Stephen Hendry: splendore e declino di un campione inarrivabile (quarta e ultima parte)
E’ stato tale il dominio di Hendry nei suoi anni migliori, dal 1989 al ’96, da far pensare a chi non segue da vicino le vicende dello snooker che sia potuto dipendere, in qualche modo, anche da una certa mancanza di concorrenza da parte dei rivali. Suona strano, però, visto e considerato che si veniva dal decennio d’oro della specialità, i favolosi anni ottanta, e, in effetti, avversari di grande valore ce n’erano, eccome. Per di più tutta gente ancora nel fiore degli anni come i vari Davis, White e Parrott, ben supportati dagli emergenti Ebdon, Doherty, Wattana, Lee e Mc Manus. Poi, naturalmente, i “ Tre Gemelli ” che già al passaggio tra i professionisti, da adolescenti, erano in grado di impensierire i più forti. Lo sa bene Hendry che contro un Ronnie non ancora 18enne, finì col subire un bello scacco al UK 93, perdendo netto la finale col punteggio di 10-6. Uno scivolone, se possiamo definirlo così, che però non ha influito per niente sull’inarrestabile progressione del “Golden Bairn” che, nel suo momento d’oro, è stato capace di vincere qualcosa come 6 titoli Mondiali da altrettante finali, oltre a 6 London Masters da 7 finali e, giusto per completare la panoramica dei tornei Triple Crown, anche 5 UK da 7 finali. Si tratta, complessivamente, di 17 titoli da 20 finali, per un 85% di riuscita che ha davvero dell’incredibile. Non meno sorprendente, però, è il fatto che un 27enne Hendry da allora sia riuscito a mettere in bacheca solo un ultimo titolo MAGGIORE, il diciottesimo, con la vittoria al Mondiale 99. Quasi che per diventare il giocatore più vincente al Crucible, staccando Davis e Reardon con i quali era appaiato a quota 6, quel fatidico settimo Mondiale abbia finito con l’appagarlo a livello inconscio, togliendogli ad appena 30 anni le energie nervose per andare ancora a segno nei tornei che lasciano una vera traccia nella storia della specialità. Da allora, infatti, ha disputato 4 finali “ triple crown “ senza mai arrivare al titolo. Alla fine un bilancio che trova conferma nei i cosiddetti tornei FULL RANKING, assimilabili ai MASTER 1000 nel tennis, nei quali a partire dal nuovo millennio ha colto solo 4 titoli (l’ultimo nel 2005) dei 36 vinti complessivamente in carriera.
Da allora ha trascorso ben 7 anni nel limbo, fino al ritiro dalle competizioni nel 2012, a 43 anni. Certamente una grossa tortura per un giocatore che, a più riprese, ha ammesso candidamente che vincere è sempre stata la sua vera motivazione nello SNOOKER. Non passione vera, dunque, come per uno Steve Davis, né un mix indicibile di amore e odio “ rigeneratore ” come per Ronnie, ma solo una sete implacabile di vittoria che, una volta esauritasi la fonte alla quale anche altri hanno imparato a dissetarsi, lo ha lasciato letteralmente a bocca asciutta, privo della linfa vitale che era stato il suo vero propellente verso la gloria imperitura, in carriera.
I record sono fatti per essere battuti e, non a caso, dei tanti primati stabiliti negli anni novanta, vari sono quelli caduti nelle mani di Ronnie che l’ha superato nei TRIPLE CROWN (20-18), nei FULL RANKING (38-36), nelle SERIE PERFETTE (15-11), nei TESTA A TESTA (30-21) e anche nei CENTONI, dove l’inglese è volato abbondantemente oltre quota MILLE. Però sono ancora parecchi i primati che resistono da circa un quarto di secolo e chissà per quanto tempo ancora resteranno nell’albo d’oro della specialità. Non sarà facile superare il traguardo dei 7 Mondiali raggiunto da Hendry nel 1999, ma neppure impattare a quella quota. Potrebbero arrivarci Ronnie, forse Selby chissà, ma francamente appare tutto alquanto improbabile. Poi ci sono altri record praticamente inattaccabili. Personalmente non vedo nessuno in grado di siglare ben 5 vittorie consecutive in tornei TRIPLE CROWN, come ha fatto Hendry dal UK 89 al Masters 91. Stessa cosa per le 2 TRIPLICI CORONE (stagionali) completate mirabilmente dallo scozzese. E’ già stata un’impresa realizzarne UNA SOLA, come hanno saputo fare Davis, per primo, e Williams per ultimo. Che poi, in 30 anni di carriera non ci siano mai riusciti nè O’Sullivan, né Higgins, è già tutto dire. Per non parlare dei 5 tornei FULL RANKING consecutivi e dei 36 INCONTRI vinti di fila dallo scozzese, impresa sempre più difficile da siglare di questi tempi, visto e considerato che il livello medio di gioco si è alzato considerevolmente e nella giornata particolare anche un TOP PLAYER può perdere tranquillamente contro uno dei primi cento del mondo. Non sembra esserci differenza, invece, per le finali alle quali approdano generalmente i migliori, ieri come oggi. Così non può essere considerata una sorpresa, in assoluto, che il pur prestigioso record di 11 finali vinte una dietro l’altra da Hendry negli anni novanta, sia stato eguagliato da Selby nel 2020, anche se poi non superato dal pluricampione del Mondo, inglese, ” scivolato ” malamente allo Shoot Out 2021. Questo senza dimenticare che Trump, pure lui di recente, c’è andato vicino fermandosi a 10, nel 2020. Resta