A tu per tu con Daniele Masala, il Professore del Pentathlon italiano
A poco più di due mesi dall’inizio delle Olimpiadi di Tokyo dà sollievo l’accordo siglato fondamentale tra il C.I.O. e la Pfizer che garantisce la somministrazione gratuita del vaccino a tutti gli atleti delle delegazioni partecipanti al fine di rendere questa edizione dei giochi più sicura e protetta possibile. Una donazione, quella della multinazionale statunitense, che porta quella serenità consentendo il regolare svolgimento di tutte le competizioni limitando al minimo il rischio di ipotetici contagi.
Tra gli sport più esposti ci sono di sicuro gli atleti coinvolti in più specialità come il decathlon, l’eptathlon e il pentathlon moderno che ha visto in Daniele Masala l’alfiere azzurro più vincente in assoluto a cavallo tra i settanta e gli ottanta in cui il poliziotto romano ha dominato in lungo e in largo nello stivale per poi affermarsi rapidamente anche a livello iridato ed olimpico. Nato a febbraio del 1955 Daniele comincia a cimentarsi in primis alla fine dei sessanta nel nuoto ottenendo nella fase giovanile un secondo posto nei 400 misti agli assoluti di Napoli, concentrandosi solo quattro anni dopo nelle altre discipline – corsa, equitazione, spada e pistola – con una rapidità di risultati incredibile. A soli diciotto anni è già campione d’Italia a squadre, prima delle quattordici affermazioni nazionali conseguite dal 1973 al 1987 che sanciscono insieme ai dieci titoli individuali un dominio incontrastato e un destino da predestinato pronto a competere, grazie ad una miscela di talento esplosivo e di dedizione assoluta al sacrificio e al lavoro in palestra, da subito a livello internazionale.
Tre medaglie di legno si susseguono tra il 1976 e il 1978, il primo alle Olimpiadi di Montreal del 1976 dove un giovane ventunenne assapora un podio che sembra maledetto anche nei successivi mondiali di Jonkoping 1977 e di San Antonio 1978, prima di centrare il primo podio che conta ai mondiali Budapest, un bronzo individuale che darà il là ai successivi trionfi targati anni ottanta. Pronosticato tra i favoriti alle Olimpiadi di Mosca 1980 Daniele sarà costretto a non parteciparvi a causa del boicottaggio imposto dal governo che vieterà agli la partecipazione ad atleti provenienti da corpi militari, una beffa ulteriore alla quale reagirà l’anno successivo ai mondiali polacchi di Zielona Gora conquistando il suo primo argento individuale e il bronzo nella categoria a squadre. Nel 1982 la sua Roma gli restituirà con gli interessi la delusione moscovita regalandogli il primo oro assoluto mondiale individuale davanti al suo pubblico, una gioia incredibile ed assaporata per anni e grande iniezione di fiducia per il successivo appuntamento a cinque cerchi targato Los Angeles. Qui arriverà la consacrazione con ben due ori, individuale e a squadre con Cristofori e Massullo, una doppietta incredibile da ascrivere agli annali come una delle performance di livello assoluto in questa faticosa ed estenuante disciplina. Alla soglia dei trent’anni Daniele non placherà la sua fame di podio ottenendo nei mondiali seguenti all’exploit losangelino un bronzo ai mondiali di Melbourne 1985, un oro a squadre e un argento individuale a Montecatini 1986 tasselli ulteriori di una straordinaria continuità che si consoliderà raggiungendo un argento a squadre alle Olimpiadi di Seoul, acuto finale di un quindicennio vissuto da indiscusso protagonista commemorato nel 2015 con il doveroso Collare d’Oro al Merito Sportivo con tanto di inserimento della targa nella Walk of Fame al Foro Italico.
Daniele ha smesso i panni da atleta nel 1989 per sistemarsi l’anno successivo alla guida tecnica della nazionale azzurra che traghetterà ad un fantastico bronzo olimpico a Barcellona, ma dopo un quadriennio lascia definitivamente la carriera da allenatore per dedicarsi a diverse attività che lo vedranno coinvolto, in prima linea, in vari ambiti contigui al mondo dello sport. Giornalista pubblicista, ideatore e realizzatore delle rivista Pentathlon Moderno, Laurea in Scienze Motorie con relativa cattedra Alla Magna Grecia di Catanzaro, due libri e diversi articoli a tema pubblicati, commentatore per Radio Sport Rai in diverse edizioni olimpiche e dal 2015 al 2017 il delicatissimo incarico di presidente del Comitato controlli antidoping del N.A.D.O., queste le principali tappe della seconda fase di un atleta esemplare che ha messo a disposizione la sue esperienza e le sue conoscenze sia a livello formativo che divulgativo. Lo abbiamo raggiunto per discutere il difficile attuale momento pre-Tokyo e per riassaporare le fasi salienti della sua straordinaria parabola agonistica.
