi 2024 ancora competitivo. Il Covid ha reso le Olimpiadi molto complicate, la paura di essere positivi ad uno dei tamponi ai quali eravamo continuamente sottoposti ci ha condizionato più del fatto di rimanere chiusi senza poter uscire. Personalmente ho cercato di essere attento a tutti i vari passaggi e spostamenti all’interno dell’Hotel per non correre rischi poi per fortuna eravamo in una regione di Tokyo dove il 50% del pubblico poteva essere presente, quindi l’atmosfera non era così silenziosa come in altre discipline, e questo è stato un bene per tutti noi atleti.

I tuoi inizi nel veronese. Ricordi di quei primi anni? Quando è scattata la scintilla che ti ha fatto capire chi potevi diventare? C’è una figura in particolare in quel periodo formativo a cui senti di dire grazie?

Ho iniziato a pedalare seguendo un amico che non voleva praticare il calcio e gli sono andato dietro, poi ho avuto la fortuna di incontrare Lino Scapini che mi ha seguito in tutta la trafila giovanile. Una figura d’altri tempi che mi ha dato gli stimoli formativi e quell’educazione sportiva per migliorare utilizzando molto bene il bastone e la carota, a lui devo anche il merito di avermi portato anche in pista, cosa non molto usuale all’epoca, rendendomi un corridore completo e pronto a competere a livello juniores mondiale. La scintilla c’è stata durante la fase Under 23 in cui sono passato in una squadra satellite della Liquigas, sotto l’ala protettrice di Paolo Slongo, e dopo le prime vittorie ha deciso di portarmi tra i pro alla Liquigas credendo in me e dandomi questa grande opportunità.

Strada e pista procedono da sempre in parallelo. Sono mondi diversi, come riesci a gestirli e come cambia la tua preparazione tra le due specialità?

Riesco a gestirle e a prepararle entrambe perché l’allenamento che faccio in pista è di sicuro propedeutico per le volate su strada, questo mi permette di non dover dividere gli spazi da dedicare all’una o all’altra specialità. E’ chiaro che il livello così competitivo del ciclismo di questo ultimi anni ti impone delle sessioni specifiche in vista dei grandi appuntamenti internazionali per cui ad oggi riesco ad avere una base di allenamento comune che poi si va a specializzare a ridosso delle kermesse del momento.

Hai corso e vinto tappe in tutti e tre i grandi giri. Qual è a tuo avviso il più duro? Come mai dal 1998 di Pantani nessuno è ma riuscito a vincere Giro e Tour nello stesso anno? E’ cambiato il ciclismo in questi ultimi vent’anni? Un ciclismo moderno troppo ragionato e altamente competitivo?

Sicuramente è cambiato il ciclismo perché prima c’era un gruppo di campioni che correvano tutti e tre i grandi Giri e giocoforza competevano tra loro, oggi invece c’è chi ne prepara solo uno specifico ed ha quel quid in più in quelle tre settimane, e questo può fare la differenza rispetto al passato. Il più duro a mio avviso è senz’altro il Giro d’Italia perché è più vario e più tortuoso in tutte e tre le settimane, nel Tour e nella Vuelta le salite sono concentrate solo in alcuni momenti della corsa pur essendo anche loro durissime, ma le salite del Giro sono le più impegnative senza ombra di dubbio.

L’Italia non ha più dei top team in grado di competere con corazzate quali Ineos, Mapei o Movistar. Molti atleti azzurri sono costretti ad emigrare all’estero costretti a sottostare a logiche di squadra previste dall’alto. Un problema reale del nostro ciclismo? Situazione economica difficile nel nostro Paese che non riesce ad attirare investimenti?

Si oggi è così, è un dato di fatto che oggi mancano figure di primo piano che possano riportare l’Italia ad un livello qualitativo medio-alto, solo Cassani ha a mio avviso questa capacità e sarebbe in grado di radunare sponsor economicamente rilevanti. Servirebbe una spinta del Governo per aiutare un imprenditore ad investire nel ciclismo con agevolazioni mirate da parte dello Stato, raggiungere i budget di Ineos e Movistar che si aggirano intorno ai quaranta-cinquanta milioni di indotto è francamente impossibile se teniamo conto che i nostri Top Team di dieci anni fa, la Liquigas e la Lampre, viaggiavano intorno ai quindici milioni. Sia in Francia che in Belgio questo tipo di aiuti sono rilevanti e incidono sul livello altissimo di un ciclismo i cui calendari sono così compressi ed estenuanti che richiedono roster adeguati alle varie tipologie di corse.

Hai vinto tantissime corse, ce n’è una in particolare che ti è rimasta dentro più delle altre? Una delusione che non riesci proprio a mandare giù?

