Stephen Hendry, l’inizio del dominio (seconda parte)
In casa Hendry tutto fila per il verso giusto, così almeno sembra e i ragazzi crescono bene, con il papà che nei fine settimana li porta a fare sport, mentre la mamma è sempre di supporto dentro e fuori dalle mura di casa. Per Stephen, il maggiore, fare sport vuol dire ormai solo disputare gare di snooker ed il papà, grande appassionato, non può che essere orgoglioso di un figliolo che viene ormai additato come un autentico “enfant prodige”. L’occasione di farsi conoscere a livello nazionale arriva con la partecipazione al POT BLACK JUNIOR 1983, torneo televisivo in cui, appena 14enne, ma con a suo credito già un incredibile centone, approda alla finale anche se poi deve arrendersi ad un avversario che è di tre anni più grande e lo sovrasta fisicamente. Stephen è un simpatico “ranocchietto” che deve ancora arrivare all’età dello sviluppo. Di altezza è si e no 1 metro e 50, mentre l’avversario, Steve Ventham, si avvicina al metro e 80. Come Davide contro Golia, ma è il piccolo scozzese a portarsi sul 47-1 nel match sulla distanza del singolo frame. Poi, su un colpo in grande finezza ad imbucare una rossa a tutto biliardo, ecco che Hendry si lascia scoperto e l’avversario gli piazza una fenomenale serie da 65, in ripulitura fino alla nera! Tra l’altro l’inglese eguaglia il record della competizione stabilito in una precedente edizione da un certo John Parrott, futuro campione del mondo. Gran bella partita, niente da dire, ma è la prima vera delusione per il futuro GOLDEN BAIRN, che di piazze d’onore non ha mai voluto saperne. Neanche di STEAL subiti, a dire la verità, ma ormai i giochi sono fatti e al piccolo Hendry non resta che meditare VENDETTA, TREMENDA VENDETTA .
Intanto nel cielo di Queensferry arrivano nubi minacciose che si addensano proprio su casa Hendry e, una brutta sera, scoppia il dramma. Mamma e papà prendono da parte i ragazzi e spiegano che le cose in famiglia non vanno più bene e loro stanno per separarsi. Per Stephen e Keith è uno schock tremendo, ma soprattutto per il maggiore che è totalmente immerso nella sua bolla snookeristica e, proprio per questo, non si è mai reso conto dei problemi in famiglia. L’altro, il minore, già più presente in casa, certe tensioni le aveva avvertite eccome, ma mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che i genitori potessero arrivare a tanto. La triste realtà è che Gordon giovane quarantenne con parecchi grilli per la testa, se ne va di casa con una nuova compagna, di vent’anni più giovane, curiosamente come avrebbe fatto più avanti, verso la metà degli anni 2010, proprio il GRANDE HENDRY dopo il ritiro dalle competizioni. Guarda caso anche lui con il peso di due figli maschi, Blaine e Carter, lasciati in carico, dopo trent’anni di “buon” rapporto, alla sfortunata consorte. “Talis pater, talis filius” è la prima cosa che viene da pensare in casi come questi, ma se è stata dura venirne fuori per Mandy, in un contesto di agiatezza economica, figurarsi come deve essere stata grama la condizione di Irene, chiamata a raccogliere i cocci di un matrimonio finito in frantumi, per di più in una situazione di chiara indigenza. A parte gli alimenti che spettano per legge, è lei che si trova ad avere tutto il peso della famiglia sulle spalle, però da donna intelligente e sensibile quale è, si adopera comunque perché papà e i figli, ancora minorenni, mantengano un buon rapporto. Se non altro papà continua a portare Stephen alle gare nei fine settimana, dandogli la possibilità di accumulare preziose esperienze in vista del passaggio al professionismo che ormai si profila all’orizzonte. Ma a casa è dura, anche se la mamma trova posto come segretaria presso una compagnia di assicurazioni e riesce anche a farsi assegnare dal comune un mini-appartamento delle case popolari. Però, alla fine, riscaldamento e cibo scarseggiano, alimentando la fame di successo del futuro campione che capisce di dover accelerare i tempi per cominciare a portare il suo contributo economico in