Quello che, a stagione quasi conclusa, sta forse passando inosservato, è il Chievo dei miracoli 2.0, capace di ottenere la salvezza con largo anticipo stabilendosi nella parte sinistra della classifica per quasi tutta la durata del campionato. Una squadra operaia, come le origini del suo allenatore: il trentino Rolando Maran, tecnico silenzioso e umile che ha saputo dare una quadratura solida a buona parte delle squadre allenate.
Origini trentine – L’eredità dell’azienda edile di papà Rino, specializzata in pittura e rivestimenti, è nelle mani dei fratelli maggiori Lino e Florio, imprenditori che però hanno sempre avuto la passione per il calcio, in una famiglia di origini operaie con forte dna milanista, trasmesso sino al più piccolo Rolando, che amava però lo sport in molte forme: pallavolo, sci, golf, ma il calcio è stata la vocazione più forte di tutte, emulando un idolo personale: Gianni Rivera. La carriera di Maran comincia nella terra natia, a Trento. Si accontenta del diploma in ragioneria nonostante i professori lo esortassero a studiare di più, ma sui campi di calcio dove apprende più volentieri, sotto l’istruzione di Ciccio Franzoi, emblema del calcio trentino e primo allenatore di Maran negli allievi. Prima maglia a Riva del Garda, prima del passaggio proprio al Chievo, dove diventa un difensore con un piccolo vizio del gol (11 in 208 presenze). I suoi recenti successi sulla panchina dei clivensi rappresentano quasi un segno del destino. Perché dal Chievo, è iniziata anche la carriera da coach per Rolando Maran, con un altro maestro: Silvio Baldini, che lo chiama come vice dopo averne notato «doti di potenziale allenatore di arcigno e autorevolezza» quando lo allenò alla Carrarese nel 1996. L’attitudine infatti, è più da panchina e che rettangolo di gioco, e Maran comincia una graduale carriera che lo porta sino alla Serie A, a dieci anni dalla sua prima panchina al Cittadella, dal 2002 al 2005, anche qui con la gavetta, dalle giovanili alla prima squadra.
A Brescia l’esperienza più amara: viene esonerato a dieci giornate dalla fine, subentra Zeman ma i playoff sfumano lo stesso, e Corioni ammette l’errore: «non avrei dovuto esonerare Maran». Riparte da Bari, dove invece non convince e viene esonerato a febbraio, quindi il ritorno al nord, due anni alla Triestina, poi Vicenza, esonerato e richiamato per la salvezza, e infine Varese, dove raggiunge il risultato più importante nella sua carriera in serie cadetta: la finale di playoff per la Serie A, persa contro la Sampdoria. L’impresa varesina gli vale la chiamata sulla panchina del Catania, per prendere l’eredità di Vincenzo Montella. Riesce invece a fare meglio: record di punti (56) e ottavo posto. Non riesce però a ripetersi nella stagione storta degli etnei, avvio del loro declino. Lascia la panchina dopo cinque k.o consecutivi, dovendo comunque patire due esoneri nella confusione di un Catania destinato alla retrocessione. Resta inattivo da aprile a ottobre 2014, quando compie il ritorno all’ovile, c’è da salvare il Chievo.
Di nuovo al Chievo – Maran ritorna da dove aveva cominciato. I clivensi vogliono mantenere la Serie A, realtà alla quale hanno saputo cucire squadre non spettacolari ma adatte alla salvezza, puntando soprattutto sull’esperienza e sul consolidamento di vari senatori sul campo (età media della squadra, 30 anni). Sergio Pellissier è ancora lì ed è a quota 99 reti in A con il Chievo (dove giocherà sino a quarant’anni) Paloschi, l’attaccante più prolifico degli ultimi anni, ha detto addio solo al cospetto della Premier League. Quando Maran arriva al Chievo a ottobre 2014, è un cambio di bandiera: Eugenio Corini gli passa il timone, nella continuità di chi ha lasciato un segno nella realtà operaia del calcio veronese, che con Maran ha assunto tutte le sue forme mostrando un gioco pulito e attendista. Il Chievo è in fondo alle statistiche per percentuale di palle utili in fase d’attacco, eppure non ha mai avuto un minimo affanno nel portare a casa l’ennesima salvezza. Nel momento di flessione ha avuto il coraggio di cambiare modulo, e dopo la cessione di Paloschi ha saputo affiancare a Meggiorini le alternative Inglese, Floro Flores e il sempreverde Pellissier (poco spazio invece per il giovane Mpoku).
La gestione Maran è un segnale importante per sottolineare che i miracoli del Chievo non sono solo nel ricordo della grande squadra che allenò Luigi Delneri. Nella scorsa stagione, Maran ha chiuso a quota 43 punti al 14° posto prendendo una squadra in crisi di gioco e quasi di identità. La conferma è stata automatica, la dirigenza saggiamente non corre rischi e intuisce che Maran può mantenere il Chievo in A. Oggi i punti sono 49, la posizione è la nona, dietro a Sassuolo,Milan e Lazio. Nella rosa tanti giocatori che militano in gialloblù da anni: Gobbi, Cesar, Sardo, Frey, Hetemaj, Rigoni, Radovanovic. Nelle ultime due stagioni è stato il team della rinascita per Simone Pepe, la consacrazione in A per Walter Birsa, la conferma per Albano Bizzarri dopo anni da vice-portiere, quest’anno la porta della Serie A per Roberto Inglese.
Migliorare il dato dei 56 punti dell’era Delneri è ormai aritmeticamente impossibile per i ragazzi di Maran che, però, nel silenzio generale, ha saputo imbastire un miracolo 2.0. La media punti del suo Chievo è di 1.3, la media spettatori è in crescita (qui una panoramica) rispetto alle ultime quattro stagioni. A 52 anni, la stagione che sta concludendo col Chievo potrebbe essere un passaporto per panchine da big. Dopo Sarri, è tempo per gli allenatori di provincia? Alla viglia del match contro il Chievo, Violanews ha avanzato un interesse dei Della Valle per un eventuale dopo-Sousa. Senza appeal ma con senso del dovere ed un’intelligente capacità di leggere le partite e di gestire rose operaie, Maran potrebbe essere una nuova soluzione per chi punta oltre la semplice permanenza in A.
FOTO: www.chievoverona.it