un fatto, comunque, che giocatori di èlite ce ne sono sempre stati nelle varie epoche e tutti in grado di rompere la serie positiva di un Hendry, Davis, O’Sullivan , Selby , o di un Trump in qualsiasi momento. In proposito basti pensare che, secondo Ronnie, il più bel gruppo di giocatori di vertice, in assoluto, lo si è visto nei primi anni duemila, dal 2000 al 2005, e comprendeva assieme ai TRE GEMELLI, un ancor valido Hendry, oltre al compianto Paul Hunter e al rampante Matthew Stevens che, all’epoca, aveva già vinto un Masters e un UK CHAMPIONSHIP, mancando in un paio di occasioni, di poco, la conquista del MONDIALE. A questo punto, giusto per uscire dal piano di RELATIVITA’ in cui è doveroso, comunque, inquadrare ogni singola epoca, sembra opportuno segnalare che il “ Golden Bairn ”, nel 1994, ha compiuto un’impresa che è sembrata un autentico balzo nel futuro, un po’ come aveva fatto Bob Beamon nel salto in lungo, alle olimpiadi di Città del Messico 68, toccando gli 8,90. Una ” barbarità ” quella dell’americano che ha migliorato di colpo il record della specialità di qualcosa come 65 centimetri! L’eccezionalità dell’impresa è stata poi confermata dal fatto che ci sono voluti ben 23 anni per superare quel record, battuto da Powellper soli 5 centimetri, nel 1991. Record che, tra l’altro, resiste a sua volta da qualcosa come 30 anni! Tornando a Hendry, i suoi 7 centoni nella finale del UK 94, vinta 10-5 con Doherty, rappresentano un record altrettanto valido, visto che nessuno è ancora riuscito ad avvicinarlo. In effetti Judd Trump, nel battere Higgins 18-9 nella strepitosa finale del Mondiale 2019, ha realizzato pure lui 7 centoni, ma su distanza quasi doppia rispetto a Hendry e questo fa una bella differenza, come si può ben capire. Sempre in tema di Mondiali, giusto per non smentirsi, lo scozzese detiene ancora, con 16 centoni, il record per una edizione della fase televisiva, al Crucible. Era il 2002 e sembrava che Hendry potesse mettere in bacheca l’ottavo titolo iridato, quando l’irriducibile Ebdon è riuscito a bruciarlo sul filo di lana, per 18-17, in una delle sfide più combattute di sempre nel Teatro dei Sogni. Per Hendry sarebbe stata l’ultima, vera occasione di mettere le mani sul titolo più ambito.
Sviscerato in buona parte l’aspetto statistico della strepitosa carriera di Stephen Hendry, adesso si tratta di cercare di capire come la più grande macchina da guerra vista nello snooker, abbia cominciato a perdere colpi proprio nel momento della massima resa, poco dopo la metà degli anni novanta, quando ormai gli avversari più quotati si sentivano impotenti a contrastarne l’avanzata e solo “ l’incoscienza giovanile ” dei vari O’Sullivan, Higgins e Williams faceva da argine, in qualche modo, allo strapotere del Grande Scozzese. Giocatore completo con una vocazione speciale per l’attacco, all’epoca Hendry sapeva vincere in tutti i modi. Era in grado di dominare un match dall’inizio alla fine, senza mai dare tregua al malcapitato avversario, come era capace di imporsi allo “ sprint “, facendo valere la grande facilità di esecuzione e la proverbiale freddezza nei momenti decisivi. Giocatore di carattere, sapeva soffrire e vincere al recupero pure in condizioni fisiche menomate, come nel 1994 quando è riuscito a imporsi al Mondiale pur restando col braccio sinistro bloccato da una fasciatura rigida, a seguito di una caduta che gli aveva procurato una dolorosa frattura al gomito. Di norma, comunque, Hendry amava vincere di forza sia che si trovasse in vantaggio, sia che dovesse colmare divari impossibili. Dichiaratamente la sua più grande soddisfazione al Mondiale è venuta dall’aver dominato la finale del ’93 con White, vincendo 18-5, con una sessione di anticipo. Altrettanto memorabile, al Masters di Londra 91, il successo in finale con Hallett, rimontando da 8-2 per imporsi 9-8 ! La specialità della casa era il “centone facile” e a tal punto aveva elevato l’efficienza del suo gioco d’attacco da far temere (a detta di Clive Everton, decano dei giornalisti inglesi) che fosse ormai prossima l’introduzione di regole limitative del gioco di serie, come già successo a suo tempo per l’English Billiards, l’altra specialità tradizionale praticata sui tavoli da 12 x 6 piedi. Per fortuna non è stato così e lo snooker ha potuto mantenere inalterate le sue caratteristiche di gioco tanto affascinante quanto difficile, senza dover subire interventi forzati che potessero intaccarne la natura di specialità imprevedibile per eccellenza. Questo “ grazie ” anche a Hendry, che proprio allora ha cominciato a rendersi conto del fatto che aver alzato a dismisura l’asticella, sarebbe diventato presto un problema insormontabile anche per lui. Nessuno sarebbe più riuscito a cavalcare a lungo un “ destriero ” così indomito e ribelle e, infatti, poco aver messo in bacheca, unico giocatore nella storia, una seconda TRIPLE CROWN nella stagione di grazia 95/96, si è trovato improvvisamente sbalzato di sella, a mordere la polvere della più cocente delusione in carriera: la sconfitta con Doherty al Mondiale 97.
