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Tifiamo solo la Maglia: ecco perché ritirare i numeri è un errore, con un’eccezione

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“Qualsiasi giovane deve sognare di vestire un giorno la mia maglia”. L’ha detto Francesco Totti qualche giorno dopo aver dato l’addio al calcio, e non avrebbe potuto scegliere meglio. Ritirare i numeri di maglia appartenuti ai giocatori più rappresentativi di una squadra è un errore, ma molti sembrano non averlo capito. Il modo migliore per celebrare una storia, infatti, è farne un esempio. Uno spunto, per scriverne tante altre. Quasi fosse il capitolo centrale di un libro che non finirà mai. Il numero 10 della Roma sarà sempre Francesco Totti, a prescindere da chi la indosserà in futuro. Ma questo non vuol dire che debba essere l’unico a farlo. Roma, d’altronde, non è morta con la fine di Romolo. E l’epopea di Totti avrebbe avuto un altro numero identificativo se si fosse deciso di ricordare la tragica dipartita di Di Bartolomei con il ritiro del suo 10.

 Una maglia pesante è uno stimolo per dare il meglio in sé e incarnare un simbolo. Lo sta dimostrando a suon di magie Paulo Dybala, degnissimo successore alla Juventus con la 10 di Sivori, Platini e Del Piero, dopo aver seguito le orme di Zidane e Pirlo con la 21. Lo conferma con un romanzo a parte la storia infinita della 7 del Manchester United, vacante nella stagione in scorso dopo aver accompagnato le gesta dei vari Best, Robson, Cantona, Beckham e Cristiano Ronaldo. Se poi rappresenta un fardello, come ci dicono le esperienze non altrettanto brillanti di Owen e Depay, non sorprendiamoci: c’è chi ha perso un Grande Giro ciclistico a pochi metri dal traguardo, schiacciato dall’insostenibile pesantezza del Rosa o il Giallo. E chi ha trionfato contro ogni aspettativa, per il motivo opposto.

 Il fenomeno dei numeri ritirati, inoltre, subisce le conseguenze di un certo abuso. Se è vero che possa essere difficile far meglio di Giacinto Facchetti, Franco Baresi, Gigi Riva, Javier Zanetti o Paolo Maldini (anche se la sua tre è a disposizione dei figli), non si può dire altrettanto di tanti altri calciatori, celebrati con una buona dose di sopravvalutazione. A prescindere dalla grandezza di un calciatore, privare intere generazioni di un sogno va contro l’essenza più romantica di uno sport che troppo spesso non sa più riconoscersi. Pensate al napoletanissimo Insigne, al quale viene negata l’occasione unica e irripetibile di indossare la 10 che un tempo fu di Maradona, costringendo a ripiegare su un freddo 24. Oppure alla lunghissima schiera di talenti olandesi che non hanno mai avuto la speranza di vivere le emozioni che solo la 14 dell’Ajax appartenuta a Johan Cruijff saprebbe dare. Potremmo fare svariati esempi, e arrivare sempre alla stessa conclusione. Seppure, come in tutti i casi, esista un’eccezione.

 86 club provenienti da ogni parte del mondo, infatti, hanno deciso di riservare una maglia ai propri sostenitori (solitamente il 12), impedendo ai giocatori di indossarla. In Italia l’hanno fatto, tra le altre, Lazio, Torino, Genoa e Atalanta, all’estero Bayern Monaco, Zenit San Pietroburgo, PSV Eindhoven e Fenerbahce. Una scelta di cuore, un riconoscimento sincero al dodicesimo uomo in campo: un elemento insostituibile e ineguagliabile, tra i principali artefici del successo di un club che vive un’unica storia fatta di mille storie. Come quella di un numero, finché non viene ritirato. E di uno sport, il calcio, che rappresenta prima di tutto il sogno di milioni di bambini che un giorno saranno grandi. Chissà se lo capiremo mai.

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