famiglia. Fortuna vuole, diciamo così, che il suo talento sia presto in vetrina con la vittoria in varie gare PRO-AM, oltre al conseguimento di risultati di spicco in campo nazionale. Quanto basta perché si accorga di lui il proprietario di una grossa sala di Stirling, un certo Ian Doyle, che è disposto a scommettere sul suo talento e lo sponsorizza anticipandone il passaggio al professionismo al compimento dei 16 anni. Doyle è personaggio ambizioso e lungimirante, che vuole diventare per Hendry quello che Hearn è stato per Davis. Mentre, però, il boss di Romford è stato una specie di fratello maggiore per il suo pupillo, Doyle anche lui manager, prima di tutto è diventato una sorta di secondo padre per l’emergente campione. Un sodalizio che, a parte i risvolti affettivi, si è modellato comunque sulle linee della gestione del duo della Matchroom, che ha rappresentato il TOP degli anni ottanta. Adesso tocca a Hendry-Doyle cercare di diventare la COPPIA DI RIFERIMENTO degli anni novanta. Il mondo è pronto a prostrarsi ai loro piedi, tanto di più adesso visto che il brutto anatroccolo si sta trasformando in un bel cigno e comincia ad essere osannato come il GOLDEN BAIRN del panno verde. Resta solo un ultimo, piccolo, insignificante dettaglio da mettere a posto. Semplicemente buttar giù dal piedistallo LA COPPIA REGINA.
Seguendo la strada tracciata da HEARN-DAVIS, il duo scozzese comincia a procedere in grande stile. Viene deciso che il neo-professionista viaggerà in una lussuosa Mercedes, frequenterà solo i migliori alberghi e ristoranti, assistito in tutto e per tutto da un ROAD MANAGER, John Carroll che gli farà da scudo col mondo, seguendo le direttive impartite direttamente da Doyle, dalla centrale operativa di Stirling. Hendry va trattato come un PICCOLO LORD per proiettare attorno a sé l’immagine di un giovane destinato a raggiungere i più grandi traguardi sul panno verde. Il mondo lo deve sapere, fin qui ci siamo, ma adesso alla forma bisogna aggiungere la sostanza e Doyle non vede l’ora di tastare il polso alla COPPIA REGINA per cercare di capire quanto possa volerci in termini di tempo ed energie da investire, per arrivare ad effettuare IL CAMBIO DELLA GUARDIA. Uomo audace, con tanto di baffetto da sparviero, il rampante manager scozzese dimostra grande fiducia nel suo protetto e al compimento del diciottesimo anno di età, decide di metterlo di fronte a Davis in una settimana di incontri di esibizione, in varie località della Scozia. Un TOUR di biliardo spettacolo, per carità, ma considerata la natura SUPERCOMPETITIVA dei personaggi in questione, era automatico che sarebbe “degenerato” in un’autentica sfida all’OK CORRAL tra l’indiscusso RE dello snooker e l’astro nascente della specialità. Doyle viene criticato non poco per questa mossa giudicata troppo azzardata da vari esperti e tra questi un certo ” Uragano “ Higgins che, senza tanti mezzi termini, afferma: ”Il ragazzo ne uscirà TRAMORTITO”. Questo non solo per la settimana di gioco che va ad iniziare, ma anche per le conseguenze psicologiche che la probabile disfatta potrebbe lasciargli dentro, con ferite profonde difficili da rimarginare. Siamo nel 1987, non dimentichiamo, e il GOLDEN BAIRN ha appena 18 anni contro i 29 dell’inglese, che è al culmine della carriera ed è abituato ad essere spietato al tavolo, anche in esibizione, così da condizionare pesantemente gli avversari quando arriverà il momento di affrontarli in torneo. Davis non fa concessioni a nessuno, sia chiaro. Lui che in finali di tornei importanti ha rifilato fior di cappotti a giocatori del valore di Taylor, Reynolds e Hallett, impresa non più ripetuta nel MAIN TOUR se non di recente, caso più unico che raro, quando l’australiano Robertson ha rifilato un bel 9-0 al povero Zhou Yelong, nella finale dello European Masters 2019, in Austria. Trattamenti riservati 30-40 prima da Davis ai suoi avversari, persino in esibizione come successo proprio allora al teenager scozzese, finito letteralmente sotto un carro armato. E’stato così che Hendry, da