Nello sport l’omofobia sarà reato: a luglio entrerà in vigore l’articolo 2 comma 4 dello Statuto del Coni attraverso il quale verrà inserito tra le cause discriminatorie delle pratiche sportive.
Una normativa che, finalmente, porrà l’Italia sullo stesso livello di altri paesi europei dove l’omofobia è reato da tempo. Quali? La Francia, per esempio, dove la legge esiste dal 2004 e si rischia un anno di carcere; in Germania dal 2014 quando l’Uefa chiuse la curva del Bayern Monaco per una partita di Champions League a causa di uno striscione omofobo, oppure in Inghilterra: nel 2012 diffida e 15mila euro di multa a Federico Macheda (Manchester United) per aver scritto una frase omofoba su Twitter.
Un tema, quello della discriminazione sessuale, molto sentito nel calcio italiano che spesso si ripropone su giornali e tv come accadde tra Sarri e Mancini nel post partita dell’ultimo campionato.
Un argomento che, nel 2013, entrò in un sondaggio fatto da La Gazzetta dello Sport a 50 calciatori di Serie A. In esso infatti erano inserite tre domande inerenti l’omosessualità:
–diversità di trattamento negli spogliatoi in caso di outing di un compagno di squadra;
-carriera compromessa;
-presenza di un compagno di squadra che si è dichiarato gay.
Alla prima domanda il 66% ha risposto che “non” ci sarebbe diversità di trattamento contro il 34% di “sì”. Alla seconda domanda per il 2% vedrebbe “seriamente” compromessa la carriera, “in parte” per il 32% e un secco “no” per il 66% degli intervistati. Nell’ultima domanda, un netto 94% ha risposto “no” alla presenza di compagni di squadra che hanno dichiarato la loro omosessualità e solo il 6% ha risposto “sì”.
Vediamo ora alcuni casi più eclatanti di outing nelle sport:
Justin Fashanu nel 1990 dichiarò la sua omosessualità. Fu il primo caso di coming out tra i calciatori professionisti. Il caso di Wilson Oliver, due anni prima cacciato dal Montevideo perché frequentava discoteche gay, non ebbe la stessa risonanza. Fashanu invece fu accusato di stupro e oggetto di un ostracismo senza precedenti che lo portò a impiccarsi in un garage di Londra.
Jesus Tomillero poco tempo fa ha dichiarato di essere gay. È il primo caso tra gli arbitri. Il giovane spagnolo (21 anni) è stato costretto al ritiro.
Martina Navrativola nel 1981 dichiarò la sua bisessualità. Fortunatamente (forse nel tennis c’è maggiore apertura mentale…) nessun problema per lei. Anzi, vinse gli Australian Open.
Gareth Thomas, rugbysta, nel 2009 fece pubblicamente outing, la sua carriera finì senza particolari stravolgimenti.
Non dimentichiamo inoltre le frase discriminatoria dell’ex presidente della Lnd Belloli che apostrofò le calciatrici italiane “quattro lesbiche”.
Cambierà qualcosa con il “reato di omofobia”? In attesa di vedere la portata dell’articolo dello Statuto del Coni e le sue applicazioni, abbiamo chiesto un parere a Eva Pommerouge (Stefania De Caro) blogger e autrice di un capitolo dedicato al tema dell’omosessualità nel calcio nel libro “Il campionato degli italiani”.
“Interessante pensare che il calcio e lo sport in generale – afferma Eva Pommerouge – siano pronti per il coming out su un argomento che è davvero tabù. Io dico che non esiste il fuorigioco, ma che la barriera da parte dello stesso mondo del calcio è continua tanto da risultare un autentico muro di gomma. Quindi non credo che ci sia la chance di poter alzare la mano e mormorare la propria libertà (sessuale). Lo dico forte della cronaca diretta: presentando in questi mesi in molte città d’Italia che hanno la loro squadra in B il mio racconto dall’inequivocabile titolo “Sesso, tabù e pallone” -che fa parte dell’antologia “Il campionato degli italiani”– ho potuto constatare che da sagome umane, allenatori, presidenti e calciatori diventavano improvvisamente di cera, nessuna espressione a tradire un pensiero che non viene neanche considerato, anzi in molti hanno precisato che nel mondo del calcio non c’è omosessualità. Posso affermare con sicurezza che il calcio non è ‘omoesente’ e che purtroppo le dinamiche che coinvolgono una questione così complessa interessano lo spogliatoio in primis, in cui si potrebbe creare un clima difficile da gestire per l’allenatore e la dirigenza, e poi le curve –o meglio la tifoseria in genere- in cui il concetto di un calcio ‘machissimo’, amplificato da bellone, veline e starlette di turno, resta difficile da scardinare. Non si può cambiare qualcosa che non viene considerato e accettato da quell’ambiente dove dovrebbe partire una presa di coscienza ammettendo che il calcio è un (grande) microcosmo della realtà che ci circonda”.