La carriera di uno sportivo, per quanto grande, risulta sempre piena di delusioni, ma per fortuna la mente è selettiva ed è portata a ricordare più le vittorie che le sconfitte. Però tra queste ultime ce ne sono alcune impossibili da dimenticare e sono quelle che fanno più male. Sicuramente il “ Golden Bairn ” non ha potuto mai scordare la sconfitta con “ un certo ” O’Sullivan nella finale del UK 93, anche perché al di là dei meriti di Ronnie lo scozzese veniva da una fantastica semifinale con Parrott, già campione del mondo, in cui si era imposto per 9-3, siglando la bellezza di 5 centoni oltre a sommergere completamente l’avversario sotto un parziale di 443 punti senza replica. Con l’emergente Ronnie aveva già incrociato la stecca poche settimane prima in semifinale al Dubai Classic, imponendosi facilmente col punteggio di 6-2. Tra l’altro si era trattato del primo scontro diretto con l’inglese, appena diciassettenne, e non è che Hendry ne fosse rimasto particolarmente impressionato. “Fatte le dovute considerazioni – ricorda lo scozzese – avevo i miei buoni motivi per essere fiducioso, però che errore è stato sottovalutare Ronnie, anche se solo un po’. Lui aveva imparato dalla precedente esperienza a non farsi condizionare troppo nè dall’occasione, nè dalla fama dell’avversario. Inoltre ogni giornata è differente ed io ero stato fin troppo brillante con Parrott, per cui c’era sempre la possibilità di non riuscire a giocare altrettanto bene in finale. In effetti anche se può esserci una certa differenza di valori in campo, basta che uno giochi leggermente meglio del solito e l’altro cali anche solo di poco ed ecco che abbiamo subito un match che si gioca virtualmente sul piano di parità ”. Una lezione salutare per il “ Golden Bairn ” che, però, non lo mette al riparo da altri incidenti di percorso, sempre possibili in un gioco in cui le bilie sono tonde e tutto può accadere. Gli è successo anche nella“ cattedrale ” di Wembley Conference Centre, a Londra, dove dal suo esordio, nel 1989, era rimasto imbattuto e sembrava dover restare tale anche nel Masters del 1994. A fargli lo sgambetto ci pensa stavolta il quasi coetaneo, nonché connazionale, Alan McManus che rimonta da 8-7 in finale, per imporsi 9-8 col contributo di una serie vincente da 76, nel decider. Crolla il mito dell’imbattibilità di Hendry nella capitale e si ferma a 5 la sua favolosa serie di trionfi consecutivi nell’evento più ricco e prestigioso dopo il Mondiale. Per Hendry si è trattato, comunque, solo di sconfitte sporadiche sempre soggette ad essere inquadrate nella legge dei grandi numeri. Uno scivolone ogni tanto ci può stare. E’ fisiologico e può far bene, anche se si tratta di un torneo TRIPLE CROWN. Però il Mondiale resta sempre un’altra cosa ed è fatale che debba lasciare il segno, soprattutto se si tratta di quello che potrebbe proiettare lo scozzese oltre “ quota 6 ”, relativamente ai titoli iridati conquistati in carriera. Un primato che nell’era televisiva deve condividere con l’inglese Davis ed il gallese Reardon. E questo non lo si può proprio sopportare.
