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Rugby e Omosessualità, Iezzi e Capone: “Il Bacio in copertina? Un atto di coraggio”

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«Anche il diverso presuppone che ci sia un normale. Credo che sia più un problema di linguaggio. Noi non ci sentiamo diversi anche se tante cose ci rendono diversi dagli altri, non solo l’omosessualità. Forse più che diversità bisognerebbe iniziare a parlare di unicità». Si raccontano così Stefano Iezzi e Giacomo Capone, la coppia di rugbisti omosessuali divenuta famosa per il bacio pubblicato sulla copertina del settimanale SportWeek, immortalati nell’ambito dell’evento rugbistico organizzato a Milano da Althea Sughi, partner di Libera Rugby, prima squadra gay-friendly d’Italia. Un grido contro la diversità e l’invisibilità. Una provocazione ma soprattutto un atto di coraggio che è servito soprattutto a fare discutere e riflettere tanto che oggi “inclusività” è sinonimo di lotta contro i pregiudizi.

Parteciperete, a titolo personale e non come squadra, al Giacinto Festival dove racconterete le fiabe gender ai bambini. Com’è nata questa bella iniziativa?

«L’idea di leggere le fiabe gender è stata di Luigi Tabita, il direttore artistico del Giacinto Festival. Ci ha contattati chiedendoci se volevamo partecipare al festival per raccontare le fiabe gender ai bambini. Ci è subito sembrata un’iniziativa molto bella, originale e interessante, così abbiamo accettato molto volentieri».

Considerando che il rugby è uno sport prettamente maschile, il famoso bacio sulla copertina di SportWeek è stato più un atto di provocazione o di coraggio?

«In realtà la foto della copertina è nata quasi per caso. Ci trovavamo a Milano per un evento sportivo rugbistico. Alla fine della partita, nello spogliatoio c’era il fotografo che preparava un servizio fotografico relativo alla squadra. Vedendo che eravamo una coppia ci ha chiesto di posare per uno foto. Solo dopo ha chiesto se potevamo baciarci. Ti confesso che abbiamo accettato con un certo imbarazzo. A quel punto il direttore di SportWeek, vedendo che la foto era di forte impatto, ha deciso di orientare tutto il settimanale di quell’edizione su sport e omosessualità, chiedendoci se poteva mettere la foto del nostro bacio in copertina. Abbiamo riflettuto un bel po’ su quello che poteva successivamente significare la pubblicazione di quella foto. Oggi possiamo dire con certezza che siamo contenti di avere accettato. E’ stata una scelta giusta e soprattutto utile perché abbiamo ricevuto tanti messaggi di ringraziamento da parte di ragazzi omosessuali. Quindi è stata una provocazione ma al tempo stesso un atto di coraggio. E la cosa più importante è stato parlare di un tema così importante».

L’omosessualità nello sport è ancora un tabù?

«In generale, anche in base alle nostre esperienze passate, c’è ancora molto da fare e possiamo ancora definirlo un tabù. Ci sono ragazzi non riescono a parlare tranquillamente di omosessualità con i loro compagni di squadra e molti allenatori ancora utilizzano aggettivi omofobi per spronare i ragazzi. Molte associazioni e società sportive non sono ancora mature a tal punto da avere un ambiente inclusivo».

Era il 2013 e Stefano Iezzi fondava Libera Rugby Club,  la prima squadra di rugby gay-friendly ed inclusiva in Italia. Perché questa scelta?

«E’ vero, è stata una mia idea. Però bisogna dire che già esistevano due squadre simili in Europa. Squadre totalmente gay. Quello che invece interessava a me era fondare una squadra che promuovesse l’inclusività dello sport. Ovvero un ambiente dove l’integrazione fosse di casa. Ecco perché è nata Libera, una squadra composta sia da giocatori etero che omosessuali».

Quando lo sport diventa scuola di vita?

«Noi consideriamo il rugby una piccola comunità. Si gioca in 15 e ognuno ha una sua tipologia fisica. Si impara a stare insieme, a comunicare e soprattutto a sostenere il prossimo. E’ questo il concetto fondamentale della nostra squadra. Abbiamo creato un luogo protetto dove tutti possono praticare lo sport serenamente. Al tempo stesso, però, ci confrontiamo anche con le altre squadre, soprattutto romane, in partite amichevoli. Quindi affrontiamo anche il mondo esterno. In questo caso possiamo dire che lo sport diventa scuola di vita».

Siete favorevoli alle adozioni gay?

«Siamo assolutamente favorevoli. Appoggiamo più il concetto di adozione che altro».

Cos’è la diversità per un omosessuale?

«Diciamo che il concetto di diversità è antipatico quanto quello di normalità. Anche perché si può dire che oggi la normalità non esiste più. Anche il diverso presuppone che ci sia un normale. Credo che sia più un problema di linguaggio. In un certo senso siamo tutti differenti. Noi, in realtà, non ci sentiamo diversi anche se tante cose ci rendono diversi dagli altri, non solo l’omosessualità. Forse più che diversità bisognerebbe iniziare a parlare di unicità…».

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  1. Davvero una bella intervista. Essenziale, introspettiva e lontana dai luoghi comuni e dalle banalità. E’ ora di integrazione. E’ vero, bisogna parlare di unicità.

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