A tu per tu con Corrado Barazzutti, il “Soldatino” del Tennis italiano
In questa magica estate in cui è lo sport italiano si è imposto a livello mondiale è ancora vivo il ricordo di quel 11 luglio londinese in cui l’Italia del pallone si laureava campione d’Europa e dove per la prima volta un tennista azzurro raggiungeva la finale del torneo più importante del mondo sull’erba di Wimbledon. Questa rinascita del tennis maschile, anni dopo gli exploit femminili di Schiavone e Pennetta, ci vede finalmente protagonisti dopo stagioni silenti e infruttuose collocandoci ai primissimi piani dello scacchiere Atp con ben due atleti nella top ten e oltre otto tra primi 100. Novembre è il mese delle ATP Finals, sfuggite per un soffio a Jannick Sinner, ma rientrato dopo l’infortunio di Berrettini, e della Coppa Davis che ritorna dopo il break del 2020 con una formula diversa rispetto a due anni fa alla ricerca di una nuova improbabile identità.
Quando si parla di Coppa Davis non si può prescindere ovviamente dalla figura di sua maestà Corrado Barazzutti a cui spetta di diritto lo scettro regale per merito sportivi sia in veste di giocatore che di allenatore. Il sessantottenne campione friulano in tredici anni di carriera agonistica e in diciannove da capitano della nazionale azzurra è una delle leggende viventi del nostro tennis che a cavallo tra gli anni settanta e ottanta ha vissuto, insieme a Panatta, Bertolucci e Zugarelli, una vera e propria nouvelle vague ricca di trionfi e di altissima competitività. Corrado esordisce diciottenne nel circuito professionistico debuttando al Foro Italico contro l’allora trentottenne Nicola Pietrangeli dal quale venne sconfitto in due set. Un vero e proprio passaggio di consegne che darà il là alla sua scalata Atp, con i primi successi, e il relativo ingresso tra i primi 100 della classifica computerizzata, e la prima semifinale, nel 1974 a Monaco, in cui sconfisse per la prima volta il numero uno del ranking di allora, il rumeno Ilie Nastase. L’anno successivo raggiunse la sua prima finale a Manila entrando stabilmente nei primi quaranta al mondo, ma sarà il 1976 l’anno della svolta e della consacrazione sia individuale che in azzurro.
Si comincia col primo titolo Atp a Nizza, al quale seguiranno i quarti di finale a Roma e due finali a Bastad e Tokyo, ma l’ingresso nella storia avverrà in nazionale a Santiago del Cile con la conquista della prima e unica Coppa Davis vinta dall’Italia. Un traguardo storico al quale Corrado contribuì vincendo il primo singolare, ciliegina sulla torta di un’annata magica chiusa al ridosso dei primi venti a soli ventitré anni frutto di una maturità ed una consapevolezza in crescita esponenziale. Nel 1977 consoliderà il ranking grazie a tre successi Atp nei tornei di Charlotte, il primo vinto sul sintetico da un tennista azzurro, di Bastad e sul sintetico di Parigi e alla prima semifinale nello slam di Flushing Meadows in cui fu sconfitto dal numero 1 del mondo Jimmiy Connors.
Raggiunse la seconda finale di Davis in cui gli azzurri furono sconfitti dai canguri australiani Alexander e Roche trovandosi a fine anno a ridosso della top ten che raggiungerà a pieno titolo l’anno successivo diventando il primo tennista italiano nei magnifici dieci. Nell’anno seguente arrivò in semifinale a Montecarlo e Roland Garros sconfitto nettamente da Bjorn Borg, che lo batterà anche nella sua terza finale consecutiva di Bastad, ma grazie ad altre sette semifinali Atp l’ingresso al Master 1979 di New York sarà garantito nonostante le tre sconfitte in altrettante partite. Nella stessa annata riuscirà ad arrivare in finale sia a Palermo che nel sintetico di Parigi, e con i successi su Gran Bretagna e Cecoslovacchia l’Italia raggiungerà l’ennesima finale di Davis, perdendo nettamente in California contro Gerulaitis e John Mc Enroe, un’annata chiusa senza successi intorno alla trentesima posizione. Il quinto ed ultimo sigillo arriverà al’inizio 1980 al Cairo superando in finale Paolino Bertolucci col quale raggiungerà la sua quarta finale di Davis sconfiggendo al Foro Italico la Svezia in semifinale prima di arrendersi a Praga alla Cecoslovacchia di Smid e Lendl. Dopo due stagioni interlocutorie riuscì a piazzare l’ultimo acuto in carriera nel 1983, raggiungendo per la terza volta la semifinale a Montecarlo in cui venne sconfitto dal giovanissimo Mats Wilander per poi ritirarsi l’anno seguente a trentatré anni dopo tredici anni di numerose battaglie e un posto assoluto nella storia della racchetta nostrana, suggellato da numerosi record e un best ranking targato numero sette. Il resto è storia del ventunesimo secolo, dal 2001 Corrado assumerà il ruolo di Capitano Azzurro della nazionale a cui si affiancherà lo stesso incarico nel settore femminile, che traghetterà alla conquista di quattro Fed Cup in quattordici anni di onorata panchina. Abdicherà a fine 2020 lasciando la direzione tecnica a Filippo Volandri, tornando al ruolo che è da sempre nelle sue corde che è quello di trasmettere, grazie alla sua accademia nella quale è tornato a tempo pieno, il suo sapere e le sue esperienza alle nuove leve del tennis italiano. Abbiamo avuto l’onore di incontrare questo giovane ed entusiasta sessantottenne per riavvolgere e rivivere il nastro della storia di uno degli indiscussi protagonisti di questo unico e fantastico sport chiamato tennis.
