Peter Sagan torna con merito a battere un colpo sulle prestigiose strade del Tour de France. Il fuoriclasse slovacco, campione del mondo di ciclismo in carica, ha conquistato ieri la vittoria nella seconda tappa della Grande Boucle, conclusasi nella città normanna di Cherbourg dopo aver attraversato le zone caratterizzate dal suggestivo scenario del bocage, che furono teatro delle operazioni militari negli storici giorni seguiti al D-Day. La maglia iridata di Sagan spicca nel policromatico assortimento del gruppo lanciato in volata e si colora di giallo, un giallo più acceso e prestigioso della fluorescente tinta della divisa caratterizzante la sua Tinkoff e del quale si sveste Mark Cavendish, stoico nella sua resistenza sino al proibitivo strappo finale che ha visto il velocista britannico segnare definitivamente il passo e alzare bandiera bianca.
Il prestigioso passaggio di consegne ai vertici della classifica del Tour avviene al termine di un’azione dirompente con la quale Sagan, pilotato dal compagno di squadra Roman Kreuziger, si è avventato verso il traguardo spinto non solo da una condizione straordinariamente limpida ma anche, e forse soprattutto, da un’indomita volontà di riscatto. Nonostante le quattro affermazioni consecutive di Sagan nella classifica a punti del Tour de France, lo slovacco non riusciva a centrare un successo di tappa nella corsa a tappe regina dal 2013, quando si impose sul traguardo di Albi. A partire da allora, il suo score al Tour aveva fatto registrare ben 15 classificazioni sul podio su percorsi differenti, da pianeggianti tappe concluse in volate di gruppo a più dure frazioni con finale simile a quello delle classiche del Nord, senza che Sagan riuscisse a sconfiggere il sortilegio del piazzamento. L’eterno ritorno degli eguali, ovverosia del secondo e del terzo posto, aveva intrappolato un campione che nelle ultime stagioni ha furoreggiato continuamente, entusiasmando spettatori e addetti ai lavori con il formidabile mix costituito da una classe cristallina, una personalità travolgente e un’imprevedibilità ammirevole. Se fosse un calciatore, Peter Sagan sarebbe Juan Roman Riquelme: estro, fantasia e presenza attiva da un lato, cali di lucidità ed episodi di scarsa concretezza dall’altro, senza in ogni caso essere mai banali e scontati.
Lo sprint di Cherbourg ha visto Sagan conquistare la quinta vittoria al Tour e l’ottantacinquesimo successo generale di una carriera che, per quanto giovane, è già sfavillante e nella quale spiccano i due gioielli del titolo mondiale conquistato a Richmond nel 2015 e il Giro delle Fiandre concluso trionfalmente dallo slovacco nello scorso mese di aprile. Al suo fianco, sul podio di Cherbourg si sono classificati il talentuoso francese Julian Alaphilippe e l’intramontabile spagnolo Alejandro Valverde, regolati di potenza al termine di uno sprint che ha visto i corridori del gruppo riassorbire a poche centinaia di metri dal traguardo il più tenace dei fuggitivi di giornata, Jasper Stuyven.
Ha avuto un retrogusto romantico, l’azione con cui Stuyven ha dapprima condotto con sé un gruppetto di quattro fuggitivi scattati assieme a lui all’inizio della tappa, senza chiedere che sporadici cambi e rallentando esclusivamente per ricevere rifornimenti, e in seguito portato avanti con caparbietà un’azione solitaria, insidiato dalla rimonta del gruppo, trainato dalle squadre maggiormente attrezzate in una rincorsa che, senza pietà alcuna per il più stoico degli attaccanti, ha visto il riassorbimento di un gap di oltre tre minuti nel giro degli ultimi venti chilometri. Stuyven ha dovuto soccombere dopo che la sfida centrale della corsa era divenuta la contrapposizione diretta tra il singolo e il gruppo, tra la razionalità meccanica dei cambi organizzati e dei treni costruiti dalle squadre e la volontà di un singolo che procedeva fidandosi delle sensazioni al fine di premiare il colpo del proprio istinto. Stuyven ha perseguito il suo sogno pedalando a testa bassa, e la crudele beffa della fine di qualsiasi ambizione di gloria consumatasi in vista del traguardo è giunta improvvisa ed immeritata. Il lato umano del ciclismo si ravvisa in momenti come questi, quando sono proprio i limiti imposti dalla fisiologia, dalla stanchezza dell’atleta e dal peso della fuga sulle gambe a bloccare un corridore lanciato verso il successo. A Cherbourg sul coraggio ha prevalso il tempismo, e a consolazione di Stuyven vi è il fatto che a negargli il successo è stato un altro coraggioso corridore fuori dagli schemi, quel Peter Sagan a cui il successo non ha mai levato i connotati di rivoluzionario delle due ruote e istrionico protagonista del gruppo che da sempre lo contraddistinguono. Negli albi d’oro apparirà Sagan, mentre Stuyven vedrà il ricordo dell’azione odierna sbiadire mano a mano che le cronache degli arrivi diverranno almanacchi e tabelle; queste righe scritte in ammirazione della sua azione valgono da suggello al ricordo di tante gesta simili, tante imprese sfiorate, vittorie evaporate sul più bello e onesti pedalatori arrivati a un soffio dal conquistarsi un giorno di gloria. La lunga epopea del ciclismo rivive ogni volta che un’azione del genere si manifesta, e si esalta nei casi in cui la cavalcata del fuggitivo si conclude a braccia alzate, speranza che anima la categoria nobile degli attaccanti, tenaci cacciatori all’inseguimento del proprio, personale, angolo di gloria.