La stagione 1996/97 è ricca di eventi, anche se siamo lontani dai 36 tornei che Davis ricordava di aver disputato nell’86. Il fatto che ce ne siano ancora 20 di buona qualità, di cui 10 validi per il ranking, rappresenta comunque un buon segno di vitalità del TOUR . Hendry parte un po’ a rilento, forse anche per il timore, a livello inconscio, di non lasciare troppe energie per strada in vista di quello che è l’obiettivo vero della stagione: la conquista del Mondiale. Però da asso pigliatutto non intende assolutamente fare concessioni quando si arriva agli appuntamenti che contano davvero in stagione. A Bangkok porta alla vittoria la Scozia in Coppa del Mondo a squadre, ben supportato da Higgins e Mc Manus. Quindi si impone nel UK Championship battendo Higgins al decider, in finale. A ruota segue la vittoria contro O’Sullivan al Charity Challenge, con un clamoroso 147 al decider, quando Ronnie era stato capace di rimontare da 8-2 fino al 8-8! Arrivano successi pure al Welsh Open e all’International Open,in Scozia, seguiti dalla vittoria nel classico Irish Masters. Il tutto all’insegna di una fenomenale progressione in vista dell’ormai prossimo appuntamento con la storia, al Mondiale di Sheffield. Resta da disputare solo un ultimo torneo prima del CLOU stagionale e si tratta del British Open, a Plymouth. Qui lo scozzese conferma il suo momento di forma dando la solita “ spazzolata ” a Davis, in semifinale, con un 6-2 tennistico nel quale figurano a suo credito 2 centoni e 3 mezzi centoni. La macchina da guerra è lanciata a mille e sulla carta, in finale, non dovrebbe esserci partita col 22enne gallese Mark Williams, che è ancora decisamente il meno quotato dei TRE GEMELLI del 1975. Qui, però, succede qualcosa di strano e del tutto imprevedibile, con Hendry che dopo essersi portato in vantaggio 2-1, sparisce letteralmente di scena concedendo una comoda vittoria al gallese. Williams piazza ben 8 frame consecutivi e si impone, tra lo stupore generale, per 9-2, con 5 mezzi centoni, andando a vincere così il suo terzo torneo valido per il ranking, da altrettante finali in carriera. Niente da dire sulla legittimità del successo di un ottimo Williams, che ha tenuto il campo con bella autorità contro il campionissimo scozzese, anche se viene da chiedersi dove fosse mai Hendry, con la testa, quel giorno. Secondo la rivista specializzata SNOOKER SCENE, una sorta di Bibbia del biliardo, sarebbe stato un mix di fattori a causare la più dura sconfitta in una finale per il “Golden Bairn”. Tutto ha avuto inizio da una serie di grandi imbucate a distanza del gallese, mentre Hendry cominciava a dare segni di un principio di BURN OUT, anche per essersi sentito bersagliato più volte dalla sfortuna. La tanto attesa reazione d’orgoglio questa volta non c’è stata, ma poco male perché la giornata storta può capitare a tutti. Nessuno può dirsene immune, tanto più un Hendry reduce da una serie record di ben 11 finali vinte di fila. Per la legge dei grandi numeri, se vogliamo dirla così, la dodicesima doveva essergli fatale.
Siamo all’appuntamento CLOU della stagione: il Mondiale, a Sheffield. Hendry ci arriva con la sicurezza di essere il più forte in quanto numero uno del ranking e plurivincitore stagionale dall’alto dei 6 titoli vinti su 7 finali. Essere il favorito gli dà una carica speciale, perché lui è un mattatore e come tale considera la pressione un vero privilegio (come Davis prima di lui) mentre i “ tre gemelli ” tenderebbero, in realtà, a dare il meglio quando non giocavano propriamente da favoriti, soprattutto al Mondiale. O’Sullivan perché la scioltezza al tavolo è sempre stata il suo punto di forza e un’eccessiva pressione può nuocere alla fluidità della sbracciata. Higgins, a sua volta, in quanto sa di rendere al meglio da sfavorito proprio per la sua natura di giocatore reattivo, capace di trovare ispirazione quando si tratta di “ fargliela vedere ” agli scettici che lo escludono “ ingiustamente ” dai pronostici della vigilia. Infine nel caso di Williams, sorta di filosofo del panno verde che non ama stare troppo sotto i riflettori, si tratta di un personaggio che non ha di sè l’immagine di un vero NUMERO UNO, come dimostrato dal fatto che ogni volta che è arrivato al vertice, nel Mondiale, come nel Ranking, ha sempre recalcitrato istintivamente, così da non complicarsi troppo la vita e darsi modo di godere appieno i piaceri del mondo e della famiglia. La professionalità, se vogliamo, non è mai stata il suo forte, ma questo rapporto non ossessivo col gioco, come succede per certi versi anche per Ronnie e Higgins, ha contribuito sicuramente ad allungare la carriera dei ” magnifici tre “. E’ una fortuna che dopo 30 anni al vertice i NOSTRI siano ancora qui a deliziarci con le loro prodezze, come pure a spronarsi a vicenda per dimostrare che il traguardo del mezzo secolo al TOP è raggiungibile anche in quest’epoca. Per chi, invece, come Hendry e Davis ha bruciato troppe energie negli anni migliori per soddisfare un’insaziabile sete di dominio, fatalmente la carriera di vertice è venuta ad accorciarsi anche per la maggior difficoltà di incassare i colpi dell’avversa fortuna quando il gioco, invariabilmente, finisce col presentare il conto nella fase avanzata della carriera. Davis ha smesso di vincere a 40 anni, mentre Hendry si è bloccato addirittura a 36. Se l’uno è andato avanti ancora parecchio tempo spinto da passione pura per il gioco, l’altro è caduto in uno stato di frustrazione ed ha finito col detestarsi come giocatore ( forse anche come persona per aver anteposto la carriera alla famiglia ) col risultato di ritirarsi a soli 43 anni, vedendo in questa mossa l’unica possibile via d’uscita da una situazione diventata ormai insostenibile. Se non altro ha cercato di preservare l’immagine di più grande giocatore di sempre, anche se nel tempo Ronnie sembra averlo superato, ma solo di una corta incollatura, come si dice in gergo ippico. Però i conti si fanno alla fine e resta da vedere come O’Sullivan chiuderà la carriera, se in tono minore oppure con il canto del cigno che tutti si aspettano da un’autentica superstar come lui. Per il momento i giochi restano aperti e solo il tempo potrà chiarire chi dei due è stato effettivamente il più grande giocatore dell’era moderna.
