In ogni storia pensiamo di trovare una morale, il bianco o il nero pece del male. Nel nostro vagare alla ricerca di assolutismo, vogliamo il mostro ben identificabile e lo vogliamo lontano da noi, oppure vogliamo emoticare le storie belle, quando le apprendiamo sui social. L’empatia a basso costo è ormai sdoganata.
La storia in questione, contiene così tante variabili, che alla fine si rischia di ritrovarsi al punto di partenza senza nemmeno sapere da che parte stare. Il giocatore che vedete si chiama Paolo Guerrero. Ha 34 anni e adesso gioca nel Flamengo, in Brasile. Un discreto passato anche in Europa con le maglie di Bayern Monaco, dove pareva un fulmine di guerra e Amburgo, dove non brillava manco il lampo.
Qualche mese fa, ottobre 2017, prima di una partita col Perù, Paolo è stato trovato positivo alla cocaina. Pertanto, gli sono stati comminati sei mesi di squalifica, che sarebbero passati senza intaccare o quasi la carriera del giocatore. A prescindere dal moralismo o dai giudizi facili, Guerrero avrebbe pagato il suo debito. E qui, oltre al caso personale del giocatore, scoperto, viene in ballo la parte comica. Infatti già le prime giustificazioni che non gli evitano la squalifica sono “ha bevuto un tè dove dentro c’era cocaina ma lui non lo sapeva”. Poco credibile, usando un eufemismo.
I legali del Flamengo e del giocatore, infatti, invece che accettare una squalifica già scontata di un terzo in appello, decidono di ricorrere al Tas, il tribunale arbitrale sportivo svizzero che decide sui casi controversi avendo potere sulle singole nazioni. Per avere del tutto l’annullamento della squalifica, decidono di affidarsi alla teoria della cocaina nelle mummie. Spieghiamo meglio. In pratica, gli avvocati sostengono che Guerrero non ha assunto cocaina prima della partita e quindi per alterare il risultato, ma l’ha presa addirittura settimane prima. E per dimostrarlo, portano in aula il caso di tre mummie Inca, di giovani sacrificati 700 anni fa, nelle quali gli studiosi hanno trovato dopo secoli, tracce di cocaina, o meglio, del suo principio attivo. La comicità potrebbe fermarsi qui, ma invece, non è la prima volta che si giustificano casi di doping in maniera surreale di fronte al tribunale. Un ciclista italiano disse che la nonna gli aveva dato le caramelle colombiane, oppure si disse che una sostanza di un atleta fu passata da un bacio. C’è di che ridere, anche per degli austeri giudici svizzeri. Ma stavolta, la teoria della mummia inca, fa inca…zzare i giudici, che da 6 mesi, aumentano la squalifica a 14. Con Guerrero cornuto e mazziato.
Il problema è che adesso, il buon Paolo, rischia di saltare il mondiale. Il Perù si è qualificato dopo ben trentasei anni, ovvero da quando vincemmo il mondiale con il nostro Paolo. Rossi.
Sarebbe l’apice della carriera di Guerrero, che peraltro è disposto a pagare il suo debito. E qui arriva la parte umana della vicenda. Infatti i capitani delle squadre che ai mondiali affronteranno il Perù, non sono rimasti a guardare. Mile Jedinak, Hugo Lloris e Simon Kjaer, rispettivamente capitani di Australia, Francia e Danimarca, hanno scritto una petizione pubblica, chiedendo alla Fifa quantomeno di sospendere la squalifica per il periodo dei mondiali. “Sarebbe il culmine della carriera di Paolo e noi, da avversari, vogliamo vederlo in campo”. Non un gesto da poco, se si considera che Guerrero non è proprio una scartina e averlo in campo non è una passeggiata di salute per chi lo affronta.
Anche Maradona, incappato nello stesso problema, ha chiesto a gran voce che si perdoni il giocatore. Intanto c’è da scriverne quantomeno una commedia surreale, tra tè alla cocaina, mummie strafatte da secoli e un giocatore, che speriamo non abbia bisogno di altre sostanze se non la fiducia in se stesso, se andrà ai mondiali. Anzi sì, avrà bisogno di un cuore, per dire grazie a tre capitani avversari, che ne hanno chiesto il perdono.