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A tu per tu con Arianna Fontana, la scheggia azzurra dello short track

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Momenti difficili per tutto il comparto degli sport invernali che stanno vivendo sulle loro spalle i danni causati dalla seconda brusca ondata di Covid che di fatto sta paralizzando le strutture sciistiche di tutta Europa, salvo rarissime e rischiosissime eccezioni. I timori per gli afflussi incontrollati di massa nelle stazioni alpine si stanno di fatto ripercuotendosi anche a livello agonistico dove i calendari subiscono continue mutazioni e cancellazioni vista l’impossibilità di programmare in anticipo e gestire in sicurezza le varie tappe delle relative discipline. Non fa eccezione lo short track, la cui stagione sta per iniziare tra mille incognite e incertezze con l’eliminazione delle gare tedesche di febbraio a Biethgeim-Bissingen e Dresda e lo spostamento, con relativo anticipo, degli Europei che avranno luogo a Dordrecht e non più a Rotterdam.

Quando si parla di Short-Track parliamo ovviamente della disciplina di sua maestà Arianna Fontana, la trentenne pattinatrice di Sondrio che con le sue imprese ha portato alla luce dei riflettori che contano uno sport che fino a poco fa era stato piuttosto avaro di risultati. Dopo l’esordio dimostrativo a Calgary lo short-track è divenuta a tutti gli effetti disciplina olimpica nel 1992 a Lillehammer, mentre Arianna dopo l’esordio nel 2005 in Coppa del Mondo si aggiudicava a soli quindici anni le sue prime medaglie europee in attesa dell’esordio olimpico di Torino. Ed è qui che entra nella storia conquistando con la staffetta azzurra la centesima medaglia olimpica invernale a nemmeno sedici anni, record assoluto ed ineguagliato. Da lì in poi Arianna compirà una lunga ed inesorabile ascesa, tra piazzamenti in Coppa del Mondo e le prime olimpiadi da protagonista, quelle di Vancouver 2010. Sarà suo il primo storico bronzo individuale a cinque cerchi nei 500 metri, che le spalancherà le porte alla Coppa del Mondo di specialità nel 2012 e al successivo tris olimpico di Sochi 2014. Un argento individuale nei 1.500 e due bronzi, uno nei 500 individuali e uno nella staffetta 3.000 metri, concludono questa esperienza trionfale che la vedrà proiettata nel gotha assoluto di questo sport al fianco delle, fino ad allora inarrivabili, coreane, cinesi ed olandesi, ma a mancare è ancora quel primo oro che riuscirà finalmente a raggiungere, nei 1.500, ai mondiali di Mosca 2015.

A fine 2015 decide di staccare per un anno in compagnia del suo novello sposo e allenatore Anthony Lobello, ricaricando le batterie per riprogrammare al meglio l’avvicinamento alle Olimpiadi coreane. Arriva nella piena maturità psico-fisica a Pyeongchang, in cui riveste il ruolo di porta bandiera della delegazione azzurra, inseguendo il suo posto nella storia. Che raggiunge puntualmente il 13 febbraio 2018 conquistando un oro incredibile in una finale indimenticabile nei 500 metri prendendo dall’inizio la testa della gara e chiudendo con 42,569 – suo record personale – davanti alle esterrefatte saette orientali. Una prova di forza mostruosa alle quale seguiranno un altro bronzo in staffetta e un argento individuale nei 1.000 metri, consacrazione assoluta di un talento straordinario e di un’ineccepibile competitività nel medio-lungo periodo. Un palmarès pazzesco che agli otto podi olimpici e quattordici mondiali, può vantare sedici vittorie, su un totale di sessantuno podi, in coppa del mondo e ventiquattro ori europei a cui vanno aggiunti quindici argenti e sei bronzi. Statistiche da brivido per un’atleta ancora in attività che non ha di sicuro intenzione di fermarsi puntando alle Olimpiadi di Cortina 2026 come obiettivo massimo del suo straordinario percorso agonistico. Il cavalierato al merito della Repubblica e i due collari olimpici al merito sportivo testimoniano l’esempio che questa atleta da anni svolge regalando, col suo sorriso limpido unito ad una volontà di ferro, gioie e soddisfazioni all’intero movimento e ai suoi innumerevoli fan. L’abbiamo incontrata in questa fase interlocutoria di preparazione per approfondire le tematiche inerenti ai prossimi impegni stagionali, aspettando Pechino 2022, e rivivendo in parallelo le tappe salienti della sua strepitosa carriera.

