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Serie A 2018/19: è davvero tutto già deciso?

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A poco più di un mese dalla finale del mondiale, la Serie A torna ad alzare il suo sipario dopo giorni di chiacchiere e notizie da calciomercato, succedaneo irrinunciabile, da qualche lustro a questa parte, di partite coi tre punti in palio che solo i limiti fisici della condizione umana impongono di interrompere almeno per qualche settimana. Calciomercato che quest’anno ha portato in dote ai campioni d’Italia un top player del calibro assoluto di Cristiano Ronaldo il cui arrivo, sebbene in molti ne evidenzino l’importanza per tutto il movimento calcistico nostrano, nei fatti va a rafforzare ulteriormente una compagine che vince ininterrottamente il campionato da sette anni senza che gli avversari, a prescindere dal loro nome, riescano davvero a impensierirla. Oggi più che mai sembrano dense di significato le parole di coloro che, già qualche anno addietro, ipotizzavano un campionato dei secondi, vista quella che sembra essere una ennesima, scontata cavalcata verso la vittoria da parte della nuova squadra dell’asso portoghese Pallone d’Oro in carica.

Ma è davvero così chiuso il pronostico della Serie A 2018-19? A fare il gioco delle figurine, mettendo sul tavolo solo le rose delle squadre che scenderanno in campo, una risposta affermativa sembra quasi matematica. Cosa potrebbe impedire alla Juventus di vincere lo scudetto se non una serie di imprevisti avversi alle sorti bianconere? Una spasmodica concentrazione di energie nervose sull’obiettivo “vero” della stagione, la Champions League; problemi di relazione che possano minare la serenità dello spogliatoio, inopinati cali di rendimento dei giocatori chiave. A questo sembrano doversi aggrappare le aspettative di chi, a partire dalle inseguitrici degli scorsi anni, vorrebbe un campionato davvero equilibrato fino in fondo. In tal senso non sono molte le indicazioni a supporto che può fornire il campo. Se si esclude il Leicester, che non più tardi di due anni fa sovvertì ogni pronostico vincendo la Premier League, per trovare una sorpresa di quella portata in Italia è necessario risalire alla metà degli anni Ottanta, quando il miracoloso Verona di Osvaldo Bagnoli vinse il suo primo titolo di Campione d’Italia andando a interrompere il duello tra le regine di quel periodo: la “solita” Juventus di Boniperti e Trapattoni e la Roma di Dino Viola. All’inizio di quella stagione era difficile ipotizzare che qualcuno potesse inserirsi nella lotta per il titolo: nessuna delle formazioni classificatesi dietro Juventus e Roma negli anni precedenti sembrava avere la personalità e lo spessore tecnico per poter mettere in discussione il loro primato. Non le milanesi, alla ricerca di una leadership sul calcio italiano sfuggita di mano nei primi anni Settanta; non la Fiorentina, che dopo aver conteso lo scudetto alla Juventus fino all’ultima giornata nella stagione 1981-82, stava cominciando un lento declino che solo la stella di Roberto Baggio riuscirà a risollevare per qualche anno; non il Torino, la Sampdoria o il Verona, buone squadre sulla carta ma apparentemente non in grado di garantire qualità e consistenza per reggere agli urti di un intero campionato.

Furono invece i gialloblù a trovare l’alchimia giusta per andare ad aggiudicarsi uno scudetto impensabile, costruito sulle parate sghembe di Claudio Garella, le potenti discese sulla fascia sinistra dell’ex decatleta tedesco Briegel, le geometrie ragionate di Antonio Di Gennaro, i gol di Galderisi ed Elkjaer. Un vero gruppo gestito col buon senso e i sani valori di un tempo di cui si faceva interprete Osvaldo Bagnoli, il mago della Bovisa, incapace di grandi discorsi ma conoscitore di calcio e di uomini come pochi altri. E la Juventus di Platini? Appena sesta, concentrata per tutta la stagione quasi esclusivamente sulla finale di Coppa dei Campioni che si tradusse nella drammatica partita contro il Liverpool dell’Heysel. E la Roma vice campione d’Europa e d’Italia? Due punti indietro ai bianconeri, alle prese con un’annata interlocutoria nella quale cominciò non senza traumi a confrontarsi con una nuova identità che prescindesse da figure cattedratiche del calibro di Liedholm, Di Bartolomei e Falcao.
Altri tempi, altro calcio: meno organizzato, frenetico e compulsivo di quello attuale, nel quale gli spazi riservati a sorprese e improvvisazione sono compressi al lumicino. Quel lumicino che oggi è la speranza di non vedere il campionato già virtualmente assegnato durante le feste di Natale: che vinca il migliore, possibilmente all’ultima giornata.

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