Corrado buongiorno, partiamo dal tuo attuale presente. Sei ripartito con la tua storica accademia. Come è organizzata e quali finalità si propone?
Sì l’abbiamo riattivata con un open day, un vero e proprio centro di allenamento perché insegnare è sempre stato nelle mi corde. Sono tornato a fare quello che mi è sempre piaciuto dopo aver interrotto il mio rapporto con la Federazione perché il fatto di diventare capitano della nazionale non mi ha mai distolto dalla mia vocazione naturale che è quella di educare e formare giovani talenti con i quali già lavoravo negli anni novanta nel Corrado Barazzutti college. Ho un mio metodo che definisco accelerato con l’obiettivo di invogliare i più giovani ad approcciare questa fantastica disciplina, poi avendo anche una nipote coinvolta le motivazioni sono di certo quelle giuste.
L’effetto della pandemia sul tennis. Paradossalmente è uno degli sport che ne ha più giovato?
Di certo siamo quelli che abbiamo subito di meno le emergenze sanitarie grazie al fatto che il tennis si pratica all’aperto e a distanza di sicurezza, soprattutto al centro sud dove il clima è anche più mite. Le scuole sono riuscite in generale a lavorare con continuità registrando anche un aumento di tesserati che si sono dirottati sul tennis avendo precluse molte altre discipline al chiuso. Dal punto di vista professionistico ahimè ha pesato la mancanza di pubblico che in questo sport è a dir poco fondamentale e in più tantissimi tornei sono stati cancellati per il Covid. Ancora non è finita, ci sarà ancora da soffrire soprattutto in questa fase perché i dati sembrano confermare una crescita fisiologica del virus.
Torniamo agli anni sessanta, un giovane Corrado Barazzutti inizia a praticare il tennis…
Tutto inizia a sette anni ad Alessandria dove mi ero trasferito per motivi di lavoro di mio padre, vengo notato per puro caso, insieme al mio amico Roberto Lombardi, da alcuni dirigenti locali e ci viene affidato un maestro grazie al quale arrivano le prime vittorie juniores pur non giocando tantissimo. Poi a sedici anni vengo ancora intercettato da un dirigente romano e mi trasferisco con tutta la famiglia, ho un ingaggio importante che mi permetteva di aiutare i miei, ma fino ai diciotto anni non ho mai pensato di poter fare il professionista. Poi mi sono trovato a vincere il campionato del mondo juniores e da lì sono aumentate le convinzioni di poter intraprendere definitivamente questa strada pur avendo a momenti dei dubbi fondati sul fatto che se non avessi sfondato avrei messo in difficoltà la mia famiglia.
Le difficoltà intrinseche di questo sport a tuo avviso non ci hanno mai permesso di tirar fuori nel tempo un campionissimo? Anche se gli ultimi anni sia il femminile che oggi il maschile ci hanno regalato diverse soddisfazioni. Guardiamo al bicchiere mezzo pieno?
Io credo che noi abbiamo avuto grandi campioni, da Nicola ad Adriano che hanno dato tantissime gioie negli anni sessanta-settanta e poi negli anni duemila abbiamo vinto due Slam femminili singolari e diversi doppi e quattro Fed Cup, mentre oggi abbiamo due ragazzi nella Top Ten Atp di talento e molto giovani che mi fanno guardare con grandissimi ottimismo al futuro, ed a questi aggiungiamo Musetti, Sonego e il sempreverde Fabio Fognini. Abbiamo raggiunto una storica finale a Wimbledon e a mio avviso prima o poi con queste premesse potremmo vincere più di uno Slam, senza tralasciare le ottime chancès che potremmo avere in Davis con questo gruppo così ben attrezzato. Guardiamo senza ombra di dubbio al bicchiere mezzo pieno, mai come in questo momento.
Tante battaglie, molte gioie e qualche amarezza. Il trionfo di Santiago è sempre nella top list dei ricordi indelebili?