Arianna buongiorno. Partiamo con la gestione di questa fase delicata e innaturale. Siete riusciti a fare gli Europei e poi vi siete dovuti fermare. Come hai vissuto questi difficili mesi dal punto vista fisico e mentale?

La parte più dura ha riguardato senza dubbio l’aspetto emotivo e mentale, non ero mai rimasta a casa così a lungo negli ultimi quindici anni ed in più avevo mio marito negli States e non sapevo quando lo avrei rivisto. E’ stato difficile dover accettare in generale una situazione che era al di fuori dalla nostra più lontana immaginazione, ma davanti alla salute nostra e di chi ci sta intorno non si può far altro che accettare le regole e rispettarle comportandoti di conseguenza.

La stagione che vi aspetta, sarà inevitabilmente diversa dalle altre, il calendario è stato rivoluzionato e la mancanza di pubblico di certo non farà piacere. L’importante per voi è comunque avere il privilegio di poter tornare a gareggiare? Obiettivi stagionali?

Credo che per chiunque di noi gareggiare e potersi esprimere sia importante per tutti i sacrifici che facciamo, ma in questo momento la salute e la sicurezza di tutti gli atleti sono prioritari. Sono stata diverso tempo senza effettuare gare e questo non mi preoccupa particolarmente, spero comunque che i mondiali di Dodrecht si tengano regolarmente a marzo, saranno il mio obiettivo e un ottimo test in previsione della stagione olimpica di Pechino 2022.

I tuoi inizi. Si inizia sempre per gioco o perché si seguono le orme di un fratello più grande. Poi il gioco inizia a farsi duro ed è li che emergono i campioni. Quando hai capito che potevi essere al top e chi, soprattutto nella prima fase, ti senti di ringraziare?

Sì è proprio così, ho agito come fanno i fratelli minori seguendo le gesta di quelli più grandi. Ho iniziato ovviamente per gioco con mio fratello Alessandro che si divertiva, eravamo un bel gruppetto di ragazzi su da noi tra le montagne della Valtellina. Poi pian pianino l’aspetto ludico si è trasformato in qualcos’altro, ma non so dirti di preciso quando in me è scattato qualcosa anche se sin da piccola ho avuto la consapevolezza che, più che le piroette, mi piaceva la velocità. Poi di sicuro l’aspetto caratteriale ha fatto il resto, volevo vincere e arrivare alle Olimpiadi e il sogno si è avverato già a Torino, avevo l’incoscienza dei sedici anni, è stato incredibile.

Che tipo di sport è lo short track, come lo definiresti?  In pista ve le date di santa ragione…

E’ una disciplina di pura adrenalina, bisogna combinare velocità e potenza e saper reagire a tutte le dinamiche che possono scatenarsi in gara. Contatti, cadute e sorpassi sono all’ordine del giorno e tutto si concentra in un tempo relativamente breve, per me è stato amore a prima vista e la passione è scattata immediatamente. L’energia che si sprigiona nello short track unita alla caparbietà negli allenamenti mi hanno permesso di farne lo sport della vita, non servono doti da super-eroe ma di sicuro un gran testa dura e un gran voglia di competere, che hanno sempre fatto parte del mio Dna.

Il tuo allenamento, in tutte le varie fasi, com’è strutturato? Quanta fatica sei costretta a fare per rimanere a questi livelli?

Il tipo di preparazione è il frutto di una programmazione strutturata su vari livelli che vanno di pari passo con gli obiettivi stagionali per cui si bilancia il tutto per arrivare al top a ridosso delle gare. Fatica se ne fa tanta, se hai fame di vittoria devi lavorare sodo per mantenere determinati standard. Poi nel mio caso arrivano anche i risultati che di fatto cancellano tutti gli sforzi fatti in precedenza e si è pronti a ricominciare e a dare di nuovo il massimo.

Il tuo anno sabbatico è la prova tangibile che a questi livelli questo mondo può anche toglierti tante risorse? Dopo sei tornata più forte e agguerrita di prima.

