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Sentenza Bosman 26 anni dopo: storia dell’uomo che cambiò per sempre il calcio

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Sentenza Bosman 26 anni dopo: storia dell’uomo che cambiò per sempre il calcio

Ieri 15 Dicembre, ricorreva la data in cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 1995 emise la sentenza Bosman, chiamata così per Jean-Marc Bosman, il giocatore belga responsabile di aver rivoluzionato il mondo del calcio, in particolare quello dei contratti tra club e atleti. Vi raccontiamo come si arrivò a questa decisione e che fine ha fatto oggi il calciatore.

Che fine ha fatto Bosman?

Di lui si sono perse le tracce per lunghi anni. Il nome dell’uomo che, con la sua battaglia, rivoluzionò il calcio europeo torna sulle pagine dei giornali nel 2012, non su quelle dello sport bensì quelle ben meno accoglienti della cronaca: Jean-Marc Bosman viene condannato dal tribunale di Liegi per violenza domestica nei confronti della compagna e della figlia di lei nel corso di una lite. Pur riuscendo a evitare la prigione grazie alla condizionale prima, e ai servizi sociali poi, è il punto più basso del percorso di vita di un ex calciatore che, dopo i promettenti esordi nel professionismo ha deciso di intraprendere una battaglia per rivendicare quello che ritiene un suo diritto e ridistribuire in modo più equo i soldi del calcio tra i giocatori. Il fatto che la sua vicenda lo ha poi visto isolato da quello che era il suo mondo, che lo ha trattato come un personaggio ‘scomodo’, e finire senza lavoro, con problemi di alcolismo e depressione non può che essere considerato una beffa.

Soprattutto se si considera il ruolo chiave da lui avuto nell’arricchimento dei suoi colleghi. Ma anche se Bosman riesce attualmente a mantenersi solo grazie a un sussidio statale non si è mai pentito di aver cominciato e portato a termine la sua battaglia.

Sono passati tanti anni da quando per il calcio è cambiato tutto. E’ il 1995, l’Ajax di van Gaal è campione d’Europa, la Juve di Lippi ha conquistato il primo campionato dell’era dei tre punti a vittoria e George Weah, primo calciatore africano nella storia del trofeo, sta per aggiudicarsi il Pallone d’Oro.

Perché Bosman?

In Belgio, un centrocampista poco conosciuto nel resto d’Europa sta da tempo sfidando il sistema: a Jean-Marc Bosman non va proprio giù l’esser stato trattato “come uno schiavo”. Dopo che il club con cui era in scadenza di contratto, l’RFC Liegi, gli ha negato il trasferimento ai francesi del Dunkerque non rinunciando all’indennizzo che all’epoca era previsto alla scadenza del contratto decide di andare fino in fondo, facendo causa.

Dunkerque, nel giugno del 1940, fu il teatro di una storica ritirata delle truppe alleate che portò al salvataggio di circa 340 mila soldati dall’accerchiamento delle truppe naziste: 55 anni dopo Bosman, forse involontariamente, con la sua battaglia per andare a giocare nella squadra della città portuale francese pone le basi per una decisa spallata simbolica e non solo alle limitazioni della libera circolazione dei lavoratori comunitari all’interno dell’Unione Europea. E a un mondo del calcio che da quel momento non sarà più lo stesso.

Gli Stati membri dell’UE sono da poco passati da 12 a 15, e il lungo tragitto verso la moneta comune è da tempo cominciato. Nei club calcistici del Vecchio Continente ciò non basta però ancora per azzerare le limitazioni al tesseramento e all’impiego di giocatori europei: fino a quel tempo l’Uefa permetteva di convocare massimo tre stranieri per le partite della neonata Champions League, della Coppa Uefa e della Coppa delle Coppe, mentre in Italia, dopo la chiusura totale degli anni ’60 e ’70, era consentito il tesseramento di quattro non italiani (ma con un tetto di tre in campo).

La sentenza Bosman: il calcio cambia per sempre

Il giorno della svolta è il 15 dicembre 1995: dopo cinque anni dall’inizio della causa, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dà ragione a Bosman, assimilando di fatto i calciatori agli altri lavoratori. Ne consegue la possibilità, per un giocatore comunitario, di trasferirsi gratuitamente (il cosiddetto ‘parametro zero’) alla scadenza del contratto con il proprio club e la decadenza delle limitazioni delle Federazioni sul numero dei calciatori dell’UE tesserabili e schierabili.