grande ammiratore che era di White per il suo gioco rapido e spumeggiante, è diventato un convinto fautore del gioco di Davis. L’uno era per il pubblico e per lo spettacolo, ma anche per questo, alla fine, non poteva dirsi un vincente. L’altro era tutto sostanza, un vincente nato, con le scelte di tiro giuste abbinate ad un gioco completo. Un autentico fuoriclasse con una tecnica impeccabile, dotato di stile, presenza al tavolo, personalità e carisma. Il giovane Hendry aveva capito al volo che la strada giusta da seguire era quella indicata dal fuoriclasse di Romford, ma ha voluto essere un vincente a modo suo, con la disciplina e la coerenza di gioco di un Davis, ma con il brio, la rapidità al tavolo e la mentalità offensiva di un White. Uno stile mixato che gli avrebbe consentito di dominare gli anni novanta con un’intensità almeno pari a quella che aveva consentito a Davis di dettar legge su tutti gli avversari nel decennio precedente. Quella volta, nel tour di esibizione in Scozia, anche sul povero Hendry al quale cucì addosso, con tocco sartoriale, un bel cappotto da 6-0 a livello di serate, con un bilancio complessivo di 37-16 nei frame. Un risultato pesante da digerire, ma non proprio disonorevole per il GIOVANE PRETENDENTE, che però visse male quell’esperienza tanto da classificarla nella sua mente come IL TOUR DEGLI ORRORI. La stampa aveva dato ampio risalto all’evento, etichettato come “il Re contro il Giovane Pretendente”, richiamando un pubblico da tutto esaurito nelle località in cui i due andavano a far tappa. Ma, alla fine, per i tifosi locali sarebbe stata una cocente delusione.
A Inverness, nella penultima serata di gara, nei pressi del lago di Lochness è possibile che Hendry abbia avuto davvero la sensazione di trovarsi faccia a faccia con il famoso mostro del lago (“Nessie, il suo nome”) uscito col suo spirito dalla profondità delle acque per prendere la sembianze di Davis, tanto l’inglese è stato spietato nel completare il più feroce massacro della settimana, piazzando un micidiale 8-1 finale che ha rappresentato per Hendry la più pesante sconfitta del TOUR. Non è abbastanza, perché al danno sono seguite anche le beffe. “Ho giocato come un principiante – ricorda Hendry – con i fans locali a chiedersi perché mai ci fosse tanto clamore attorno a questo Golden Bairn, che non sembrava poi niente di speciale.” Così la mazzata finale è arrivata da un tizio che, incrociandolo all’uscita del locale non ha saputo trattenersi : “E questo sarebbe l’erede di Donaldson? Dai, non scherziamo, il ragazzo è solo tanta spazzatura. Pensate che potrei batterlo anch’io”. Comprensibile che l’ormai EX-PRETENDENTE si sia sentito completamente schiacciato sotto il peso di una sconfitta diventata, per lui, a dir poco imbarazzante. “Non importa il punteggio ufficiale – ricorda Hendry – ma è come ti senti dopo la sconfitta. Quella volta mi è sembrato di essere finito dentro UN TRITACARNE e l’incontro è come se l’avessi perso per 100-0! ”. Fondata la previsione degli esperti che temevano potesse trattarsi di una MATTANZA perché, alla fine, questo è stato il responso del tour. Però chi si aspettava che Hendry dovesse uscire distrutto da quella esperienza, non ha fatto bene i conti con il carattere e la resilienza del 18enne scozzese. Una lezione salutare, quello sì, perché avrebbe aperto gli occhi al GOLDEN BAIRN e gli avrebbe indicato la via giusta da seguire per poter arrivare al TOP. Ma era chiaro che poteva trattarsi unicamente della strada tracciata dall’impareggiabile Steve Davis, che proprio nella stagione 1987/88 sarebbe diventato il primo giocatore a completare la TRIPLE CROWN in una sola annata sportiva. Evento molto raro nello snooker, che può verificarsi in media una volta ogni dieci anni. Impossibile pensare che, solo due anni dopo, potesse essere proprio il giovane scozzese ad eguagliare l’impresa, conquistando tra l’altro il titolo iridato e strappando la leadership mondiale all’inglese che l’ aveva mantenuta, indisturbato, per gran parte degli anni ottanta.