Partiamo dalle delusioni tra le quali c’è di sicuro la Gand Wevelgem persa nel 2018 in volata contro Sagan, poi la prima tappa del Giro 2013, in cui potevo vestire la Maglia Rosa, persa contro Cavendish a Napoli, mentre su pista brucia quella di Londra 2012 ampiamente compensata dall’oro di Rio e dal bronzo di Tokyo. Su strada ce ne son tante, ma la prima vittoria al Giro nel 2015, il Campionato Italiano e quello Europeo le metto sul mio podio personale, aspettando le prossime vittorie che saranno sicuro altrettanto belle e gratificanti come le altre.

Problema doping, oggi sembra per fortuna un lontano ricordo. Il ciclismo ha pagato un prezzo troppo alto rispetto ad altri sport? Siete uno degli sport più controllati al mondo?

Siamo arrivati ad un punto in cui questo sport ha toccato il fondo e da lì ha dovuto interrogarsi e chiudere un ciclo che ne stava minando concretamente la reputazione. Da lì siamo ripartiti, abbiam pagato un prezzo altissimo per ricrearci la giusta considerazione, imboccando la strada giusta e ad oggi l’argomento doping sembra quasi sparito dal nostro vocabolario. In questi dodici anni di professionismo ho subito tantissimi controlli, com’è giusto che sia, e il nostro esempio ha fatto si che molti giovani si stiano riavvicinando al ciclismo con entusiasmo, facendo leva solo sul proprio talento e non su pratiche illecite che vanno contro i valori dello sport. Le squadre di oggi hanno al loro interno tutta una serie di figure e medici che si occupano dall’interno di controllare i loro atleti, cosa che negli anni novanta non esisteva e che dava adito a scorciatoie nelle quali dilagavano personaggi squallidi e immorali.

Le carriere professionistiche di oggi si sono allungate di tanto, da quali fattori dipende secondo te? Fino a quando pensi di correre e dopo ti piacerebbe poter mettere la tua esperienza a disposizione dei più giovani e poter allenare?

La mia idea è quella di vivere in pieno questi tre anni e di capire il mio livello di competitività, se non lo fossi più non starei li a vivacchiare troppo a lungo per cui arriverò al 2024 e dopo Parigi tirerò le somme. I sacrifici sono tanti e si fanno se hanno uno scopo, che per me è quello di poter dire la mia e lottare per vincere, il resto mi interessa poco. Il mio futuro sarà comunque nel mondo del ciclismo perché mi piace anche al livello organizzativo e gestionale, sono qui al Team Ineos anche per questo, mi piacerebbe poter seguire i giovani talenti che qui non mancano per i quali potrei essere un punto di riferimento anche in futuro.

La figura dello sprinter di oggi. Come si è evoluta o modificata negli anni? Un atleta come te che è dotato di spunto veloce, ma che tiene anche nelle medie salite ha definitivamente soppiantato il velocista puro alla Cipollini?

Il ciclismo esasperato di questi ultimi anni ci sta portando a dover affrontare tante salite, o percorsi mossi e mai in toto pianeggianti e questo trasforma giocoforza gli sprinter in atleti veloci e allo stesso tempo più resistenti. Strutture fisiche meno muscolose e potenti, ma più leggerine e scattanti per tener duro e non farsi staccare dai ritmi impressionanti con cui oggi si approcciano le corse, anche se alcuni velocisti puri ancora resistono, penso per esempio ad un atleta come Jacobsen, che riescono magari ad avere un qualcosa in più in un arrivo in volata, ma il rischio che corrono è quello di essere staccati prima dell’arrivo. Anche in questo settore c’è un grande livellamento ed è sempre più difficile imporsi e dominare nell’arco di un’intera stagione.

Viviamo un momento estremamente complesso tra conflitti bellici e una pandemia che non arretra la sua marcia. Un invito e un messaggio di speranza soprattutto per i più giovani,  un’esortazione a fare sport e a riprendersi i propri spazi magari salendo su una bici?

Assolutamente sì, in questi due anni quello che è successo ci ha cambiati profondamente e forse ci ha permesso anche di valorizzare situazioni che prima erano scontate, dal fare una passeggiata o dal prendere una bici e stare in movimento all’aperto. Fare sport o attività motoria in generale, soprattutto in questa fase, è fondamentale per una serie di motivi sia di salute che sociali ed un antidoto allo stress e ai ritmi frenetici che il nostro quotidiano ci impone. E’ anche una sana valvola di sfogo ed un modo per riappropriarsi dei propri spazi, è ora di ripartire e di staccare la spina dedicandosi un po’ a se stessi.

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