Strage di Hillsborough, 34 anni dopo: le verità scomode di una tragedia evitabile
Il 15 Aprile 1989 allo stadio Hillsborough di Sheffield, avvenne una delle più grandi tragedie della storia del calcio, nella quale morirono 96 persone schiacciate dalla folla. Una vicenda controversa, che per molti anni vide come colpevoli i tifosi del Liverpool, ma che una successiva indagine scagionò, indicando finalmente le vere responsabilità di una strage evitabile.
Il 15 aprile 1989 si consumava quella che è, ad oggi, la più grande tragedia della storia del calcio inglese. All’Hillsborough Stadium della città di Sheffield, poco prima della semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest, persero la vita ben 96 persone e 766 rimasero ferite.
Le vittime della tragedia vennero schiacciate da una folla di gente che cercava di entrare nel settore a loro dedicato: la tribuna occidentale (la West Stand, anche denominata Leppings Lane dall’odonimo della via retrostante).
In un primo tempo, si scaricò la colpa sui temibili hooligans del Liverpool che solamente qualche anno prima, a Bruxelles per la finale di Champions League del 29 maggio 1985, si erano resi protagonisti di quella conosciuta come “strage dell’Heysel”. Poche ore dopo la strage però, grazie ad una inchiesta fatta partire per volere della Camera dei Lord britannica, sorse più di un dubbio su questa conclusione affrettata.
Nel rapporto conclusivo che che ne seguì vennero infatti evidenziate gravi incongruenze nell’organizzazione dell’evento e nel comportamento delle forze dell’ordine che avevano mostrato troppa leggerezza nel gestire la situazione.
Si è dovuto attendere però il settembre 2012 per arrivare alle scuse “ufficiali”. Proprio allora, infatti, il premier inglese di allora: David Cameron, ha ufficialmente riconosciuto le colpe della polizia della contea inglese del South Yorkshire, dove si trova la cittadina di Sheffield, ed ha scagionato definitivamente la tifoseria dei Reds.
Tale strage, secondo alcuni, venne pilotata dai piani alti della politica britannica del tempo. L’allora inquilina di Downing Street, la conservatrice Margareth Thatcher, famosa per la sua lotta repressiva verso il mondo degli hooligans, cercò infatti di di strumentalizzare l’accaduto, grazie soprattutto al supporto del quotidiano inglese “The Sun”, per orientare favorevolmente l’opinione pubblica britannica verso tale stretta repressiva.
A seguito di questi nuovi fatti, nel dicembre 2012, il presidente dell’Alta Corte di Giustizia d’Inghilterra e Galles ha annullato il verdetto della precedente inchiesta del 1989, che non aveva aiutato a far piena luce sull’accaduto, grazie alle testimonianze di circa 800 testimoni. La nuova indagine sulla strage che si è chiusa nel 2016, a 27 anni dall’accaduto, con una sentenza emessa dalla giuria di Warrington, cittadina tra Manchester e Liverpool, che metteva in luce di nuovo l’atteggiamento poco professionale dei “coppies”.
La strage di Hillsborough, oltre a rappresentare la più importante tragedia della storia del calcio inglese, ha avuto anche altri strascichi negli stadi del regno di Sua Maestà. Tra questi possiamo citare il cosiddetto “Rapporto Taylor”: un documento, pubblicato nel gennaio 1990, redatto da una commissione presieduta dal giudice Lord Peter Taylor di Gosforth su mandato del governo britannico allo scopo di fare luce sulle cause e le conseguenze di ciò che avvenne nell’impianto di Sheffield.