Ho la fortuna di avere un marito allenatore al mio fianco che sa capire le mie esigenze, quando è il momento di spingere e quando bisogna staccare un attimo la spina. Sia nel 2015 che dopo le Olimpiadi di Pyeongchang è stato proprio così, avevo bisogno di una pausa e di un po’ di intimità per evadere dal caos e avrei ripreso solo con le motivazioni giuste. Dopo un periodo di totale relax sapevo che rientrare a questi livelli non sarebbe stata una passeggiata, ma step by step con la mente libera e con tantissimo lavoro sono tornata più forte e carica di prima. Credo di aver fatto la scelta giusta assecondando in quella fase le mie priorità.

La serenità della tua vita privata e la figura di tuo marito-allenatore. Quanto sono importanti in termini di concentrazione e risultati?

Abbiamo una connessione incomparabile, la nostra relazione privata rende quella professionale ancora più forte. Quando all’inizio ho chiesto ad Anthony di allenarmi sapevamo dei rischi in cui potevamo incorrere in caso di risultati non esaltanti, consapevoli del fatto che questo si sarebbe potuto ripercuotere anche nel nostro quotidiano, ma la mia fiducia è stata da subito totale a tal punto che sono arrivata, affidandomi completamente a lui, ad un livello agonistico che non credevo assolutamente possibile. E’ lui la mia guida e insieme continueremo ad affrontare tutte le prossime sfide.

Otto medaglie, la Belmondo è a due sole lunghezze. Statistiche a parte, ce n’è una alla quale sei più affezionata? Meglio vincere meno medaglie, ma più ori oppure ogni medaglia a un suo valore intrinseco?

Posso dirti che ogni medaglia, indipendentemente dal colore, ha un suo valore intrinseco perché rappresenta una fatica, un pianto, un obiettivo e un sogno. Inutile fare distinguo perché quando arrivi a competere a questi livelli e sei all’altezza di giocarti l’oro vuol dire che gli sforzi e i sacrifici che hai fatto sono stati ripagati. Ogni medaglia, olimpica, mondiale o europea ha per me ha un sapore speciale legato ad un ricordo speciale, spero di riviverne ancora altri perché sono il sale di ogni sport.

Pechino è dietro l’angolo, poi ci sarà Cortina 2026, obiettivo al quale conti di arrivare ancor al massimo? A Torino eri troppo giovane, ma la gioia di disputare un’olimpiade in casa non potrà togliertela nessuno?

Partiamo da Pechino che è molto vicina ed è uno degli massimi obiettivi della mia maturità agonistica, ci lavorerò per arrivarci al top come sempre. Milano-Cortina le vedo ancora troppo lontane ed è molto difficile fare previsioni così ad ampio raggio, ma è ovvio che chiudere la mia carriera di atleta in Italia dove tutto è cominciato sarebbe un sogno e farò di tutto per realizzarlo.

Il movimento azzurro di short track. A che livello di competitività siamo e quali sono le storiche nazioni leader della disciplina?

Viviamo un momento virtuoso, il movimento è in salute e c’è un bel mix tra le ragazze della squadra con veterane e new entry e questo fa ben sperare sia in chiave attuale che futura. Purtroppo non mi alleno con loro e non posso darle il mio sostegno diretto, ma so benissimo che dietro c’è un ottimo lavoro tecnico finalizzato all’obiettivo olimpico e farà piacere potersi ritrovare tutte insieme per inseguire un sogno che è sia individuale che di squadra.

Un messaggio ai giovani, hai migliaia di followers che ammirano il tuo esempio. Cosa senti di dirgli, soprattutto in una fase di reclusione forzata come questa? Magari dopo sarà ancora più bello stare insieme all’aperto e riprendere a fare sport a qualsiasi livello?

E’ stato un anno molto difficile, in molto hanno perso persone a loro care o sono stati costretti ad affrontare problematiche nuove ed inimmaginabili che di fatto hanno stravolto la loro abituale routine. La speranza è quella di poter tornare al più presto alla cosiddetta normalità e in tal senso credo che lo sport in generale avrà un ruolo fondamentale nella nostra ripresa, perché è uno dei pochi settori in gradi di unire la passione di tantissima gente. Tornare a pattinare con gli spalti gremiti sarebbe un regalo fantastico per tutti noi, perché gareggiare senza la condivisione del pubblico toglie di sicuro quelle connessioni emotive che sono basilari per un atleta.

 

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