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Speaking to the deaf: ecco la band metal-core che con il singolo Burnout racconta l’ansia della realtà contemporanea.

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Speaking to the deaf: ecco la band metal-core che con il singolo Burnout racconta l’ansia della realtà contemporanea.

Michele Vitali, Tommaso Bianchelli, Giacomo Scortichini, Riccardo Orazi e Francesco Possanzini. Sono questi i cinque componenti del gruppo Speaking to the deaf, la band Metal-Core, nata ad Ancona, che sta spopolando negli ultimi anni. Vari tour tra Russia e gran parte dell’Est Europa, due dischi all’attivo e un singolo Burnout, inserito da Spotify in una playlist che contiene i pezzi underground più ascoltati e cantati del momento. Un successo costruito giorno dopo giorno attraverso testi che parlano e arrangiamenti che conquistano. Una costante corsa dove il sapore del traguardo è offuscato dal traguardo successivo Questo e molto altro sono gli “Speaking to the deaf”: «prima di pensare che l’altro sia sordo a ciò che dici, chiediti piuttosto se sei tu ad essere muto».

Avete iniziato nel 2012, cosa è cambiato da allora?

«La band si è formata con Michele Vitali, Tommaso Bianchelli e Giacomo Scortichini. Siamo cresciuti insieme. A noi si sono uniti successivamente Riccardo Orazi e Francesco Possanzini che hanno portato nuovo entusiasmo e affiatamento. Senza dimenticare Luca Recchia e Lorenzo Mezzalana che sono stati parte integrante di questa famiglia e hanno contribuito a tracciare il percorso che oggi ci ha portato qui. Il cambiamento è stato innegabile: è da sempre uno stimolo per metterci alla prova perché alla fine tutto deve cambiare per rimanere fondamentalmente com’è

Come è nata la vostra band e perché avete deciso di fare un genere diciamo di nicchia?

«La nostra band è nata dalla voglia di dare voce alla musica che abbiamo dentro. L’electro metalcore non è proprio un genere di nicchia, potrebbe esserlo qui in Italia osservando il numero di band attive, ma rimane un genere molto ascoltato. In Germania, Gran Bretagna e America va per la maggiore.»

Di cosa parlano le vostre canzoni e da cosa traete ispirazione?

«Sono per lo più gli elementi autobiografici, tratti dalla nostra quotidianità, a offrirci spunti su cui scrivere. Il concept del nostro ultimo album, “The New Disguise”, è l’adattamento: la “survival of the fittest”. Questa frase, oltre ad essere il motto di Mortal Kombat, racchiude il cambiamento a cui assistiamo passando da una generazione all’altra».

C’è una canzone alla quale siete più legati?

«Ognuno di noi ha la sua preferita. Ce ne sono tantissime! Tommaso adora “Misfired Plans Galore” perché è l’ultima dell’album, e ascoltare l’album dall’inizio alla fine è la sua idea di viaggio. Giacomo è affezionato ad “Another Night” perché pensa sia la commistione perfetta di tutti i generi. Michele preferisce “Panicothèque” per la mole di d’n’b e rap e il taglio elettronico che la contraddistingue. Riccardo impazzisce per “Squall/Rinoa”, con i suoi riferimenti alla saga di Final Fantasy e Francesco è rimasto colpito al primo ascolto dalla versione definitiva di “Burnout”».

“The New Disguise è il vostro secondo album, dallo stile electro/metalcore. Me lo raccontate?

«Partendo dagli elementi che contraddistinguono il metalcore (ritmiche cadenzate, breakdown, strofe aggressive e ritornelli melodici) abbiamo aumentato la componente elettronica e aggiunto alla formula parti d’n’b e rap per rendere ogni brano diverso dall’altro. È uno scrigno con dentro 10 occhi che assistono alla velocità con cui il mondo cambia, prendendo appunti su come rimanere in cima all’onda».

Quanta differenza c’è rispetto al vostro primo album?

«Musicalmente ci siamo diretti verso nuovi spazi, lasciando libero sfogo alla fantasia pur ricercando una struttura ben definita e coesa nel songwriting. Dentro c’è ancora sempre la voglia di divertirsi e divertire, insieme a tutta la nostra e personale autenticità».

Burnout, il singolo tratto dal vostro secondo album, sta riscontrando un grande successo. Come è nato e di cosa parla?

«Parla del bombardamento di input e task a cui siamo sottoposti di routine. Una costante corsa dove il sapore del traguardo è effimero perché già proiettato verso il traguardo successivo. Nel lungo termine questo affievolisce i nostri sensi e ci distrae. Ci annoiamo anche se viviamo in costante accelerazione. É una canzone che parla del riprendere in mano il controllo del proprio tempo, raccontata attraverso un telaio di riff melodici, breakdown marziali e ritornelli liberatori. Piace perché esprime questa enorme voglia di esplodere».

Il singolo Burnout è stato inserito su Spotify e siete riusciti a fare anche un’importante audizione di cui aspettate l’esito. Che emozioni avete provato e quanto è aumentata la vostra voglia di fare musica?

«La voglia di fare musica cresce ogni volta che saliamo su un palco. Non ci basta mai. La scelta da parte di Spotify di inserirci in una playlist ufficiale ad album appena uscito è stata una soddisfazione enorme».

In una delle canzoni c’è anche la collaborazione con Sandra Piace. Di cosa parla questa canzone e come è avvenuta questa collaborazione?

«Il brano in questione è Panicothèque e mescola gli A-ha e i Limp Bizkit con i Pendulum e i Cypress Hill. Volevamo una featuring originale con una rapper e abbiamo scelto Sandra, la migliore in Italia».

Tour in Europa e Russia. E in Italia?

«In Russia, Ucraina e Lettonia il pubblico conosceva già le nostre canzoni, durante i live le cantava dall’inizio alla fine! Per l’Italia attendiamo news, noi siamo sempre pronti».

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