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A tu per tu con Carlo Pernat, il Re Mida delle due ruote

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Carlo Pernat, non è solo un manager vincente del motociclismo, ma può essere considerato il Re Mida delle due ruote. Carlo,  che ha vinto ben 13 titoli Mondiali Piloti, inizia la sua carriera nella Piaggio quando gli viene affidata la direzione del reparto corse. Dal 1979 ad oggi ha fatto di tutto, dal cross alla Parigi-Dakar, alla velocità. Oltre ad essere il manager dei due giovani talenti Enea Bastianini (vincitore del Mondiale 2020 nella Moto2 e quest’anno in MotoGp in sella alla Ducati) e Tony Arbolino (vicampione 2020 della classe Moto3 e quest’anno in Moto 2) è stato il manager di Loris Capirossi, Andrea Iannone e del compianto Marco Simoncelli e ha scoperto Valentino Rossi e Max Biaggi. Ecco cosa ci ha raccontato.

Come ti sei avvicinato al mondo del motociclismo?

Il mio avvicinamento al mondo delle moto è stato molto facile perché a Genova c’era la Piaggio ed io ero nella direzione marketing e comunicazione. Negli anni 1976-77 la Piaggio era la numero uno. Lì ebbi un colpo di fortuna perché l’amministratore delegato della Piaggio, l’ingegnere Sguazzini che era anche presidente della Lancia mi chiese di dirigere il reparto corse della Piaggio e mi confermò che comprarono la Gilera. La Piaggio era sponsor Ferrari nel 1980, della Bianchi nel ciclismo nel 1982 con la Bianchi-Piaggio, con la Juventus nella Coppa dei Campioni. Ho avuto un po’ di fortuna ma nella vita ci vuole fortuna.

Tra il motociclismo attuale e quello del passato cosa c’è di diverso?

Non trovo tante diversità tra il motociclismo del passato e quello attuale. Il motociclismo è fatto di pilota, moto e team. È chiaro che ogni tempo ha le sue moto, i suoi piloti, i suoi meccanici ma i meccanici “tosti” resistono sempre come i Burgess, i Sandi. C’è stato un cambiamento evidente sull’elettronica perché prima il pilota era sempre con la mano sulla frizione per il grippaggio, e con i due tempi comandava il pilota e se sbagliava andava a finire nei cartelloni pubblicitari: contava il pilota al 70 % e la moto al 30%. Ora invece la moto conta il 70 % e il pilota il 30%. Per il resto c’è più organizzazione e siamo al livello della Formula 1 per immagine, per team, per ospitality ma le tre cose che non cambieranno mai e che fanno ti fanno vincere il Mondiale sono sempre pilota, moto e team.

Hai avuto tante soddisfazioni e vinto tanti mondiali, l’ultimo con Enea Bastianini in Moto 2 quest’anno. Quale è stato per te il momento più bello e quello più brutto a livello sportivo?

Beh sai è difficile dire quale è il momento più bello e quello più brutto ma nella mia carriera il primo mondiale vinto con Alessandro Gramigni nel 1992 sicuramente è il momento più bello perché non te lo dimentichi mai, come il primo amore;  fu un Mondiale travagliato a causa di un incidente che lo vide protagonista e lo vincemmo all’ultima gara in Sudafrica e mai lo dimenticherò. Invece i momenti più brutti sono stati due, non in ordine di importanza ma di tempo: il primo quando Hubert Auriol nella Parigi-Dakar si fratturò le caviglie ed ero lì perché ero il manager della Cagiva e mentre stava andando ad operarsi, nell’aereo, piangendo, mi disse di riferire a Castiglioni che avevamo battuto l’Honda, cosa non vera ma che mi fece uscire qualche lacrima. Il secondo momento fu la morte di Marco (Simoncelli ndr), ero il suo manager e fu come perdere qualcosa di me dentro e volevo anche smettere. Ho passato due mesi a casa di Paolo Simoncelli, dormivo nella camera di Marco e volevo smettere, fu lo stesso Paolo, non dico a convincermi ma quasi, a continuare e ho fatto bene. E Marco, secondo me, da lassù ha detto “Carlo hai fatto bene…”

Tornassi indietro rifaresti tutto quello che hai fatto o cambieresti qualcosa?

Sul fatto di cambiare, ti dico la verità, no perché ho una mia filosofia: il tempo non passa, il tempo arriva. Quello che conta è quello che vuoi fare domani, non quello che fai. Di rimpianti non ne ho sicuramente, anche gli errori che ho fatto mi sono sicuramente serviti, questo è importante e ne posso fare esperienza, ma non cambierei nulla, anche le “cappelle”. Io simpaticamente dico che nella vita c’è sempre qualcuno che ha fatto una “cappella” più grossa di te, Michelangelo ha fatto la Cappella Sistina.

Per il Motomondiale 2021 che stagione prevedi per i tuoi assistiti nelle varie classi? Magari un altro titolo mondiale?

Il prossimo anno sarà un anno difficile perchè visto che viviamo in un momento delicato non sappiamo ancora cosa accadrà ed è difficile fare previsioni e programmazioni. Mi aspetto che Enea (Bastianini ndr) faccia bene e possa vincere il titolo di Rookie dell’anno in MotoGp e prevedo che ben presto sarà tra i primi dieci perché è adatto alla guida MotoGp, fa scorrere la moto dietro, ha talento e la tiene ferma. Su Tony (Arbolino ndr) ti posso dire che ha un talento naturale, una voglia di apprendere, una consapevolezza di essere forte che presto lo porterà a fare bene e vedrai che sarà un talento di cui ne sentiremo parlare.

Il tuo libro “Belìn Che Paddock” ha venduto e sta vendendo tantissime copie ed è una pietra miliare per chi ama il motociclismo con tutti i suoi aneddoti. Hai pensato di scrivere un altro libro visto il successo del primo?

Non mi aspettavo un successo del genere con quasi 14 mila vendite, è pazzesco. Basta aprirsi e raccontare tutto quello che la gente non sa e farlo con autoironia anche prendendoti in giro. Non ho pensato di scrivere un secondo libro, ma la Mondadori ha tagliato 100 pagine che potevano essere chiamate in causa dagli avvocati per ciò che vi era scritto e magari per  quelle 100 pagine “nere” quando smetto faccio l’editore io, Pernat Carlo editore con “Belìn che Paddock 2” o “Belìn che Paddock The Black Book” (ride ndr).

In ultimo ti chiedo per un attimo di chiudere gli occhi e di pensare al Carlo Pernat tra qualche anno. Come ti vedi? Sempre nel mondo del motociclismo magari al posto di Carmelo Ezpeleta o altrove?

Non è facile ma comunque mi vedo nel motociclismo. Quando sarò in panciolle seguirò il mio Genoa per cui ho una grande passione e per cui lavorai nel 1998 e finché avrò l’ultima goccia di sangue sportivo nelle mie vene e fisicamente sono apposto mai andrò via dal paddock perché è la mia famiglia, la mia vita, sono un gipsy king. Dal 1979 ad oggi tra cross, Parigi-Dakar, velocità ho fatto di tutto e mi son portato a casa 13 titoli Mondiali di Piloti, mica poco. Scherzando con Tony (Arbolino ndr) gli dico che quando vincerà magari il Mondiale sarà “orfano” del manager (ride ndr). Sarò sempre lì ma non ho le ambizioni di prendere il posto di Carmelo Ezpeleta, anche se non mi dispiacerebbe farlo ma loro sono più portati per queste cose, ma mi vedo sempre sul campo di gara.

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