Lo scivolone con Williams mette in guardia lo scozzese, il quale realizza che anche il fatto di arrivare al Crucible con 5 titoli Mondiali consecutivi alle spalle, non è più una garanzia con la concorrenza che si sta profilando in giro. Poi c’è anche la cabala a mettersi di mezzo, in quanto è risaputo che la maledizione del Crucible colpisce sistematicamente quelli che hanno vinto il primo titolo, negando loro il bis l’anno dopo. Lo sa bene perché dopo aver fatto centro nel 1990, è scivolato anche lui sulla classica buccia di banana nella stagione successiva, perdendo a sorpresa nei quarti dal talentuoso inglese Steve James. Da allora il “Golden Bairn” si è rifatto con gli interessi andando a conquistare ben 5 Mondiali consecutivi, però adesso c’è un’altra maledizione da sfatare, quella del settimo titolo a ruota dopo il sesto. A questo stadio si sono dovuti fermare il gallese Reardon nel 1979, poi Davis nel ’90 ( toccherà anche Ronnie nel 2021 ) e adesso può esserne vittima anche lui. Al Crucible lo scozzese parte col piede giusto battendo comodamente 10-6 l’inglese Hicks, per poi prendersi la rivincita sull’irriverente, ma sempre simpatico Williams che ne aveva sparato una delle sue nell’intervista a caldo dopo la precedente finale tra i due: “Mi chiedete come mi possa sentire dopo aver sconfitto 9-2 l’imbattibile Hendry. Non saprei dire anche perché, francamente, mi sembrava di averlo battuto 9-1. Siete sicuri ? “. Questa volta, al Mondiale, non ci sono dubbi perché si tratta di un bel 13-8 per lo scozzese. Nei quarti di finale c’è dura lotta con il roccioso gallese Morgan, che gli aveva dato filo da torcere in finale al recente Irish Masters. Nell’occasione c’era stato un sofferto 9-8, mentre adesso è un 13-10 a spalancare le porte delle semifinali al detentore del titolo. Ora ad attenderlo c’è il pericoloso tailandese Wattana, che lo impegna strenuamente fino al 15-13, per poi cedere alla fine con l’onore delle armi sul punteggio di 17-13. A sbarrargli la strada verso la conquista del titolo più ambito, adesso resta soltanto il coetaneo irlandese Ken Doherty, reduce da un percorso “ netto ” che l’ha portato in finale senza doversi dannare l’anima, ottenendo vittorie di prestigio come quella col sempre grande Steve Davis ( vincitore in stagione del Masters di Londra, a 39 anni ) il quale viene letteralmente spazzato via negli ottavi, per 13-3, con una sessione di anticipo rispetto alle tre previste. Brillante pure il 13-9 con Higgins , nei quarti, e il 17-7, anche qui con una sessione di anticipo, contro il canadese Alain Robidoux , in semifinale. Un giocatore intelligente e tenace questo Ken Doherty, dotato tra l’altro di una bella facilità di esecuzione che lo rende uno dei talenti più apprezzati del circuito. Non a caso rimarrà un brillante TOP 8 per una decina di stagioni, fino alla metà degli anni duemila. Però il suo capolavoro assoluto resta proprio la finale del Mondiale 97, con Hendry. Una vittoria costruita magistralmente nella prima giornata, chiusa con un bel 11-5 che gli ha permesso di mettere una seria ipoteca sul risultato finale. Una situazione ben inquadrata da Ian Doyle, guarda caso manager di entrambi i giocatori, il quale ha cercato di mantenersi neutrale nella vicenda, almeno formalmente, quando era lampante che il suo connazionale, nonché protetto Stephen Hendry, aveva per lui un peso immensamente superiore sul mercato rispetto al rivale. Ecco, allora, che Doyle si inserisce astutamente nella vicenda intervenendo sui MEDIA alla fine della prima delle due giornate previste per la finale. “Se Hendry va avanti così, rischia di perdere il titolo con una sessione di anticipo” tuona lo scaltro manager cercando di pungolare nell’orgoglio il suo figlio putativo, che a parte qualche valido centone non è mai riuscito a farsi valere contro l’abile irlandese, quando il gioco è entrato nelle acque stagnanti del match-play. Un Hendry con poco fuoco nelle vene e, soprattutto, troppo soggetto a commettere errori gratuiti, come mai gli era successo prima al Crucible. Chissà, forse la sindrome da SETTIMO TITOLO MONDIALE gli ha tolto lucidità nel match più sentito in carriera e la troppa tensione rischia di essergli fatale.