Quando passa al professionismo, a 16 anni, Hendry diventa il più giovane PRO della storia della specialità. Gli inizi, comprensibilmente, non sono facili, però in Scozia va a vincere titoli nazionali BACK TO BACK e comincia a mettere qualcosa in banca e nella borsetta di mamma Irene che, poveretta, fa sempre più fatica a mandare avanti la famiglia. Ovviamente la sua ambizione è di poter arrivare, un giorno, nel teatro dei sogni, il Crucible, perché si sente dentro di essere un giocatore da grandi palcoscenici . La vera occasione arriva nel 1986 quando supera la fase delle qualificazioni e diventa, a 17 anni, il più giovane a mettere piede nel tempio del gioco. Perde 10-8 al primo turno, contro il quotato Thorne, ma farà meglio l’anno successivo contro il campione mondiale in carica Joe Johnson, nei quarti di finale, tenendo spavaldamente il campo prima di cedere di strettissima misura, per 13-12. Ma i tempi sono maturi per il salto di qualità che arriva, sempre nel 1987, con la conquista del primo titolo FULL RANKING in carriera. Nell’iconico teatro Hexagon di Reading, nel corso del Rothmans Grand Prix, si trova davanti lo spauracchio Davis e lo batte, negli ottavi di finale, con un convincente 5-2. “Gran parte dei giocatori ha un sacro terrore di Davis ed io non facevo eccezione. Questo almeno finchè non l’ho battuto al Grand Prix , con un risultato pieno, tra l’altro. E’ lì che ho sentito di aver infranto un muro e da quel momento ho sempre guardato con fiducia agli scontri con Davis“. Un risultato che gli mette le ali e lo porta a superare in sequenza Knowles, Parrott e in finale, per 10-7 il sempre grande Taylor. Per Hendry è il primo titolo importante in carriera. Altri ne sarebbero seguiti presto, a ritmi vertiginosi.
Nel valutare AD OGGI la fenomenale ascesa di Hendry alla fine degli anni ottanta, siamo tutti concordi nel ritenere che lo scozzese è stato un grande innovatore e il POWER SNOOKER, di certo, l‘ha inventato lui. E’ stato Hendry il primo a tagliar corto con le lungaggini difensive che caratterizzavano, di norma, le fasi iniziali del frame. Con lui si parte subito da una grande imbucata a distanza e, a seguire, arrivano SPLIT molto aggressivi sul triangolo delle rosse, facendo leva indifferentemente sulla blu o sulla nera. L’idea è di chiudere la partita nel modo più sbrigativo possibile alla prima, seconda, o massimo terza entrata al tavolo. In tal modo non si dà all’avversario la possibilità di frenare il gioco con un’adeguata impostazione tattica del frame e si può mantenere alto il ritmo restando su una tempistica attorno al quarto d’ora a partita. Ciò di cui oggi sembra essersi persa la memoria, è proprio il ritmo travolgente che Hendry esibiva al tavolo nella prima parte della carriera, ma a tratti anche fino alla perdita del titolo contro Doherty, nella finale del Mondiale 97 che ha segnato in qualche modo l’inizio del declino del grande scozzese. Lui stesso ha ammesso di aver rallentato la sua tempistica al tavolo, ma in modo quasi inconsapevole, come si fosse trattato di un’evoluzione naturale del suo gioco in rapporto all’età. Una trappola in cui, ad esempio, non si è mai lasciato cadere Ronnie, che forse ha avuto una carriera così lunga proprio perché ha sempre seguito il suo ritmo naturale al tavolo. Hendry invece, ha assunto progressivamente un atteggiamento più compassato, che lo ha indotto ad essere meno aggressivo e non più così travolgente come agli inizi della carriera. Se c’è un match emblematico di quel momento della sua ascesa, è il CLASSICO che lo vede opposto a White nei quarti di finale del Mondiale 88. In assoluto uno dei migliori incontri visti al Crucible con un White a giocarsela alla grande e far valere la maggior esperienza nei confronti dell’astro nascente della specialità, per imporsi al decider con un tiratissimo 13-12, grazie ad una formidabile serie da 86. Ricordiamo che “The Whirlwind” era considerato non solo il giocatore più spettacolare, ma anche il più veloce tra i BIG. E allora bisogna andare a vedere su YOU TUBE, o altri siti di condivisione PER CREDERE, visto che il GOLDEN BAIRN…andava a velocità doppia rispetto alla sua, forse ancor più rapido dello stesso O’Sullivan prima maniera. Mi sovviene, in proposito, della finale della Matchroom League 97, quando i due sembravano letteralmente inseguiti dalla polizia in una vorticosa sarabanda attorno al tavolo. Ronnie ad un certo punto, insoddisfatto del suo gioco, decide di esibirsi principalmente di mancina e va a siglare una memorabile vittoria per 10-8. Mi viene da pensare che neanche Trump-O’Sullivan della strabiliante finale di Bucarest 2016 (media di poco superiore agli 11 minuti a partita), siano arrivati così vicini alla velocità della luce, stimabile in questa specialità attorno ai 10 minuti a frame.