Per il calciomercato è una vera rivoluzione: le società perdono potere a vantaggio dei calciatori, che possono iniziare a guardare alla scadenza del loro contratto come un’opportunità e a valutare di trasferirsi in un altro campionato senza tanti problemi. In più di un’occasione il mancato rinnovo di un big scatena aste milionarie tra i club che fiutano l’affare di tesserare un giocatore senza pagarne il cartellino (o a pagarlo meno del reale valore se vicino alla scadenza del contratto): tra i protagonisti delle trattative iniziano a figurare gli intermediari e, mentre i procuratori diventano sempre più potenti, gli stipendi dei calciatori lievitano.

Nei cinque maggiori campionati europei il monte ingaggi totale passa dal miliardo di euro del 1995 ai 6,8 miliardi del 2013/14, crescendo in percentuale più del fatturato (da 2 a 11,3 miliardi di euro). Impressionante poi il dato dell’utilizzo dei calciatori stranieri in Serie A, ben 301 su 553 giocatori scesi in campo nel 2014/15 (il 54,4%). Da quelle che erano due finestre di una decina di giorni a luglio e a ottobre adesso la campagna trasferimenti ha date comuni in Europa, e dura tutta l’estate fino al primo settembre e tutto il mese di gennaio.

I contratti dei giocatori dopo la sentenza Bosman

Tra coloro che si avvalgono dello svincolo gratuito nel corso di questi vent’anni ci sono anche calciatori di livello eccelso all’epoca del loro trasferimento, come ad esempio Vialli (passato dalla Juventus al Chelsea nel 1996), Ballack (dal Bayern Monaco al Chelsea nel 2006), Pirlo (dal Milan alla Juventus nel 2011) e Lewandowski (dal Borussia Dortmund al Bayern Monaco nel 2014). Il boom economico che trasforma il calcio in quello show-business che non era ai tempi della sentenza porta anche a un cambio di priorità per i club e per i calciatori, per i quali spesso conta più partecipare alle competizioni più importanti (per poter intascare i soldi dei premi e dei diritti tv) che vincere.

Nonostante tali liberalizzazioni, la sentenza Bosman presto perde la sua spinta egualitaria di redistribuzione della ricchezza: ad approfittarne, infatti, sono quasi solo i calciatori più famosi e ricchi, e la maggior parte dei vantaggi economici se li mettono in tasca loro, e non i ‘comuni mortali’ come era ad esempio lo stesso artefice del cambiamento.

Quando da giovane Jean-Marc Bosman sognava di cambiare il calcio aveva in mente scenari molto diversi. Su tutti i fronti.

1 Comment

  1. Il calcio non lo ha cambiato Bosman, ma l’avv. Dupont e quelli che lo pagavano (non certamente Bosman che non se lo poteva permettere), ovvero gli stessi che lo pagano oggi per ricorrere contro il fair play finanziario.
    La sentenza Bosman è stata un vero disastro per il calcio, consegnando un potere contrattuale enorme nelle mani dei giocatori (procuratori): oggi il calciatore firma un contratto, se gioca bene chiede l’adeguamento, e glielo devi dare, altrimenti se ne va a scadenza senza accettare nè rinnovi nè cessioni, se invece gioca male te lo tieni e lo devi pagare quanto stabilito.
    A causa di ciò le piccole squadre falliscono a decine ogni anno, avendo gli stipendi come uscita quasi unica.
    Inoltre il vorticoso viavai di giocatori è acuito dall’enorme numero di stranieri in ogni campionato (io credo che gli extracomunitari con passaporto comunitario siano più dei comunitari veri) e questo ha praticamente annullato la fidelizzazione degli spettatori: un tempo andavi a vedere la squadra della tua città, ma anche del tuo paese, perchè ne conoscevi i giocatori, e anche la maggiorparte di quelli avversari; oggi cambiano ogni anno, spesso hanno nomi impronunciabili, e quindi te ne stai a casa a guardare in TV quelli che conosci.
    Si è persa (forse per sempre) la peculiarità non solo delle nazionali, ma soprattutto delle scuole calcistiche.
    La sentenza Bosman è fatta male perchè non si è tenuto conto della diversità del mestiere di calciatore rispetto agli altri, ma non viene modificata perchè ci sono interessi a che ciò non avvenga. Sarebbe anche facilmente agirabile, basta mettere un limite agli stranieri in campo, poi ogni squadra, nel rispetto delle norme comunitarie, ne assuma pure quanti vuole, ma anche questo non avviene.

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