Doyle, intanto, continua a tirare acqua al suo mulino quando lascia intendere che l’irlandese, a suo avviso, non ha ancora la maturità e l’etica del lavoro che si addicono ad un vero campione del mondo: “Ken è certamente un bravo ragazzo, però non ha ancora la mentalità e la professionalità che sono necessarie per stare al vertice della specialità”. Ma c’è dell’altro, visto che lo scozzese finisce col toccare delle corde, come quella del nazionalismo, che sicuramente sarebbe meglio lasciar perdere, considerata anche la natura particolarmente orgogliosa dei figli d’Irlanda: “Certo, Doherty non è uno abituato ad alzare il gomito, nè a tirar tardi la notte, però è un ” pigrone “ che la mattina risulta impossibile smuovere dal letto. Credo che da solo potrebbe dormire per tutta l’Irlanda ”. Vero almeno in parte, ma non nel caso specifico visto che il giocatore di Dublino ( Repubblica d’Irlanda ) si era preparato al Mondiale come mai prima, allenandosi 7 ore al giorno con O’Sullivan , a Ilford, per 3 settimane consecutive. I risultati si sarebbero visti al Crucible per lui come per lo stesso Ronnie, che sarà capace di siglare un magico 147 di serie in appena 5 minuti 20”! Però O’Sullivan ha appena 21 anni, mentre nel caso dell’irlandese, già 27enne, si ha l’occasione di assistere alla maturazione del giocatore, come pure al delinearsi di una personalità pronta a prendere le distanze dal manager-padrone : “Può darsi che Doyle abbia i suoi motivi. Io potrò essere un po’pigro, ma se non altro c’è un segnale positivo da parte sua perché significa che l’argomento gli interessa. Lui a volte può essere un po’ troppo invadente, però nel tempo ho imparato come tenerlo a bada”. Resta il fatto che le parole di Doyle finiranno con l’essere più di sprone all’irlandese che allo scozzese. E’ Doherty, infatti, ad uscire bene dai blocchi nella giornata conclusiva e andare in accelerazione fino ad un comodo 15-7, in vista della conclusione della terza sessione. Ma è qui che lo scozzese, come tante altre volte in carriera quando si è trovato con le spalle al muro, esplode in una rabbiosa reazione che lo porta a realizzare una ripulitura totale da 137, per poi assicurarsi anche il frame successivo e dare l’idea che tutto possa ancora succedere con l’avversario che resta a 3 frame dal titolo. Sensazione confermata da una partenza a razzo del “Golden Bairn” nella sessione finale, che lo vede vincere tre partite consecutive realizzando tra l’alto il suo quinto centone del match, contro ZERO dell’avversario. Doherty arranca vistosamente sul 15-12, ma riesce a rimettersi in linea con due validi mezzi centoni che lo portano a UNO dal titolo. Un risultato che non tarda ad arrivare con un 18-12 conclusivo che, se da un lato era imprevedibile alla vigilia, dall’altro toglie ogni possibile dubbio sulla legittimità della sua affermazione. Hendry, ovviamente, è molto deluso ma gli resta la “ consolazione ” di aver messo in bacheca qualcosa come 6 titoli, chiudendo la stagione da NUMERO UNO della classifica mondiale per l’ottava volta consecutiva. Un record che ad oggi, alla fine del 2021, nessuno è riuscito ancora ad eguagliare.
Non c’è una legge scritta del perché eventi positivi, come pure negativi, tendano ad accadere in sequenza. Deve accorgersene anche Hendry che dopo lo smacco al British Open e di seguito al Mondiale, va a subire una clamorosa tripletta perdendo anche la finale della European League, prestigioso torneo ad inviti destinato nel tempo a trasformarsi in Premier League e, successivamente, nella Champion of Champions. In semifinale Hendry si prende una platonica rivincita con Doherty, imponendosi 6-3 per volare all’attesa finale con un O’Sullivan salito alla settima posizione del ranking. Qui giova ricordare che Ronnie si era appena sbarazzato di Ebdon, irridendo il coriaceo inglese con un facile 6-2, ottenuto giocando di mancina ben l’ 80% dei colpi! Con Hendry, in finale, si limita al 25%, ma il titolo è ugualmente suo, per 10-8, in un match decisamente equilibrato ed altamente spettacolare tra due protagonisti che fanno letteralmente a gara per chi è più veloce al tiro. Difficile competere sotto questo profilo con l’inglese che ottiene, infatti, l’ottavo successo contro 11 sconfitte negli scontri diretti con il grande rivale. ”Ho perso tutti i frame più combattuti, spiega Hendry, e questo ha fatto una bella differenza alla fine. E’ stato, comunque, uno snooker di buona qualità e va detto che Ronnie a tratti ha giocato alla grande, mentre io ho sciupato troppe occasioni “. Sarà ancora più amaro il suo commento, pochi mesi dopo, all’epilogo della finale del UK ’97, persa ancora con O’Sullivan, per 10-6. Nello studio della BBC David Vine, il conduttore, lo affronta in modo diretto: “Stephen, ma cosa ti è successo stasera?“ Hendry appare visibilmente contrariato: “E’ successo semplicemente che la finale non l’ho persa stasera, ma nel pomeriggio quando ho sciupato varie occasioni nella prima sessione. Poteva essere tranquillamente un 5-3, ma anche un 6-2 e allora l’avrei messo decisamente sotto pressione per la sessione conclusiva. Invece, in qualche modo, lui ha portato a casa un pari che è stato un autentico bonus, col risultato che stasera ha potuto giocare sciolto e, ispirato com’era, non c’è stato proprio verso di poterlo contenere”. Come nei gialli di Agatha Christie un indizio è solo un indizio, mentre due sono già qualcosa di più. Però se arriva anche il terzo indizio, allora significa che si ha in mano una prova certa. Che dire allora di un Hendry, imbattibile fino a pochi mesi prima, che di colpo perde tre finali consecutive e, a ruota, va a subire una drammatica sconfitta ancora con Mark Williams, al London Masters, nel febbraio del 1998. Lo scozzese si porta in vantaggio 9-6, quando comincia ad essere falloso consentendo al gallese di mettere a segno una clamorosa rimonta, che lo porta a vincere il prestigioso titolo per 10-9, sulla nera di spareggio! Dopo aver subito la tripletta, adesso il “Golden Bairn”deve incassare anche l’umiliazione del quarto ko consecutivo. E’ un POKER che lo spedisce definitivamente nel mondo dei sogni. Da campione invincibile a “ favola ” del circuito : alti e bassi delle fortune umane.
