Sono ormai passate diverse settimane da quando 17 persone sono rimaste uccise durante una fuga precipitosa nel corso di una partita di campionato nella città di Uige, a nord ovest dell’Angola. Uno dei tanti (purtroppo) casi di stragi all’interno degli stadi di tutto il mondo.
In cosa, tuttavia, il dramma di Uige è differente? E’ presto detto: nella copertura da parte dei media (soprattutto occidentali).
Quando la notizia è giunta nelle varie redazioni dei giornali di tutto il mondo, ci si è affrettati a lanciare la news del fatto nelle case di milioni di persone (appassionati di calcio o meno); col passare dei giorni, tuttavia, qualcosa è cambiato e, a differenza di vari casi degli anni scorsi passati alla storia e rimasti ben più impressi nelle menti della gente, intorno alla strage in Angola è calato un silenzio assordante.
In merito al triste evento, il presidente dell’Angola, José Eduardo dos Santos, ha ordinato l’apertura di un’inchiesta, nel periodo immediatamente successivo all’incidente, al fine di stabilire la causa che ha portato al caos nell’impianto di Uige e alla successiva morte di 17 persone; finora, però, ancora non c’è chiarezza sulla vera ragione per cui sono state perse tante vite.
Resta da vedere, dunque, se tale indagine riuscirà davvero ad avvicinarsi alla causa dell’immane tragedia e, forse elemento ancor più importante, a stabilire come poter evitare un tale disastro in futuro.
Purtroppo, in particolare nel calcio africano, incidenti e morti dovuti alla calca che si crea negli eventi all’interno degli stadi locali, non sono assolutamente una novità. Questo, probabilmente, può essere considerato l’unico motivo per il quale i media di tutto il mondo hanno deciso di lasciar passare senza troppo interesse il caso di Uige.
Tutto ciò, ovviamente, non vuole in alcun modo giustificare quanto accaduto.
Il peggior disastro mai verificatosi in Africa all’interno di un impianto ospitante una partita di calcio risale al 2001; 127 persone rimasero schiacciate presso lo Sport Stadio di Accra (Ghana) durante una partita tra Hearts of Oak e Asante Kotoko, mentre altri 19 uomini morirono alcuni anni dopo allo Stade Felix Houphouet-Boigny di Abidjan (Costa d’Avorio) in un incontro degli ivoriani valevole per la qualificazione alla Coppa del mondo del 2010 contro il Malawi.
16 anni fa, invece, in Sud Africa, 43 persone persero la vita all’Ellis Park Stadium durante il derby tra Orlando Pirates e Kaizer Chiefs. Il motivo? In uno stadio già stracolmo e contenente 60.000 persone si tentò di far entrare un numero di tifosi ancora maggiore.
Il disastro avvenne un decennio dopo la tragedia dell’Oppenheimer, sempre in Sud Africa, dove 42 persone persero la vita durante lo stesso incontro (molto sentito da quelle parti).
Quest’ultimo dramma si verificò appena due anni dopo l’ormai (tristemente) celeberrimo disastro di Hillsborough, dove 96 tifosi del Liverpool morirono prima di una partita di FA Cup contro il Nottingham Forest a Sheffield.
Tuttavia, mentre casi come Hillsborough oppure l’Heysel, in Europa hanno portato a diverse modifiche nella progettazione degli stadi, nella gestione degli eventi da parte della polizia e nell’ambito del controllo della folla in uno stadio, l’Africa non mostra segnali incoraggianti in tal senso e rischia di non riuscire mai ad imparare dai propri errori grossolani.
Nessuno è stato ritenuto responsabile per i disastri africani prima elencati e mentre la prospettiva di un altro ‘caso-Hillsborough’ in Europa occidentale è impensabile, appare (facendo i debiti scongiuri) solo una questione di tempo prima che l’Africa si ritrovi di nuovo in lutto per le morti di alcuni tifosi.
Il giorno dopo il disastro di Uige, il presidente della Caf (federazione calcistica africana), Issa Hayatou, si è limitato a rilasciare una dichiarazione sul sito web dell’organizzazione, esprimendo la sua ‘tristezza’ dopo la tragedia.
“La CAF si augura che la federazione di calcio dell’Angola indagherà a fondo la questione e prenderà tutte le misure necessarie per tutelare gli appassionati di calcio in modo da garantire che tale incidente non accada più in futuro. La CAF si ritiene pronta a ricevere qualunque relazione in materia.”
“Di certo, restiamo a disposizione dell’Angola per fornire il massimo sostegno in questi momenti difficili”.
Parole di circostanza.
Scendendo nel particolare, invece, come agiscono le federazioni in Africa per garantire che tali disastri diventino una rarità? Ma soprattutto, agiscono?
Perché tanto la Caf quanto la Fifa non riescono a fare di più per aiutare gli organi di governo nazionali a migliorare le condizioni degli stadi e informare le autorità locali su come gestire grandi eventi?
Sono proprio queste le domande a cui non si trova (o non si vuole trovare?) risposta.
Infine, la questione delle risorse economiche. La Caf riceve attualmente circa 35 milioni di euro all’anno grazie al recente accordo di sponsorizzazione stipulato con Total, Orange e Gruppo Lagardère.
Il premio in denaro stanziato per i vincitori della Coppa d’Africa è stato di circa 6 milioni di euro, il denaro da poter utilizzare per migliorare la situazione negli stadi, parallelamente alla gestione di partite ritenute ‘a rischio’, dunque, non mancherebbe proprio.
Cosa si sta aspettando ad agire?