Si è appena conclusa la 69°edizione del Torneo di Viareggio (Coppa Carnevale) con la vittoria del Sassuolo che, ai calci di rigore, ha battuto l’Empoli per 6 – 4. Il Torneo che ha sempre rappresentato per gli Under 19 del nostro Paese una vetrina di primissimo piano, da qualche anno sta modificando la sua natura e soprattutto la sua storia.
40 i club presenti di cui: 23 italiani e 17 stranieri. Una vera kermesse veloce, mordi e fuggi, per vedere se qualche talento poteva rientrare nel taccuini di qualche operatore di mercato.
Tante volte parliamo delle difficoltà delle nostra nazionali ad affermarsi in competizioni internazionali e critichiamo, forse in maniera esagerata, il difficile lavoro dei selezionatori.
Il CT Ventura quando assiste a gare del campionato italiano di serie A in campo ci sono 2/3 giocatori italiani selezionabili.
Spesso poi gli italiani presenti in campo, sono quasi sempre concentrati negli stessi ruoli e il lavoro del povero Ventura, si fa veramente complicato.
La strada scelta di creare una nazionale “giovane” è affascinante e coraggiosa ma, onestamente, non ne poteva percorrere di diverse. Quante volte ascoltando le formazione dei giocatori in campo ci chiediamo:“Ma questo con chi gioca? Non l’ho mai sentito”. Qualche anno fa non lo avremmo mai pensato. Quindi sempre meno italiani in campo nelle società professionistiche, cosa fare? Non siamo qui per attaccare lo straniero che lavora in Italia, ma porci il quesito su perché il calciatore italiano non trova più spazio non solo nelle squadre professionistiche, ma anche nelle squadre di settore giovanile delle società professionistiche. Le responsabilità non sono certo dei club, loro devono produrre spettacolo, fare risultati e incrementare l’utile, poi se questo avviene con il calciatore di Trapani, con quello africano o sud americano …non è rilevante.
Quello che conta è vincere, guadagnare, attirare sponsor, sviluppare il merchandising in tulle le forme possibili. E i nostri giovani? Cosa possiamo fare perché Juventus, Atalanta, Inter e Milan non presentino più 44 giovani calciatori stranieri al Torneo di Viareggio? Quello che deve sicuramente cambiare è il sistema di selezione del talento. Non basta più il vecchio osservatore che gira per campi alla ricerca del talento avendo come parametro di selezione la propria sensibilità ed esperienza, il cosiddetto “occhio”.
Non serve quel procuratore, poco professionale, che in cambio di “poco denaro” propone giocatori senza futuribilità professionistica. Serve l’applicazione dei nuovi criteri di selezione basati, anche sull’esperienza dell’osservatore del club, ma supportati dalla scienza e dalla tecnica. Oggi, solo per fare un esempio, nel sangue, nelle urine, nel sudore nella saliva, ci sono tantissime informazioni che possono dire molto sulle caratteristiche del talento preso in considerazione, elementi che fino a qualche anno fa non erano conosciuti.
Ma c’è un altro aspetto che il calcio nostrano dovrebbe prendere seriamente in considerazione. Le grandi prestazioni sono più il frutto di allenamento che di doti innate.
Nessun grande interprete arriverà mai a grandi risultati se non lavora in maniera scientifica per 10 anni ma soprattutto per 10.000 ore. In alcuni paesi europei questi tetti consigliati sono raggiunti e spesso superati e i risultati si vedono individualmente e con le rispettive squadre nazionali.
Che il calcio italiano si ponga questo quesito.
Un giocatore italiano dalla Scuola Calcio alla Primavera impiega circa 10 anni. Ma le ore dedicate all’allenamento/gara non arrivano neanche alla metà di quelle necessarie a formare un talento.
La risposta al quesito sulla esagerata presenza di troppi “giovani” stranieri è nel poco tempo che in Italia si dedica alla “individuazione” e “gestione del talento”. Se a questo poi si somma la qualità, a volte non di primissimo piano, che spesso si trova in alcuni club dove, per esempio, l’allenatore dell’under 13 propone lavori sulla “forza” o esaspera il senso “tattico” del gruppo squadra, il risultato è quello che abbiamo oggi.
Il segreto è nelle parole che i nostri professori ci dicevano a scuola: per superare gli esami devi studiare di più e con metodo. Il segreto del futuro del nostro calcio è sulla stessa linea: lavorare di più, con tecnici sempre più preparati e aggiornati supportati dalla tecnologia e dalla scienza.
Oggi il nostro format formativo ha bisogno di essere seriamente rivisto se si ha veramente a cuore il futuro del giovane talento italiano e della “maglia azzurra”. Le nostre nazionali non vincono una competizione internazionale dal 2006, calcio di rigore di Grosso, Coppa del Mondo. Nel ranking Fifa siamo al 15° posto. Non possiamo che migliorare. Coraggio.
Finché le società dilettantistiche sono costrette a pagare le società professionistiche per essere affiliate, non si può pensare che il calcio italiano possa guarire!