“Le commissioni sono un obbligo! Faccio saldi attivi di mercato da quattro-cinque anni per la Roma, e pago quante commissioni voglio se ritengo di poterle pagare perché vale la pena pagarle“. Parole e musica di Walter Sabatini, dal 2011 a Trigoria in qualità di plenipotenziario direttore sportivo. La sua avventura è terminata ieri con la rescissione del contratto con l’AS Roma. Trofei vinti nel quinquennio giallorosso: zero. Ma in un calcio in cui prevale, anzi domina, la logica del profitto, un dirigente di una grande squadra può evidentemente rispondere a tono, per non dire con arroganza, a quanto la critica gli contesta, ovvero una strategia di calciomercato indirizzata su alcuni determinati canali. E incentrata solo sull’incasso di plusvalenze e non sulla costruzione di una squadra ormai da quasi un decennio a secco di trofei.
Ma tant’è, anche questo è il calcio moderno: un universo in cui è prassi ‘oliare’ i meccanismi delle trattative con commissioni spesso faraoniche per agenti e mediatori, e in cui uno dei principali protagonisti della campagna trasferimenti della Serie A ha anche alle spalle una condanna alla radiazione. Colpa di un provino fatto fare nel 1999, quando Sabatini era il Ds dell’Arezzo, a un quattordicenne ivoriano, Dungai Fusini, che secondo alcune fonti sarebbe stato abbandonato al suo destino dopo aver visto sfumare l’occasione. Ne nasce un caso mediatico, con tanto di intervento del Governo: Sabatini viene squalificato per cinque anni con proposta di radiazione per aver “violato le norme previste per il tesseramento di un calciatore extracomunitario”. Nel 2003 scatta, inattesa, la radiazione: ma Sabatini ricorre in appello, e la Camera di Conciliazione e di Arbitrato del Coni dà ragione alla sua tesi, secondo la quale non potevano trascorrere più di tre anni tra la squalifica e sopraggiunta radiazione.
Sabatini può in tal modo ricominciare a lavorare nel calcio, mondo in cui aveva avuto un ruolo da protagonista in campo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Ala di grande talento, dopo essere esploso con la maglia della squadra della sua città, il Perugia, nel 1976 lo chiama il club di cui diventerà 35 anni dopo un personaggio fondamentale, la Roma. Ma con la maglia giallorossa le cose non vanno come si sperava, e il promettente umbro perde il posto a vantaggio di un talento del vivaio romanista, un certo Bruno Conti. Comincia così la parabola discendente del Sabatini calciatore, che lo vedrà concludere la carriera in Serie C2 a soli 29 anni.
Appesi gli scarpini al chiodo inizia a lavorare per il Perugia con vari ruoli, da tecnico a supervisore delle giovanili fino ad allenatore in seconda della prima squadra. Dopo essere stato responsabile, insieme a Dossena, del settore giovanile della Lazio di Cragnotti le cose iniziano a diventare serissime ad Arezzo, nel 1998: insieme a Cosmi sfiora una clamorosa promozione in Serie B, guadagnandosi la stima dell’ambiente per le sue doti di talent scout.
Archiviata la squalifica, vissuta come una profonda ingiustizia, la carriera di Walter Sabatini decolla: Claudio Lotito gli affida il ruolo di DS della sua Lazio, e i talenti scoperti con poco esborso di denaro, da Behrami fino a Lichtsteiner e Kolarov, sono tanti. Nel 2008 il dirigente umbro riparte da Palermo, piazza che sceglie per farne la sua utopia: l’obiettivo è la qualificazione in Champions League, che viene sfiorata nel 2010. Nel frattempo Sabatini porta in Sicilia giovani rampanti del calibro di Hernandez, Ilicic, Darmian e soprattutto Javier Pastore, che Zamparini venderà qualche anno più tardi al PSG per oltre 40 milioni di euro.
Il Ds rafforza i suoi contatti con il Sudamerica, dove inizia ad avere più di un canale preferenziale, e diventa uno dei protagonisti principali di un mercato in cui spicca il vuoto di potere post-calciopoli. “Sabatini è un uomo potente nel mercato italiano – ci ha spiegato l’avvocato Dario Canovi, il decano dei procuratori italiani -, ha molti DS amici o che ha aiutato a collocare, ma definirlo, come qualcuno ha fatto, ‘una piovra’ mi sembra esagerato. I suoi poteri non sono paragonabili a quelli di Moggi, che non erano solo sul mercato ma anche sulla Federazione e sulla classe arbitrale. Era un potere molto più addentrato e intriso nel calcio italiano, e questo non è il caso di Sabatini. Lui è un uomo potente sul mercato anche perché è il DS di un club che investe molti soldi, ma il suo potere non è paragonabile a quello di Luciano Moggi. Non c’è più un centro di potere come quello della GEA, che fino a dieci anni fa rappresentava un numero notevole di giocatori e allenatori, e tramite Moggi erano amici dei presidenti di tutti i club italiani. Questa situazione adesso non c’è più, ci sono tanti piccoli centri di potere. Le commissioni? Spesso ci sono degli interessi personali di alcuni presidenti. Altrimenti non si spiega il perché grandi club talvolta per acquisire giocatori di altri grandi club debbano servirsi di intermediari che magari non sono nemmeno gli agenti di quel calciatore. Questo spesso succede, e c’è una sola spiegazione, ovvero che c’è un interesse economico di uno dei due club a far intervenire quell’intermediario: una delle due parti (chi vende e chi compra) ne ha bisogno per poter lucrare”.