Nel 1989 Davis va a vincere il suo sesto e ultimo titolo mondiale. E’ancora giovane con i suoi 31 anni, ma la concorrenza dei vari White, Parrott e Hendry diventa sempre più spietata e lo costringe a farsi progressivamente da parte. A prendere il suo posto è proprio Hendry che lo batte in finale al UK, poi va a vincere il London Masters e, infine, completa la TRIPLE CROWN stagionale battendo White in finale al Mondiale. E’ così che diventa, a 21 anni, il più giovane campione del Mondo, un record che a tanti anni di distanza è tuttora saldamente in suo possesso. Hendry diviene inarrestabile e per poco non conclude un secondo giro consecutivo di TRIPLE CROWN, fermandosi inaspettatamente al Mondiale 91– vittima anche lui della maledizione del Crucible quando viene battuto nei quarti di finale dal talentuoso Steve James, che blocca a 5 la serie dei tornei “triple crown “vinti consecutivamente dal GOLDEN BAIRN. Per Hendry solo un passo falso, perchè torna a dominare imperterrito il finale della stagione 90/91 e va a vincere in grande stile, per la prima volta in carriera, la prestigiosa Matchroom League, imponendosi nell’ottavo torneo stagionale (sui 17 disputati), per eguagliare in tal modo il record di Steve Davis . In fondo la grande soddisfazione per il nuovo Re sarà sempre quella di continuare a battere il suo predecessore sul campo di battaglia, vedendo di strappargli ad uno a uno tutti i suoi primati. Davis è disorientato da tanta aggressività associata ad immenso talento e, sconfitta dopo sconfitta, finisce per rimanere sempre più condizionato sotto il profilo psicologico, subendo una dura batosta nel computo dei testa a testa, in carriera. Alla fine della storia si conteranno ben 44 vittorie per lo scozzese, che arriverà a doppiare comodamente l’avversario rimasto appena a quota 20. Unica soddisfazione per l’inglese – rinomato, tra l’altro, per essere sempre stato un grande giocatore da finale – quella di aver retto bene nei match per il titolo, portando a casa addirittura un piccolo vantaggio: 8-7. Un certo imbarazzo restava, comunque, per il grande campione abituato a riservare certi trattamenti a tutti gli avversari e, non certo, a subirli. Così, per una forma di autodifesa, Davis ha cominciato ad ignorare il rivale, fingendo che non esistesse proprio al mondo. Per contro Hendry lo ripagava in moneta sonante, dimostrandogli grande disprezzo. L’unica cosa che poteva invidiargli, caso mai, era l’estrema professionalità e l’abitudine di trattare tutti gli incontri, contro qualsiasi avversario, con la massima attenzione. Un aspetto che Hendry, troppo assetato di successo, tendeva un po’ a trascurare perché, dovunque andasse, l’istinto era sempre quello di buttare l’occhio al tabellone per cercare di capire chi avrebbe potuto incrociare IN SEMIFINALE. Per lui era inevitabile pensare che PRIMA … sarebbe stata solo una salutare passeggiata. Per quanto riguardava poi quel “bastardo” di Steve Davis, si poteva star certi che avrebbe continuato ad inseguirlo per mare e per terra, pure nel deserto, per fargli capire, ce ne fosse stato ancora di bisogno, che di GOLDEN BAIRN , al mondo, poteva essercene uno e uno soltanto .