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Trieste senza Unione: dal fallimento all’ipotesi di azionariato popolare

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Le fatiche di una squadra storica come la Triestina si protraggono da ormai diversi anni, pesando in maniera gravosa sull’orbita dell’intero sport alabardato. Il 1° febbraio è arrivato il fallimento per l’Unione Triestina 2012, ora chiamata a ripartire da un presente buio, verso un futuro che appare ancora incerto. Termina la presidenza di Marco Pontrelli, il cui ultimo sussulto era stata l’ipotesi di una compravendita con Silvano Favarato, mai andata in porto. Giuseppe Alessio Vernì, curatore fallimentare, ora ha il compito di traghettare la squadra sino alla fine del campionato, ma le incognite sono già molte: «Prima si trova l’eventuale compratore, minore sarà il numero di settimane durante le quali ci sarà da lottare in esercizio provvisorio, con risorse via via più ridotte», «anche organizzare la prossima partita è un’impresa» chiosa l’articolo del Piccolo, proponendo anche ipotetici soluzioni per la rinascita: Mauro Milanese, il binomio Vascotto-Alma, il gruppo Todaro, circola ancora il nome di Favarato, e nessuno esclude l’ingresso dei proprietari della Pallacanestro Trieste, oggi in A2, ed unica realtà sportiva professionistica in città, assieme alla pallanuoto, in A1.

Come ha fatto l’Unione a cadere così in basso? Il declino spaventa e, comprensibilmente, ha sortito effetti funesti sul cuore del tifo biancorosso, la Curva Furlan. La media spettatori allo stadio Nereo Rocco è in calo vertiginoso: appena 241 spettatori di media quest’anno, cifre lontane anni luce dai 1642 della scorsa stagione e i 1903 di due anni fa, che comunque erano già calati considerevolmente rispetto ai 2261 del 2012/2013, la prima con la società Unione Triestina 2012, nata dall’iniziativa di imprenditori locali caldeggiata dal Sindaco Roberto Cosolini. In questa fase, i tifosi si adoperarono anche per riacquisire lo storico stemma dell’alabarda in comodato d’uso fino all’agosto 2015. Un anno prima, la società strinse un accordo di collaborazione con Maurizio Zamparini per fornire anche giovani leve da lanciare nel professionismo, ma a fine 2014 anche questa prospettiva tramontò, aprendo all’ingresso della cordata Mehmeti-Mbock, che gestirà l’Unione per 5 mesi con risultati disastrosi, costretti al passaggio di quote a Di Piero-Pontrelli.

Ottenuta un’insperata salvezza nel campionato di Serie D, i tifosi, uniti in CCTC e Curva Furlan, ritirano però lo storico marchio, in aperta contestazione con la società. Adesso, è tempo di pensare al futuro, è avanzata anche l’ipotesi del supporters’ trust, mentre l’ex difensore Mauro Milanese è disposto a versare 5 milioni in 5 anni. La cosa certa è che senza l’Unione, Trieste è orfana di un organo vitale per le sue funzioni.

Il Nereo Rocco è oggi una cattedrale nel deserto, un bel complesso sportivo arido e orfano dei suoi tifosi, nel quartiere di Valmaura, periferia sud della città, ma è uno scenario a cui si abituato già negli ultimi anni di serie B, quando fu teatro della sperimentazione dei tifosi finti: le installazioni piane con immagini di tifosi, posizionate negli spalti vuoti dello stadio che cominciava a vivere la sua opera di svuotamento. Nel 1994 il primo fallimento portò a una rinascita completata dalla gestione di Amilcare Berti. Ottenuto il passaggio dalla D alla C2 nel 1995, dove si consolidò negli anni successivi prima di raggiungere la C1 e poi la promozione in Serie B che mancava da anni, sfiorando anche la serie A nel 2002-2003, con Ezio Rossi in panchina, autore della scalata.

Nel 2004-2005 Berti vendette la società all’immobiliarista Flaviano Tonellotto, che imponeva diete macrobiotiche e non legò mai con i tifosi. Per allontanarlo dalla Triestina, servirà nel 2006 l’intervento della magistratura con l’accusa di appropriazione indebita. La ricapitalizzazione passa dalle mani dell’imprenditore friulano Stefano Fantinel, che sottoscrive il 79% delle azioni. La squadra si consolida in Serie B, contribuendo indirettamente al ritorno in A di Genoa e Napoli nel giugno 2007, fino alla retrocessione nel 2009-2010, evitata con un ripescaggio che ritarda il ritorno in serie C all’anno dopo.

Nell’agosto 2011 Fantinel cede il 50% al Gruppo Aletti, che poco dopo rileva il 96% delle quote, presidente nominata: Cristina De Angelis, che a ottobre dello stesso anno lascerà il posto ad Aletti dopo un diverbio. Ma il peso debitorio è diventato insostenibile, il 4 gennaio 2012 la Procura di Trieste chiede il fallimento, portando ad una situazione analoga a quella in cui l’Unione si ritrova oggi, quattro anni dopo. La retrocessione nella seconda divisione di Lega Pro passa in secondo piano, poiché l’Unione Triestina 2012 riparte dai dilettanti. Alla cordata locale, si contrappone il progetto Triestina per Sempre, una partnership con Stefano Mezzaroma che chiede l’iscrizione, rifiutata, alla Serie D.

Paradossalmente, il progetto Unione Triestina 2012 ha più garanzie, con un assegno istantaneo di 100.000€ per l’iscrizione al campionato di eccellenza.  L’Unione (ri)comincia la sua storia, con accanto la fedeltà di una tifoseria che ingoiando bocconi amari ora si ritrova a convivere con il secondo fallimento in pochi anni, dopo aver già sofferto del crac del 1994, quando il declino si era accompagnato all’ingresso nel nuovo stadio Rocco, che nel 1993 fece ammalare la Triestina di una sindrome del Rocco, il focolare di una malattia che sembrava guarita con Amilcare Berti, mancato nell’agosto 2014, ed invece, dopo il suo addio, ha visto solo tanti cerotti incapaci a curare le ferite.

Chi arriverà per la rinascita dell’Unione, deve però farlo con una priorità: riportare i tifosi allo stadio, rivedere la Curva Furlan piena e il piazzale di Valmaura gremito ogni domenica. I 241 spettatori di media sono un dato da cui non ripartire. La storia del calcio a Trieste, nato nel 1919 dall’unione tra FC Trieste e CS Ponziana, non può essere ricordata solo per gli ultimi anni bui. Un club che ha visto figure importanti come Nereo Rocco e Bèla Guttmann (l’allenatore della maledizione del Benfica, guidò la Triestina nel 1950-1951) trascorrendo diverse stagioni in Serie A. Per ridare il calcio a Trieste, serve ritrovare lo spirito che dà il nome alla squadra: serve Unione.

FOTO: www.treisteprima.it

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