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Yarouba Cissako: il calcio non è la sua religione

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Dalle strade sotto casa, ai campetti di periferia, il sogno di molti giovani appassionati di calcio è quello, un giorno, di poter calpestare l’erba verde dei campionati che contano e, chissà, raggiungere i palcoscenici internazionali delle competizioni mondiali per vivere la vita del campione tra notorietà e denaro.

Non è il caso di Yarouba Cissako, classe 1995, originario del Mali, naturalizzato francese, in forza nel massimo campionato di calcio transalpino, la Ligue 1, con la squadra del Principato di Monaco, l’AS Monaco.

Il giovane terzino destro, già nel giro della nazionale francese Under 19 aveva interessato molte squadre europee grazie alle sue qualità di spinta e di cross. Considerato uno dei giocatori più promettenti di Francia, ha lasciato tutti a bocca aperta quando ha espresso il desiderio di diventare un Imam, la guida spirituale per i devoti della religione islamica.

Per questo, di ritorno dal prestito in Belgio con la squadra dello Zulte – Waregem, aveva chiesto, agli alti vertici monegaschi, il trasferimento verso una squadra dove l’Islam fosse parte della cultura del Paese di appartenenza, rifiutando il rinnovo con il ricco club europeo. Favorendo il desiderio del calciatore, il Monaco aveva intavolato una trattativa per la cessione verso il Galatasaray, squadra che milita nel campionato turco con l’obiettivo di non perderlo a costo zero. L’accordo alla fine non c’è stato e Cissako, attualmente, è ancora un giocatore della rosa biancorossa ma, nei fatti, ai margini del progetto calcistico.

Ad oggi, si sta cercando una risoluzione del problema, provando ad indirizzare il giocatore verso squadre dei territori del Golfo, così da accontentarlo e facilitando la sua volontà di dedicare la sua vita interamente alla religione islamica.

Nel frattempo, la rottura tra Cissako e il club è netta, tanto che il giovane terzino non partecipa agli allenamenti della prima squadra, così come delle riserve. Il caso più spinoso riguarda il rapporto tra il giocatore e lo staff medico. Yarouba ha, infatti, rifiutato più volte le cure da parte della kinesiterapeuta Sophia Nigi, ritenendo inaccettabile per un uomo religioso come lui essere sottoposto a trattamenti fisici da una donna in tenuta da calcio.

Bruno Istres, allenatore delle giovanili del Monaco, ricorda che la devozione alla religione di Cissako era emersa già ai tempi in cui il giocatore era adolescente. E’ lo stesso coach ad evidenziare come, in quel periodo, il maliano avesse mostrato comportamenti di insofferenza al mondo del calcio dovuti all’osservanza delle ferree leggi islamiche, addossando in parte la responsabilità al suo entourage che avrebbe, a suo dire, influenzato le sue scelte, essendo il ragazzo ancora quindicenne.

Ma il caso di Yarouba Cissako non è un’eccezione nel dorato mondo del calcio.

Infatti, molto prima di lui, altri professionisti hanno volontariamente abbandonato il rettangolo verde, per percorrere un percorso spirituale e una carriera religiosa. Tra i più famosi ricordiamo il nigeriano Taribo West, difensore dell’Inter, ritiratosi dal calcio, ai tempi del Kaiserlautern in Germania, e autoproclamatosi pastore pentecostale, fondando una sua chiesa, la “Shelter in the Storm”. Altro caso clamoroso, fu quello del portiere del Maiorca e della nazionale argentina Carlos Roa, il quale, per potersi dedicare interamente alla vita religiosa, in quanto membro della “Chiesa avventista del settimo giorno”, aveva preso un anno di stop dal calcio giocato per poter rispettare i dettami della sua nuova fede che imponeva il riposo del sabato.

Che dire? C’è chi prega per diventare un campione di calcio e chi, invece, prega per non esserlo.

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