Sì i ricordi della Davis di quegli anni sono incredibili e indelebili perché era una competizione durissima e difficilissima, unica nel suo genere. E’ lì che un giocatore doveva dimostrare la propria forza sia fisica che caratteriale, giocando in tre giorni tre set su cinque spesso scendendo in campo sia in singolo che in doppio, per farlo bisogna essere dei Super Tennisti. Sono ricordi molto vivi basati sulla fatica e sulla sofferenza, ma spesso ripagati da immense gioie condivise con chi insieme a te ha lottato per rappresentare il proprio Paese, vederla oggi così svilita nella sua essenza è francamente mortificante e non merita neanche un commento. Spero che questa formula basata solo su business e diritti tv e nulla più vada rivista e che anche le federazioni e i giocatori facciano la loro parte per tornare indietro perché così si sta snaturando e offendendo la storia del tennis.
Sei stato capitano contemporaneamente sia on Davis che in Fed Cup. Differenze, se ce ne sono, nella gestione mentale dei due sessi?
Per quanto mi riguarda, e ricordo un convegno su questo tema all’Acqua Acetosa a Roma, non ho mai fatto differenza tra uomini e donne considerandoli esclusivamente degli atleti che competono per un obiettivo. Non ho mai avuto la sensazione di dover lavorare con tennisti diversi, ma aventi caratteristiche differenti che andavano gestite in modalità diverse. La questione dei sessi non mi ha mai toccato direttamente mentre l’aspetto mentale è sempre stato fondamentale perché a parità di mezzi la differenza la fa solo la personalità più forte e in grado di reggere meglio a certe pressioni lavorando sul proprio stato emotivo, bilanciando sofferenza ed euforia. Oggi se ne parla di più e gli strumenti sono cambiati, diciamo che è un argomento che va molto di moda in questi ultimi anni, ma se tu non sai giocare a tennis non c’è mental coach che regga.
Il tennis di oggi molto più potente e muscolare, ti piace? C’è qualcosa che cambieresti? Magari si potrebbe limitare in qualche modo l’incidenza del servizio?
Non trovo che il tennis in questi ultimi anni sia cambiato molto, giocatori forti che servivano oltre i duecento ce ne son sempre stati, forse quello che manca oggi è il serve & volley di una volta perché le velocità sono radicalmente cambiate. Le discussioni sono ciclicamente le stesse da anni, ma a mio avviso non andrebbe fatta alcuna modifica al regolamento perché i più forti alla fine vengono sempre a galla, basta guardare l’attuale numero uno che non mi sembra sia un bombardiere. Non riduciamo questo sport alla mercè di forza bruta o di esclusiva fisicità perché anche un buon servizio a 170 all’ora vicino alle righe può fare ace se è piazzato bene con le giuste rotazioni. Per vincere a tennis bisogna saper giocare ed essere atleti completi, punto e basta.
Il PNNR e l’utilizzo relativo delle risorse. In che direzione dovremmo andare secondo te? C’è un po’ di miopia politica sull’importanza sociale dello sport?
Da sempre sostengo, e l’ho scritto più di una volta sui giornali, che la pubblica istruzione non sia affatto attrezzata per quanto riguarda lo sport dei nostri giovani. La Costituzione prevede che tutti abbiano diritto alla pratica sportiva, ma è qui che secondo me si fa un po’ di confusione tra la semplice attività motoria e l’avvio verso una disciplina sportiva. La prima è indispensabile senza dubbio e propedeutica per i bambini di 4-5 anni mentre la seconda è demandata sempre tra accordi tra scuole e associazioni private, non pubbliche e su questo andrebbe fatta chiarezza. La formazione e la realizzazione dell’individuo attraverso lo sport deve passare per forza sulla conoscenza e la pratica della disciplina gratuita per tutti e non a pagamento, perché chi va alle Olimpiadi non ci va facendo attività di base, ma perché si è specializzato in una determinata pratica sportiva che è diventata la sua professione. C’è molta confusione e questo non giova di fatto al movimento, qui il Governo dovrebbe intervenire utilizzando le risorse per supportare i privati senza alcun costo per le famiglie. Staremo a vedere.
Chiudiamo con un messaggio e uno spot rivolto ai nostri ragazzi. Praticate il tennis perché…?
Assolutamente bisogna provare il tennis perché è uno degli sport più belli del mondo, è appassionante e coinvolgente sotto molti punti di vista, ti forma e ti fa crescere rafforzando il tuo carattere. Ti mette a dura prova e ti rende migliore poi si perde e si vince, ma dopo ogni singolo incontro aumenta la consapevolezza dei tuoi mezzi. Sono e voglio essere di parte per cui non posso non invitarvi a provare indipendentemente dai risultati che possono o meno arrivare ad un certo livello. Non è assolutamente uno sport che ti isola, anzi ti coinvolge e ti spinge a dare il meglio di te, per cui non abbiate dubbi e prendete in mano una racchetta, ne vale davvero la pena.