E’ comprensibile che Hendry attraversi un periodo di sbandamento, ma nonostante tutto ha la quasi certezza matematica di chiudere la stagione ancora da numero uno del ranking. Bisognerebbe proprio che accadesse l’imponderabile, ovvero che lui perdesse al primo turno del Mondiale con White, proprio la sua vittima sacrificale di sempre, e che allo stesso tempo John Higgins, non ancora 23enne, andasse a vincere il titolo. Una combinazione quasi impossibile, ma il diavolo ci mette la coda ed è proprio quello che succederà alla fine. Un White in grande spolvero va a prendersi una clamorosa rivincita sulla sua nemesi, imponendosi nettamente per 10-4, mentre Higgins andrà a battere in finale il detentore del titolo, Doherty, chiudendo la stagione da numero della classifica. Per Hendry è una disfatta totale, ma il peggio deve ancora venire perché è destino che il PIU’ GRANDE debba proprio a toccare il fondo per potersi risollevare. Non ci vuole molto e infatti, a fine anno, la nemesi storica gli riserva, al UK ’98, quella che si può considerare la beffa finale della prima parte della carriera. Opposto al primo turno al connazionale Marcus Campbell, numero 73 del ranking, Hendry subisce un pesantissimo cappotto, per 9-0, che gli toglie ogni dubbio sul fatto che è ora di metterci una pezza prima che la barca vada completamente a fondo. Vuole sentire il parere di Dereck Hill, il coach di O’Sullivan, poi anche quello di Chris Henry, il guru del pensiero positivo, per decidere, infine, che è meglio tornare a lavorare seriamente col suo coach ” storico ” Frank Callan. Questi lo riporta ad applicarsi con pazienza sui fondamentali e ad allenarsi con la dovuta intensità, quella che fatalmente gli era venuta a mancare ultimamente. Rimessa a posto la tecnica e ritrovato il supporto psicologico della famiglia e dell’onnipresente manager, adesso per Hendry si tratta soprattutto di avere la giusta fiducia nel gioco, ma questa può arrivare solo coi risultati in torneo. Non è facile tornare ad essere vincenti con la concorrenza che ci si ritrova in giro e, infatti, eccolo cedere di misura contro un Williams ispirato che in finale al Welsh Open’99, davanti ai suoi tifosi, lo brucia sul filo di lana imponendosi per 9-8. Ma la forma vincente non tarda ad arrivare per Hendry che, col Mondiale in vista, trionfa prima allo Scottish Open demolendo 9-1 il connazionale Dott, e poi si impone all’Irish Masters ai danni del talentuoso Lee, con un 9-8 da brividi. La fiducia è recuperata in pieno e lo si vedrà ancor meglio al Crucible dove andrà a battere O’Sullivan, per 17-13, in una semifinale da urlo. Poi il capolavoro conclusivo con Williams, in finale, imponendosi 18-11 per diventare, con la conquista dell’agognato settimo titolo iridato, il Mundialista più vincente dell’era televisiva dello snooker. Tra l’altro Hendry manca di poco, proprio per una manciata di punti, la riconquista della posizione di numero uno del ranking. Leader resta Higgins che in questo modo si consola della perdita del titolo più ambito, vittima anche lui della maledizione del Crucible che nega il classico uno-due a tutti coloro che hanno vinto per la prima volta il Mondiale, nel Teatro dei Sogni.