Tra le varie cose che tale rapporto vietava, negli impianti calcistici inglesi dalla stagione 1994/1995, vi erano le cosiddette terraces: i settori coi posti in piedi. Questo divieto è durato fino alla stagione 2016/2017 quando la squadra di calcio di Glasgow del Celtic, come scritto da noi della redazione di “Gioco Pulito”, ha realizzato una safe-standing area nel Lisbon Lions Stand dello Celtic Park. Purtroppo quella di Hillsborough non è stato il solo caso di una tragedia calcistica in cui i “poteri forti” hanno cercato di deviare le indagini fatte partire per tentare di arrivare ad una verità limpida. In molti casi si sono volute insabbiare le indagini per non mostrare che, nonostante le belle parole spese, si era fatto davvero poco per quel che riguardava gli aspetti legati alla manutenzione e alla messa in sicurezza degli impianti.
Un esempio può essere quello che accadde il 20 ottobre 1982 presso lo Stadio Centrale Lenin di Mosca, oggi stadio Luzhniki, durante i sedicesimi di andata di Coppa Uefa tra i padroni di casa dello Spartak Mosca e gli olandesi dell’HFC Haarlem. Nonostante si era ancora a metà ottobre la temperatura della capitale russa, quel giorno, sfiorava i 20 gradi sotto zero.
A causa del ghiaccio formatosi all’interno del’impianto, alcuni settori dello stadio non erano agibili e tutti gli spettatori furono disposti nella Tribuna Est, che era stata sistemata all’ultimo in maniera abbastanza fortunosa.
A pochi munti dal fischio finale molti tifosi stavano lasciando l’impianto per questioni logistiche.
Essi vennero “richiamati” nell’impianto dall’esultanza di chi era rimasto sulle tribune dopo il gol, del definitivo 2 a 0, siglato all’85 il difensore Sergei Shvetsov.
La folla rientrante, però, fu fermata dalla polizia sulle scale di accesso, e ciò si rivelò fatale. Le stesse scale, infatti, non progettate per sostenere un peso simile, cedettero di schianto.
Alla fine il bilancio ufficiale fu di 66 morti e 61 feriti. Secondo alcune fonti, però, le vittime arrivarono addirittura a 300.
Anche in questo caso venne subito alla luce la totale mancanza di esperienza della polizia moscovita. Le forze dell’ordine, infatti, non solo si rivelarono del tutto impreparate per un intervento tempestivo ma provocarono anche problemi nell’uscita degli altri spettatori ancora sugli spalti, che rimasero a lungo intrappolati nello stadio.
Nelle ore seguenti si cercò di insabbiare la vicenda e si disse, tramite le prime pagine dei quotidiani locali, che gli incidenti avvenuti “avevano comportato lesioni a qualche tifoso” e basta. I rapporti ufficiali sulla vicenda dei giorni seguenti non furono per nulla chiari e cercarono di omettere la reale gravità dell’incidente.
Come capro espiatorio venne chiamato in causa un tale Panchickin, il custode dello stadio. Egli fu ritenuto responsabile delle precarie condizioni dell’impianto e venne condannato a 18 mesi di lavori forzati.
Perchè si optò per tutto ciò? Per soli interessi politici e di immagine. Il presidente uscente Breznev, infatti, voleva che l’Unione Sovietica desse ancora un’immagine di sé forte e invincibile, lontano da qualsiasi debolezza.
Uno scandalo come quello dello stadio Lenin poteva essere un vero e proprio bastone tra le ruote in questo senso. Per questo motivo, fu fatta partire un’autentica campagna di disinformazione.
Solo anni dopo, il nuovo segretario del PCUS Jurii Andropov ordinò una nuova inchiesta sul disastro avvenuto e vennero riportati alla luce molti dettagli e aspetti della vicenda che erano stati celati. Nonostante queste nuove rivelazioni, il tentativo di insabbiamento continuò ancora per anni. La storia del Luzhinki resta tuttora una ferita aperta nella storia del calcio russo. Lo stesso difensore Shvetsov, pur non essendo minimamente implicato con quanto accaduto, si volle scusare pubblicamente affermando: “Non avrei mai voluto segnare quel gol”.
La parte su la tragedia di Luzhniki è inesatta: nell’ 82 Brezhnev era morto. Si deve a Gorbatciov e alla Perestrojka la ricerca della verità, che è comunque lungi dall’essere trovata.