Storia di un abbraccio e di una fine
Ci sono momenti che solo lo sport ti può dare. Fermi immagine che ti restano nella mente per sempre. Uno di questi mi fa ritornare indietro di oltre vent’anni. Stagione 1994/95 il mio ultimo anno da dirigente sulla panchina di una squadra di basket. Dopo la grande avventura di Gavirate, che ho raccontato qui su IGP qualche tempo fa, finita nel ’93 e una stagione di stop ho ripreso a Cuveglio, un piccolo paese della Valcuvia che da Gavirate dista pochi chilometri, a un livello più basso, Serie C e con ambizioni minori, la salvezza.
Era il 19 novembre 1994, terza giornata di andata, nella piccola palestra di Cuveglio, casa della Valcuvia Basket, è ospite il Cantello, squadra con ambizioni più importanti che rappresenta un paese non molto lontano, sul confine svizzero, famoso per i suoi asparagi. Nel Cantello militano due giocatrici che ben conosco, tra le protagoniste della grande corsa del Gavirate un paio d’anni prima. Federica Gualdoni, centro di quasi un metro e novanta, all’epoca serissima studentessa universitaria e al contempo ragazza solare, sempre allegra, che aveva giocato come cambio delle lunghe quei campionati a Gavirate e Chiara Catella, qualche anno più giovane, non molti, play-guardia grintoso con un gran carattere, ai tempi anima della formazione juniores gaviratese, che si allenava spesso con la prima squadra. Ricordo che la riaccompagnavo spesso a casa dopo gli allenamenti, e le lunghe chiacchierate che facevamo in auto. Sono nel parcheggio della palestra per qualche motivo, un’oretta circa prima dell’inizio ed entra una Y10. Parcheggia. Scende Federica.

Non la vedo dai tempi di Gavirate e non sono sicurissimo su che ricordo abbia di me. Io non ho lasciato bene quella cittadina, ma me ne sono andato in furiosa lite con l’allenatore e discussioni con gli altri dirigenti a fine dicembre ’92. Lei mi vede, viene verso di me, mi abbraccia, tante partite, tante vittorie, sconfitte, infortuni, momenti difficili e momenti felici abbiamo condiviso in quel gruppo vincente cui mancò però un tiro al supplementare per essere trionfante. Entriamo in palestra e ognuno se ne va dal suo lato per preparare la partita. Il Basket Cantello era molto superiore alla Valcuvia quell’anno, dominò l’incontro e il secondo tempo fu accademia, finì 48-76, non certo una partita da ricordare per il pathos agonistico.
Al suono della sirena finale però successe una cosa che non ho mai dimenticato. I quintetti in campo tornarono verso le panchine, le ragazze di casa un po’ abbattute, le ospiti dandosi cinque. Io mi alzai guardai il nostro allenatore, l’amico Marco Vanoli, con uno scambio di espressioni che volevano dire: “con queste non si poteva fare di più” e feci un paio di passi verso la panchina del Cantello per salutare Chiara e Federica, che avevano avuto la stessa idea. E ci fu un grande lungo abbraccio spontaneo a tre a metà strada, sulla linea di metà campo, tra il dirigente di una squadra e due giocatrici dell’altra, che probabilmente lasciò un po’ straniti tanti che lo notarono in tribuna. Ci univano troppi ricordi e troppe emozioni per aspettare. Fu uno dei momenti più belli che mi hanno regalato finora i miei tanti anni dentro lo sport.
Alla fine di quel campionato il Cantello terminò nelle prime posizioni, non ricordo esattamente in quale, mentre la Valcuvia Basket si salvò all’ultima giornata. Anche qui ci sarebbe una storia da raccontare. Dovevamo giocare in casa alle 20.45 col Mariano Comense. La nostra rivale diretta per la salvezza, il Malnate che però giocava a Legnano, era impegnata alle 18 a sua volta in casa con il Segrate. A quei tempi non si badava tanto alla contemporaneità dei match nelle ultime giornate, anche per via del fatto che, anche a voler spostare una delle due partite, le palestre erano spesso occupate da altre società. Se Malnate avesse perso l’incontro serale a Cuveglio non avrebbe avuto nessuna importanza, in caso contrario si doveva vincere. Io e un altro dirigente valcuviano andammo a Legnano dove le ragazze del Segrate vinsero abbastanza facilmente togliendoci dai problemi, poi tornammo di corsa a Cuveglio in tempo per la nostra partita.ù
Una crudele decisione del presidente della Valcuvia Basket, uomo integerrimo che voleva tutti si impegnassero sempre al massimo, ci impedì di dire alle nostre ragazze che stavano per giocare una gara inutile, e quindi loro entrarono in campo per giocarsi tutto. Fu una partita tirata che andò al supplementare. Perdemmo. Finalmente potei annunciare a tutta la squadra che eravamo andati a vedere la partita del Malnate, che avevano perso, e dunque eravamo salvi. I musi lunghi si trasformarono in urla di gioia, salti e abbracci, col pubblico in balconata che non capiva.
Era il 20 maggio del 1995, fu la mia ultima panchina. Non per mia scelta. Per la stagione successiva la società fece scelte diverse che non mi comprendevano. Era arrivato un nuovo coach che era a Gavirate ai tempi del mio diverbio, non quello con cui avevo litigato, uno dell’entourage, che non mi voleva tra i piedi. Per non cacciarmi del tutto mi avevano proposto di andarmene in giro da solo per il nord Italia a visionare le avversarie e poi relazionare. Ricordo che mandai lui e il presidente al diavolo, allora ero giovane e fumino, girai le spalle e me ne andai per sempre. Da Cuveglio e dalla pallacanestro.