Come l’Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri, così Hendry “ rinasce ” e torna a volare alto sulle vette del gioco. Mai, però, che a questo mondo si riesca a mangiare un boccone in santa pace e anche lui se ne dovrà render conto quando, di ritorno al suo “ inaccessibile ” castello negli amati Highlands Scozzesi, troverà una bella sorpresa ad attenderlo. Sul ponte levatoio ecco venirgli incontro, tutto trafelato, John Carroll, il fido ” maggiordomo”, che sbracciandosi in tutti i modi in segno di scusa, lo avverte che a sua insaputa, purtroppo, ospiti inattesi si sono accampati in casa“. Ebbene, tuona il Lord di Stirling, allora cosa aspettate a chiamare la servitù e a cacciarli via di qui, anche a calci nel sedere, se serve ?! “. La risposta del suo uomo di fiducia lo gela letteralmente : ”Purtroppo non è possibile, mio Signore. I TRE GEMELLI hanno l’autorizzazione della World Professional Billiards and Snooker Association a restare IN LOCO a tempo indeterminato, in ragione di classifica e meriti personali ampiamente documentati. Impossibile farli sloggiare, in particolare dalla cucina, dove mangiano di tutto. Se vuole adesso li può trovare in sala da pranzo, per i digestivi : Whisky Glen Grant, di puro malto, tanto per gradire. Poi Amaro Lucano, Sambuca Molinari e China Martini calda, giusto per chiudere il primo giro…”. Il 7 volte campione del mondo, di solito impassibile come un giocatore di poker, si lancia come una furia verso il salone da pranzo dove è abituato a consumare i suoi pasti in santa pace, lontano da occhi indiscreti. Stavolta è lui a non poter trovare un digestivo adeguato per cacciar già la pillola amara che gli viene servita d’acchito, sul piatto. A prendere la parola è un beffardo Williams che se ne sta appollaiato al centro del lato lungo dell’immenso tavolo su cui, come un falchetto, Ronnie gli sta di fronte, mentre Higgins, a capo tavola con una corona di latta in testa, guarda dritto nelle palle degli occhi il campione del mondo . “Come vedi, in segno di rispetto ti abbiamo ceduto il posto sulla sponda corta della nera, a capotavola, visto che sei incontestabilmente il più grande di sempre. Però devi convenire che la corona di Re dei professionisti ora spetta a Higgins, che non a caso ti sta di fronte, sulla corta del baulk, come numero uno del ranking. Per quanto riguarda Ronnie ed il sottoscritto, considera che la nostra posizione centrale, sulle buche dimezzo, sia una sorta di “ atto dovuto ” sia per meriti di classifica, sia per talento. Dunque, caro amico (i due lo sono davvero, tra l’altro) se negli anni novanta hai ” banchettato “ da solo, adesso devi capire che dovrai farlo in compagnia, come è giusto che sia nel nuovo gruppo che d’oggi in poi, è stato già deciso, sarà conosciuto come i BIG FOUR. Se per caso ti saltasse in mente di non accettare, ricordati che noi non solo siamo in tre, ma anche più giovani e affamati di successo e, certamente, non meno talentuosi ”. Si può pensare allora che nel mare grande dell’inconscio collettivo, o magari nel mondo “virtuale” dove ogni cosa sembra accadere precedentemente al suo manifestarsi nella realtà terrena, la storia della GENESI del famoso gruppo dei BIG FOUR possa essere andata più o meno così.
Lo sforzo titanico fatto per coronare il sogno più grande in carriera, porta Hendry ad alzare istintivamente il piede dall’acceleratore. Basta poco per fare la differenza quando ci si trova a dover fronteggiare la più forte concorrenza di sempre nella specialità. Avversari che lo rispettano, ma non lo temono più e con i quali sa di doversela giocare alla morte ogni volta che va al tavolo. Il tempo del dominio e delle grandi abbuffate è finito. Nel nuovo millennio si apre l’era della condivisione, un concetto che lo scozzese fa fatica ad assimilare anche perché ora sono i giovani leoni a ritagliarsi la fetta più grossa della torta. Per carisma e blasone lui resta sempre a capotavola, però sono gli altri tre a palleggiarsi i titoli più importanti e la leadership della classifica mondiale. Hendry rimane realmente competitivo fino al 2003, quando batte Ronnie in finale al British Open, per 9-6, in un match altamente spettacolare in cui si vedono ben 5 centoni consecutivi da parte dei due giocatori. In seguito, però, rimedia una storica batosta proprio con Ronnie in semifinale al Mondiale 2004. Perde 17-4, con una sessione di anticipo, ed è da lì che inizia il suo vero declino. Ottiene l’ultima vittoria significativa nel 2005, battendo il connazionale Dott per 9-7, in Malta Cup. Ha ancora un sussulto quando al termine della stagione 2006/2007, senza la soddisfazione di incamerare un solo titolo, si ritrova inaspettatamente, per l’ultima volta in carriera, la nona, a chiudere la stagione al primo posto della classifica mondiale. Una sorta di PREMIO OSCAR alla carriera per uno dei più grandi giocatori di sempre nella specialità più difficile del biliardo. Per molti resta sempre il NUMERO UNO e non lo sminuisce, certo, questo ritorno un po’ “ fantasioso” alle competizioni nel 2021, alla bell’età di 52 anni, dopo 9 stagioni dal ritiro ufficiale avvenuto a conclusione del Mondiale 2012. Al cuore non si comanda e il sogno proibito adesso è quello di tornare a giocare al Crucible, magari pensando ad un ottavo titolo iridato. Fantasticare non costa nulla soprattutto nel Teatro dei Sogni, quando sai che si tratta sempre e comunque del GIARDINO DI CASA TUA. Le chiavi per entrare lì, quelle dorate, le hai soltanto tu.