L’attenzione di Sabatini per i talenti di tutto il mondo è quasi maniacale, e quando la Roma passa nelle mani della proprietà americana lo staff dell’allora presidente Thomas Di Benedetto vede in lui il dirigente ideale per un club che vuole assicurarsi i migliori giovani in circolazione. Sabatini prima si divide i compiti con Baldini, ex Direttore Generale della Football Association inglese con cui la convivenza durerà meno di due anni: la scelta di rompere nettamente con il passato puntando su un allenatore dalle idee certamente innovative ma con nessuna esperienza ne’ in Italia ne’ alla guida di un ‘vero’ club come Luis Enrique si rivela fallimentare. Come fallimentare è il tentativo di continuare a stupire scegliendo Zeman per poi non sostenerlo e sostituirlo con Andreazzoli, noto a Trigoria e dintorni per essere stato un collaboratore di Spalletti, di cui ora è il vice. Intanto a Roma arrivano decine di giocatori, da talenti veri come Pjanic, Lamela e Marquinhos a meteore come Bojan, Osvaldo, Stekelenburg e Piris.
La Roma tocca il fondo il 26 maggio 2013, quando in un’inedita finale di Coppa Italia con la Lazio perde il titolo e l’onore: Baldini si dimette, Sabatini invece rafforza il suo potere scegliendo Rudi Garcia come nuovo condottiero: all’inizio le cose vanno alla grande, con la Roma che vola in campionato grazie alle prime 10 gare di campionato vinte e trova un inedito equilibrio grazie agli arrivi di Strootman e Benatia. Intanto, in estate, il club ha ceduto a peso d’oro due gioielli come Marquinhos e Lamela, iniziando a dimostrare di avere più a cuore le plusvalenze che il progetto tecnico. L’illusione Garcia dura un anno e mezzo: umiliata dal Bayern Monaco in Champions League la squadra si ridimensiona anche in campionato, e il secondo posto ottenuto faticosamente al termine della scorsa stagione assomiglia tanto a un tappeto dove nascondere la polvere.
Intanto Walter è sempre più il re del mercato, anche se attira su di sé le critiche per alcune commissioni concesse ad alcuni agenti e per la scelta di vendere altri giovani come ad esempio Romagnoli: nella relazione finanziaria al 30 giugno 2015 pubblicata dalla Roma spiccano gli oltre 20 milioni di euro alla voce ‘Oneri accessori – compensi ad intermediari’, parte dei quali (come i 3,1 milioni per il semisconosciuto Radonic) di difficile comprensione. Come non sono facilmente spiegabili alcuni investimenti, come quello di un milione di euro bonificato al Catania per il prestito di sei mesi di Spolli due stagioni fa.
Sabatini ha diversi canali preferenziali con alcuni dei più importanti agenti, ed è successo anche che un calciatore, prima di firmare con la sua Roma, abbia cambiato procuratore scegliendone uno di fiducia del DS: è il caso ad esempio di Gerson, promessa brasiliana strappato in estate a peso d’oro alla Fluminense, che si è affidato a Calenda (che ha trattato lo sbarco a Trigoria anche di Maicon, Marquinhos e Dodò) prima di accordarsi con i giallorossi. Canovi, pur non parlando di questo caso nello specifico, ha cercato di spiegarci il meccanismo di un fenomeno sempre più frequente: “Ci sono sempre più procuratori che lavorano per un solo club. Si verifica soprattutto in Italia: alcuni club fanno in modo che i giovani calciatori e non solo siano indirizzati verso un determinato procuratore, facendogli abbandonare chi li ha assistiti fino a quel momento. Questa è un’operazione scorretta nei confronti del giocatore e nasconde degli interessi economici di qualche dirigente di quel club”.
La rescissione consensuale del contratto tra la AS Roma e il direttore sportivo pone fine al quinquennio targato Sabatini. Per ripartire la squadra capitolina avrebbe scelto Frederic Massara, che ha già collaborato con il dirigente umbro ai tempi del Palermo. Per lui, il compito di sostituire un personaggio carismatico, fuori dagli schemi e cercare di riportare un titolo nella bacheca dei giallorossi. Cosa che Sabatini, in questi 5 anni, non è riuscito a fare.
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