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Rugby sotto accusa: “Giocatori come macchine. Troppi farmaci”

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Nel circo mediatico che ruota attorno allo sport, il Rugby ha sempre avuto il ruolo di anima candida, legata ancora ai valori originari della lealtà e correttezza. Eppure pochi giorni è stato lanciato un allarme sulla situazione che sta vivendo la palla ovale, specificatamente per quel che riguarda le prestazioni degli atleti, costretti a fare i conti con le ambizioni della squadra e i ritmi frenetici richiesti dai vari campionati. A richiamare l’attenzione sono state le dichiarazioni del Presidente del sindacato dei rugbisti francesi, Robins Tchale Watchou, evidenziando come ormai il Rugby sia diventato, al pari di altri sport, una disciplina sforna macchine: “Un tempo il rugby costruiva degli uomini. Oggi costruisce delle macchine“.

L’uso indiscriminato di farmaci, anche se legali, avrebbe portato a situazioni insostenibili per i giocatori e, sempre secondo il camerunese, seconda linea del campionato francese, tuttociò avrebbe causato sindromi depressive, rischio di disabilità e tentativi di suicidio. A finire sul banco degli imputati anche i medici i quali non avrebbero il coraggio di dire di no nei casi in cui, per esigenze di risultati, le società sportive richiedono la presenza dei loro atleti anche nelle situazioni in cui dovrebbero rimanere a riposo: “Il dottore è in una posizione difficile. E’ responsabile della salute degli atleti, ma è sotto pressione perché la sua diagnosi non deve influire sulle prestazioni dell’atleta: e sa che quello vuole giocare a tutti i costi, che il club vuole vincere“.

Il risultato sono giocatori stremati e spremuti fino al limite. Watchou è lapidario anche quando parla alle nuove generazioni: “Non riusciranno mai a giocare sino alla mia età, se continuano così. Quando finirò mi porterò dietro un sacco di lividi, ma loro prima dei 30 anni andranno sotto il chirurgo almeno 3 o 4 volte“. La conclusione per il rappresentante dei rugbisti in Francia è solo una e non certo positiva: “Il lato umano era al centro dello sport, la chiave di tutto: ma se perdiamo questo presupposto, dove andremo a finire?

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