Thomas Tuchel, insperato calcistico stomp
Tutto è, ed è stato soprattutto, fuorché uno venuto dal nulla. È la definizione meno rispondente al vero che si possa dare di lui. La realtà di una biografia che ha tutto di sostanziale e nulla di apparente, ci dice che Thomas Tuchel è venuto da un sacco di posti diversi. Aprendo, chiudendo e riaprendo cassetti pieni di sogni, accantonati ma mai dismessi del tutto.
Perché capita che i sogni, nella vita, debbano essere ridisegnati, a volte; anche in questo caso troviamo banale la storia della porta e del portone: diciamo che se un centrocampista promettente alla soglia dei venticinque anni deve arrendersi a una lesione cartilaginea, il primo istinto comprensibilmente sarà quello di cercare porte senza reti, con maniglie e senza pali, per non volerne sapere più nulla di tacchetti e calzoncini.
Thomas Tuchel, bavarese di Krumbach, in effetti giunto a quel bivio che s’era trovato davanti senza preavviso, ha scelto di percorrere entrambi i sentieri, anche se all’inizio non poteva saperlo.
Un futuro pensato nel calcio, dunque, anche per l’ascendente paterno, da ridisegnare senza calcio. E un’intelligenza predisposta ai criteri analitici che viene orientata verso studi di economia aziendale; il tutto mentre si osserva scorrere il mondo da dietro il bancone di una birreria. Magari ogni tanto prendendo per le orecchie qualcuno che ha alzato troppo il gomito come se fosse la Champions League. Magari.
C’è una costante, nella storia dei predestinati, anzi due: la prima sta nel fatto che la porta che avevi chiuso, con il dolore assoluto di ogni rinuncia forzata, qualcuno la riapre per te. La seconda è il velocizzarsi progressivo del nastro degli avvenimenti, come nelle comiche; con la differenza che alle risate si sostituisce il sorriso del lieto fine. A volte un sorriso timido, abbozzato; sghembo sulla faccia di uno che per l’aspetto e ancor più per l’atteggiamento potrebbe essere il funzionario di banca che sarebbe diventato per i suoi studi; un insegnante di scienze motorie, un barista quale gli era già capitato di essere.
Perché una volta tornato al calcio, compreso un tentativo infruttuoso di rimettere gli scarpini, la scalata ha avuto la naturalezza propria di ciò che è inarrestabile: dai bambini prima e dai ragazzi dello Stoccarda, passando per le giovanili dell’Augusta, quindi il salto significativo al Mainz, partendo anche lì dai giovani per poi consegnare al club il nono posto in Bundesliga, miglior piazzamento in assoluto conseguito a Magonza, nel 2010, perfezionato poi dalla quinta posizione con relativa Europa League l’anno seguente. Il resto è arcinoto, compresa la scelta dell’anno sabbatico prima dell’approdo al Borussia Dortmund, anzi: a cominciare da quella.
Episodio che dice tanto sull’uomo e spiega l’allenatore, che è in primis uno studioso di calcio, che di studiare non smette mai. Il resto è storia nota, compresi gli errori fatti nei suoi confronti e i risarcimenti arrivati dal campo, tra una Parigi ingrata e una Londra sempre più fidelizzata. Potremmo, per scendere su un terreno analitico, definirlo un riflessivo e metodico “scienziato” vestito da professore. Uno che conosce le figure geometriche che dominano il gioco, ma che rispetta gli esperimenti tattico-tecnici destrutturando in maniera fluida i cosiddetti sottosistemi che caratterizzano le partite. È un tedesco votato allo gegenpressing – l’immediata pressione sul portatore di palla avversario non appena si è perso il pallone – ma al tempo stesso uno con l’occhio rivolto alla fluidità della manovra tanto cara a Pep Guardiola. E, a incorniciare tutti questi concetti, il modo di porsi con la naturalezza dell’antipersonaggio, il che paradossalmente ne fa un personaggio, in un coro di star e di colleghi dediti al culto dell’immagine.
Per questo, quando lo abbiamo visto ricevere il premio UEFA “Men’s coach” collegato in video con la tuta del Chelsea, sempre con l’espressione di uno capitato lì per caso, con la sua immagine accanto alle espressioni solenni di Mancini e Guardiola, non abbiamo potuto fare a meno di canticchiare le parole di Lucio Dalla in “Disperato erotico stomp”: – …ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale… -.