Daniele buongiorno, partiamo dall’attualità. Situazione anomala e complicata, il professionismo in qualche modo è andato avanti, ma il movimento di base è stato costretto allo stop.
Abbiamo perso la socialità e il piacere di stare insieme che è una delle prerogative dello sport, si sono creati danni non solo fisici, dovuti alla mancanza di movimento, ma soprattutto mentali che hanno pesato, pesano e peseranno in futuro. Il covid ha fatto perdere un anno al movimento di base, spero si possa ripartire a breve con ancora più voglia e determinazione con le risorse adeguate, anche se i segnali in tal senso non sembrano andare nella direzione giusta. Spero di sbagliarmi, ma il ruolo che lo sport dovrebbe avere in questo Paese non è mai stato correttamente messo a fuoco da chi è chiamato a prendere delle decisioni che mai come in questo momento sono di fondamentale importanza.
Olimpiadi di Tokyo. Grazie all’accordo tra Pfizer e C.I.O. tutti gli atleti saranno vaccinati gratuitamente. Un segnale importante, i giochi ci saranno con la massima sicurezza possibile.
E’ la prima volta nella storia che i giochi si rimandano, non era mai successo e questo la dice lunga su quello che stiamo vivendo, per tantissimi aspetti è importante che si facciano perché in questo momento lo sport deve dare un messaggio di speranza e le olimpiadi ne sono l’espressione massima. Lo sport di vertice ha questa importante funzione trainante che attira e appassiona i tifosi, un faro positivo che compenserà anche la dolorosa assenza di pubblico. C’è voglia di sport e di ricominciare, Tokyo darà sicuramente un segnale importante e le televisioni copriranno meravigliosamente ogni singolo istante di ogni singola gara, torneremo finalmente a guardare lo sport con la giusta serenità pronti a goderci questo immenso spettacolo.
Torniamo alla tua storia e a come hai cominciato la tua carriera agonistica. Inizi a fare nuoto alla fine dei sessanta con buoni risultati e poi…?
Sì ho cominciato a praticare a otto anni il nuoto, una disciplina che si acquisisce in età precoce, e mi ci sono dedicato per un po’ di anni approcciando molto tardi le cinque discipline del pentathlon che ho iniziato a praticare a diciotto anni, oggi sarebbe impensabile. Mi veniva tutto estremamente semplice, anche nella corsa e nel tiro con la pistola riuscivo a vincere delle gare senza allenarmi, senza voler fare il fanatico ero predisposto geneticamente e questi doni che ho scoperto di avere mi hanno portato nel tempo a cimentarmi e ad avere risultati da subito. Sono stato bravo a capitalizzarli col lavoro e il sacrificio, mi sono allenato tanto gestendo i miei giri del motore con il cuore e con la testa perché il talento senza sudore non basta.
Le tue tre Olimpiadi da Montreal a Seoul, col grande rammarico di Mosca. Ricordi e sensazioni?
Tanti, tantissimi ricordi a cominciare dalla mia prima olimpiade a ventun’anni in cui da juniores sono arrivato quarto, poi dopo la prima medaglia mondiale a Budapest arrivo a Mosca tra i favoriti per il podio e il boicottaggio suona come una beffa difficile da digerire. Mi ero riproposto dopo essere entrato alla cerimonia di apertura allo stadio di Montreal nel 1976 che il mio sogno sarebbe stato quello di vincere un oro, il tempo è stato galantuomo e a Los Angeles ho mantenuto la promessa. Vivere un’Olimpiade è qualcosa difficilmente descrivibile, trascorrere la vita nel villaggio è come entrare in una favola più grande di te, rischi di essere schiacciato e condizionato da tutto il resto e non è facile estraniarsi rimanendo concentrati sul proprio obiettivo, vincere un oro poi è il coronamento massimo del proprio sogno, una sensazione che ti porti addosso per tutta la vita.
Le Fiamme Oro, il tuo corpo di appartenenza. Sono una risorsa fondamentale per tutti gli atleti di vertice, ma sono anche un limite condizionante? O indossi una divisa o non diventerai mai un atleta competitivo?
