Francesco Totti e la Roma, un amore incondizionato che poche settimane fa è giunto alle nozze d’argento. I giallorossi, infatti, sono partiti per il ritiro estivo di Pinzolo e per il capitano si è trattato dell’avventura numero venticinque; tutte con la stessa maglia, tutte con la lupa tatuata sul cuore.
Anni di record e successi, ma anche di grosse delusioni, con una sola certezza: la fedeltà alla squadra in cui sognava di giocare già da quando era soltanto un bambino che tirava calci ad un pallone per le strade nei pressi di Porta Metronia.
Solo in un’occasione Francesco Totti fu realmente vicino a lasciare la Capitale. Il fato, però, intervenne, in una serata che sembrò anonima ai più, per dare inizio ad una favola che si sarebbe presto trasformata in leggenda.
Sono i primi giorni di Febbraio nel 1997 e allo Stadio Olimpico viene organizzato un triangolare amichevole, il ‘Trofeo Città di Roma”, tra i giallorossi, gli olandesi dell’Ajax ed i tedeschi del Borussia Moenchengladbach.
La stagione della Roma era iniziata con grosse aspettative; nella Capitale, infatti, il presidente Franco Sensi ha portato il pluridecorato tecnico argentino Carlos Bianchi, che in Sudamerica ha vinto tutto ed è considerato un vero fenomeno della panchina. L’addio a ‘Er Magara’ Carletto Mazzone, tuttavia, è stato traumatico per molti tifosi romanisti e, soprattutto, per un giovane talento di casa a Trigoria: Francesco Totti, appunto.
‘Checco’ è stato svezzato, tanto sul rettangolo verde quanto al di fuori, dall’allenatore romano e romanista; la separazione con Mazzone, quindi, rappresenta un duro colpo per Totti, che con Bianchi stenta a legare sin dai primi mesi.
Per l’argentino, il campioncino giallorosso è un buon giocatore ma nulla di più. Un giorno, Carlos Bianchi arriva addirittura a paragonare la futura leggenda del calcio italiano a tale Fernando Pandolfi, attaccante del Velez Sarsfield allenato in precedenza dallo stesso Bianchi, uscito dall’Argentina soltanto per una breve comparsata (fallimentare) in quel di Perugia. Un discreto calciatore, insomma, non certo un campione.
Inizialmente, i risultati sembrano dare ragione al presunto ‘mago’ albiceleste. Una brutta uscita dalla Coppa Italia viene compensata da sei punti nelle prime due giornate di campionato. Dalle parti del ‘Cuppolone’ si inizia a pensare che dopo anni di sofferenze finalmente si possa puntare davvero in alto. Ci penserà la Sampdoria di Roberto Mancini e del futuro giallorosso Vincenzo Montella, alla terza giornata, a smontare facili entusiasmi: un clamoroso 1-4 dei blucerchiati all’Olimpico ed una disposizione tattica a dir poco confusionaria della squadra capitolina sollevano qualche dubbio sull’effettiva capacità gestionale di Bianchi.
Tra alti e bassi, si va avanti per alcuni mesi con la Roma costantemente posizionata a metà classifica. Francesco Totti, però, fatica a trovare spazio, dal momento che Carlos Bianchi predilige la coppia Balbo-Fonseca in avanti. Il presidente Sensi, spinto dai malumori del giovane talento di via Vetulonia, inizia così a pensare, con la morte nel cuore, alla possibile cessione del ragazzo.
Si fa avanti la Sampdoria, con Luciano Spinosi, ex calciatore giallorosso che ha allenato Totti nelle giovanili della Roma, allora allenatore in seconda di Sven Goran Eriksson, che, venuto a sapere della cedibilità di ‘Checco’, inizia a fare un pressing forsennato nei confronti del futuro capitano romanista. A benedire l’affare ci pensa poi Roberto Mancini, agli ultimi anni di carriera, che vede in Totti il proprio erede naturale.
Sensi nicchia ma per Carlos Bianchi non ci sono problemi a disfarsi di Francesco Totti.
Si arriva, così, al Trofeo Città di Roma. 9 febbraio 1997. Una serata persino scomoda per chi ha in mente soltanto gli impegni di campionato. Bianchi, infatti, schiera un folto numero di riserve. Tra loro, incredibile ma vero, figura anche Totti. L’allora numero 17 della Roma, una cifra consigliata al giocatore proprio dal tecnico argentino che spiegò a Totti come quel numero nella sua patria fosse sinonimo di fortuna, si trova di fronte il grande obiettivo di mercato della società di Franco Sensi, l’uomo segnalato da Carlos Bianchi per far fare il salto di qualità alla squadra: il trequartista finlandese dell’Ajax Jari Litmanen.
I tifosi giallorossi, pochi a dire la verità, accorrono allo stadio soprattutto per ammirare da vicino il possibile nuovo acquisto della Roma, ritenuto da molti addetti ai lavori tra i migliori talenti del momento. Il triangolare inizia ma a rubare la scena non è Litmanen, che viene oscurato da una stella ben più luminosa, quella che porta il nome ed il cognome Francesco Totti.
Un gol all’Ajax con una botta terrificante ed uno ai tedeschi del Moenchengladbach grazie ad una palombella che in futuro diventerà il marchio di fabbrica di casa Totti: il famigerato ‘cucchiaio’. La Roma conquista il torneo e Franco Sensi diventa irremovibile: “Totti non si muove. E’ più forte di Litmanen. Il ragazzo resta qui”. Il destino ha deciso.
Di lì a poco, in quel di Cagliari, dopo l’ennesimo disastro targato Bianchi, il tecnico sudamericano verrà esonerato. La stagione giallorossa ormai è compromessa ma almeno si è tempestivamente intervenuti per evitare il più grosso errore nella storia della società capitolina.
Non a caso, a salvare Francesco Totti dal possibile, tremendo, addio alla sua Roma, ci pensò un trofeo intitolato alla Città Eterna; quella città a cui ‘Checco’ avrebbe poi regalato altri venti anni di magie e che ha fatto diventare ‘Er Pupone’ un re.