Gli scontri dell’Olympic Stadium tra i tifosi del West Ham e quelli del Chelsea scoppiati nel corso della partita valida per la Coppa di Lega, vinta dagli hammers per 2-1 della scorsa settimana e finiti in mondovisione, hanno riacceso i riflettori sul fenomeno hooligans e gli episodi di violenza dentro e fuori gli stadi inglesi. Si è tornati a parlare di loro come se appunto gli hooligans fossero fantasmi del passato, spariti nel tempo e riapparsi tutti d’un botto, che l’Inghilterra vorrebbe lasciarsi alle spalle. Agli anni in cui la terra d’Albione era quasi più conosciuta per le gesta dei suoi tifosi dentro e fuori gli stadi che per quelle dei suoi calciatori sul rettangolo verde. A tal punto che la “lady di ferro” Margareth Thatcher, dopo l’immane tragedia dell’Heysel, decise per l’emanazione di leggi speciali per prevenire i casi di violenza. Fino ad ordinare la sospensione delle squadre inglesi alla partecipazione alle coppe europee. Come anche la ristrutturazione degli impianti sportivi con l’introduzione dei sistemi di videosorveglianza.
Ma furono le misure normative il fiore all’occhiello dell’epoca Thatcher. Che dapprima vietò la vendita degli alcolici alle partite, con lo “Sporting Event Act” nel 1985; poi introdusse la sanzione, con il “Pubblic Order Act” emanato l’anno successivo, per i comportamenti considerati “allarmanti” anche se non violenti, assegnando ai magistrati il diritto di impedire l’accesso negli stadi ai soggetti violenti (provvedimento simile al DASPO utilizzato oggi in Italia) e infine proibì, con lo Spectator Act del 1989, le trasferte all’estero per i tifosi già condannati. Poi, nel 1991 (quando la Thachter ormai non c’era già più), con il Football Offences Act, venne anche concesso l’arresto e il giudizio per direttissima per quei tifosi che si fossero macchiati solo di “violenze verbali”. Misure che poi, negli anni Novanta vennero confermate anche dai successivi governi e in particolare dall’esecutivo guidato da Tony Blair che andò anche oltre. E con l’approvazione del Football Disorder Act conferì poteri speciali per le gare delle squadre inglesi all’estero agli agenti di Scotland Yard i quali potevano arrivare a sequestrare il passaporto di un tifoso anche 5 giorni prima del giorno della partita.
Fu così, come si è ripetuto negli anni, che la Thatcher per prima, avrebbe sconfitto gli hooligans. Ma li avrebbe sconfitti per davvero? I fatti dell’Olympic stadium (come anche tanti altri prima rimasti fuori dall’obiettivo delle telecamere dei media) porterebbero ad escludere questa tesi. E a rimettere in discussione il cosiddetto “modello inglese” che il presidente del CONI Giovanni Malagò come disse nel 2014, avrebbe invece voluto che fosse applicato anche in Italia. Ma a mettere in discussione il “modello inglese”, fortemente repressivo, sono stati gli inglesi stessi.
Tra questi lo psicologo Clifford Stott, professore a Liverpool e studioso del fenomeno hooligans. Il quale, attraverso alcuni studi sui comportamenti dei tifosi (e in particolare quelli del Cardiff) è riuscito a dimostrare che per prevenire gli episodi di violenza, è necessario che la polizia adotti un atteggiamento “non conflittuale” verso i tifosi stessi. I quali, quando al contrario si sentono come minacciati, sarebbero più inclini a reagire in modo violento. L’approccio proposto da Stott e applicato negli anni dalla polizia di Cardiff, d’accordo con la società stessa, avrebbe prodotto risultati eccellenti: nella cittadina gallese, dove i tifosi locali si erano macchiati di gravi episodi di violenza (come alcuni incidenti scoppiati nel marzo 2001 o nel maggio 2002), gli arresti diminuirono in breve tempo del 50% così come gli episodi di violenza. Eppure però questo approccio più “soft” dello psicologo di Liverpool non ha mai trovato sulla stampa la stessa attenzione di quello più forte e repressivo proposto allora da Margareth Thatcher. Chissà se adesso, gli incidenti di Londra, che hanno confermato al mondo, se mai ce ne fosse stato bisogno che gli hooligans non sono affatto scomparsi, non diventino anche l’occasione per farlo.