Credo fortemente che la riconoscenza a questi Gruppi sia doverosa per tutta la fiducia, il supporto e la tranquillità che forniscono a noi atleti permettendoci di concentrarci sulle nostre discipline, dandoci quella sicurezza di un lavoro che prescinde la tua carriera sportiva, che può in taluni casi non essere di vertice. Altre strade in Italia sono impervie e difficilmente praticabili perché il nostro sistema universitario non è paragonabile a quello di altri Stati, studiare e allenarsi sarebbe molto faticoso e dispersivo e a mio avviso non ci sarebbero i presupposti per garantire ai ragazzi-studenti i mezzi adeguati per potersi esprimere ad un livello medio alto.
La tua laurea in scienze motorie. A livello giovanile la situazione non sembra rosea, siamo indietro rispetto ad altri Paesi Europei?
E’ a mio avviso un fatto generazionale, io ricordo che da piccolo noi siamo cresciuti per strada imparando a muoverci, a difenderci e a stare in gruppo destreggiandoci tra vari sport. In quegli anni erano queste le regole di ingaggio, oggi purtroppo si sta in casa davanti al computer e al massimo si va in palestra, cosa che non tutti si possono permettere. C’è una pigrizia diffusa e anche un po’ di ignoranza da parte di molti genitori che non capiscono l’importanza che l’attività motoria può avere sui propri figli, questi fattori messi insieme fanno sì che l’Italia sia al primo posto in Europa per obesità minorile, un dato avvilente che deve far riflettere e che deve sensibilmente ridursi altrimenti corriamo seriamente il rischio di continuare a rimanere fortemente indietro.
Il tuo incarico da Presidente della NADO Italia. Il doping è un problema sempre attuale su cui non bisogna mai arretrare?
Assolutamente sì, non tutti sanno che il mercato del doping è ormai gestito dalle mafie ed è più fruttifero delle droghe col vantaggio inoltre di avere molti meno rischi. Negli anni d’oro in cui è proliferato ci si è accorti che questi farmaci, perché di questo stiamo parlando, venivano prodotti in quantità esponenziale rispetto alle esigenze dei malati che ne avevano bisogno e indagando si è arrivati agli scandali che hanno investito numerosi sport e diversi atleti. Oggi la battaglia riguarda la salute pubblica e deve continuare senza sosta perché il business è miliardario e le evoluzioni dopanti sono dietro l’angolo, c’è gente senza scrupoli che si arricchisce sulla salute dei nostri ragazzi che noi abbiamo l’obbligo di tutelare senza abbassare la guardia intensificando i controlli con tutti gli strumenti a nostra disposizione perché il doping si evolve in forme sempre più articolate.
La situazione del pentathlon azzurro di oggi. Andiamo a Tokyo con quali prospettive?
Ad oggi non abbiamo ancora un azzurro qualificato per Tokyo, è una situazione che negli ultimi quattro anni ci portiamo dietro a livello maschile mentre per quanto riguarda le donne abbiamo Elena Micheli che è vice campionessa del mondo nel 2019 e si sta giocando a pieno titolo le sue carte per esserci. Ad oggi è difficile dire innanzitutto se saremo presenti con qualche atleta, ancora più complicato da ipotizzare essere protagonisti per concorrere ad una medaglia, non sono molto dentro le attuali gerarchie e bisogna comunque attendere gli imminenti europei e i mondiali che si svolgeranno tra giugno e luglio, poi si tireranno le somme.
Chiudiamo con un messaggio di speranza e di ripartenza. A fine pandemia torniamo a fare sport utilizzando anche una parte del Recovery Plan per fa ripartire la macchina?
Da quel che so parliamo di cifre ridicole che si aggirano intorno al miliardo e mezzo di euro da destinare allo sport, poco meno della metà saranno ristori per chi non è riuscito a lavorare in questa fase, un po’ pochino, no? Sono un po’ arrabbiato perché in questo Paese non si riesce a dare la giusta importanza allo sport perché non si capisce che non c’è solo la medaglia olimpica o l’exploit individuale che di fatto hanno caratterizzato, mettendo la polvere sotto il tappeto, i nostri risultati negli ultimi quarant’anni. Manca una cultura sportiva legata ai suoi valori sociali e pedagogici che dovrebbero essere uno dei punti di forza per una ripartenza condivisa che al momento sembrano alquanto lontana dalle agende del potere. Se non si impara dai propri errori rimanendo miopi si sbaglia due volte e mi dispiace che a farne le spese siano i tanti ragazzi appassionati a cui mancano le risorse e le strutture per potersi divertire facendo sport.