“In Europe and America there’s a growing feeling of hysteria. Conditioned to respond to all the threats in the rhetorical speeches of the Soviets”. E’ Sting, ex front man dei Police, che nella primavera del 1986 canta forse l’ultima canzone che parla in termini preoccupati della Guerra Fredda e della connessa minaccia nucleare che aleggia da tempo sulla Cortina di Ferro che divide il mondo capitalistico occidentale da quello comunista guidato dall’Unione Sovietica. Si, perché ormai da tempo i capi delle due grandi superpotenze, Ronald Reagan per gli Stati Uniti e Michail Gorbacev per l’Urss, stanno portando avanti le trattative per il disarmo che porteranno di lì a tre anni al crollo del muro di Berlino e alla caduta del sistema sovietico.E, a proposito di minaccia nucleare, è dell’aprile del 1986 il grave incidente che coinvolse la centrale di Cernobyl, che comportò la contaminazione dei territori circostanti la città ucraina e il levarsi di una nube radioattiva che volò verso l’Europa.
Nel periodo antecedente il mondiale, anche la natura mise la sua firma sul libro degli eventi catastrofici: il 19 settembre 1985, infatti, un terremoto devastante (magnitudo 8,1 della scala Richter) sconvolse il Messico, futuro organizzatore della tredicesima edizione delle coppa del mondo FIFA, causando un numero di morti mai definitivamente accertato, oscillante tra le 4.000 e le 40.000 persone. Il paese centroamericano, nonostante la tragedia, riuscì comunque a rimettersi in piedi in tempo per garantire il regolare svolgimento della competizione, della cui organizzazione aveva ereditato il testimone dalla Colombia nel 1983, quando risultò evidente che tale stato non sarebbe riuscito a garantire gli standard fissati dalla FIFA per poter gestire un mondiale. Il Messico, con una serie di strutture già collaudate sedici anni prima, divenne così il primo paese a ospitare due volte la manifestazione che, nell’occasione, cambiò nuovamente formula, tornando all’eliminazione diretta in un tabellone che prevedeva la qualificazione agli ottavi di finale delle prime due classificate di ogni girone alle quali si aggiungevano le quattro migliori terze.
L’Italia volò in Messico per difendere il titolo conquistato quattro anni prima a Madrid. Bearzot, alla sua ultima esperienza da commissario tecnico, scelse una selezione che cercava di combinare al meglio l’esperienza degli eroi spagnoli con le risorse che aveva messo in evidenza il campionato. Il risultato fu quello di una squadra incompiuta, ormai logora in molti dei suoi reduci (Cabrini, Scirea, Conti per non dire di Tardelli e Rossi che non giocarono nemmeno una partita) e inadeguata negli elementi di ricambio (Galli, Di Gennaro, Baresi, un ancora acerbo Vialli) che si spense agli ottavi di finale al cospetto di una Francia che fece della partita un monologo senza dibattito. Fu un mondiale con molte stelle, alcune delle quali alla loro ultima apparizione (Falcao, Zico, Socrates, Platini), altre in piena ascesa (Butragueno, Lineker). Vinse la più splendente di tutte, Diego Armando Maradona, che in quel mondiale mostrò probabilmente il meglio delle sue qualità infinite, portando in scia alle sue magie una squadra di onesti gregari impreziosita da pochi buoni giocatori (Burruchaga su tutti) e un campione: Jorge Valdano. La Germania Ovest, per la quarta volta nelle ultime sei edizioni dei mondiali, arrivò in finale riuscendo a cullare per tre minuti il sogno di vincere grazie alla sua indomita forza di volontà, che Rummenigge e Voeller sostanziarono in una insperata rimonta. Non era ancora il tempo di riportare a casa quella coppa che, nel 1986, spettava di diritto a un piccolo argentino che del calcio era messia più che profeta.
I RISULTATI
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LE CURIOSITA’
Galli o Tancredi?
La nazionale azzurra arrivò alla vigilia del mundial 86 senza la certezza di un portiere titolare. Nei due anni precedenti la spedizione in Messico, il CT Bearzot alternò Giovanni Galli e Franco Tancredi con simmetrica precisione nelle amichevoli disputate per rodare il gruppo e preparare al meglio la difesa del titolo mondiale. Solo pochi giorni prima dell’esordio, il tecnico friulano sciolse le riserve a favore del numero uno toscano che però, durante il torneo, non riuscì a dimostrare la sicurezza che solitamente esibiva in campionato. Due anni senza certezze, forse, più che accelerare le motivazioni minarono l’autostima.
Cavalleria, questa sconosciuta
I ventidue tedeschi selezionati per disputare il mondiale vissero l’avventura messicana senza il conforto delle proprie compagne. Sì, perché, a differenza che in passato, nel 1986 le spese per il soggiorno di mogli e fidanzate dei teutonici era a carico dei calciatori, motivo per il quale gli stessi decisero di non farsi accompagnare.
Happy birthday Pat…
Il 12 giugno 1986 si gioca l’ultima partita del girone eliminatorio tra Brasile e Irlanda del Nord. Più che il risultato, un rotondo 3-0 per i sudamericani, passa agli annali un doppio dato: il quarantunesimo compleanno di Pat Jennings, portiere della squadra britannica, e la sua 119° e ultima presenza in nazionale, dopo ventidue anni di onorato servizio. Jennings, che aveva esordito con la sua rappresentativa il 15 aprile 1964 insieme a George Best, è stato uno dei migliori portieri di sempre non solo della Gran Bretagna ma di tutto il calcio mondiale.
…e bon anniversaire Michel!
Anche a Michel Platini capita di giocare una importante partita dei mondiali nel giorno del suo compleanno, il trentunesimo. Il 21 giugno, a Guadalajara, Francia e Brasile si affrontano in un equilibrato quarto di finale che costringe le due squadre ad andare prima ai supplementari e poi ai rigori. Le Roi, però, sembra non aver voglia di festeggiare: quando è il suo turno, sbaglia. Saranno gli errori dei brasiliani e il rigore decisivo segnato da Fernandez a portare i galletti in semifinale.
Le vie del Mundial sono infinite
Daniel Passarella, capitano dell’Argentina campione del mondo nel 1978, faceva parte dei ventidue selezionati dal CT Bilardo anche in Messico. Non giocò però nemmeno un minuto, costretto ai margini del campo da una prolungata quanto anomala “vendetta di Montezuma” che, a detta dei più maligni, in realtà nascondeva le incomprensioni con l’altra personalità forte del gruppo dell’Albiceleste, Maradona. La sua indisponibilità aprì le porte della gloria a un difensore centrale che nell’annata precedente aveva disputato appena cinque partite nella sua squadra di club, peraltro tutte prima di Natale: Josè Luis Brown, il Tata, che andò addirittura a segnare il primo gol della vittoriosa finale contro la Germania Ovest.
Mas que un futbolista
Dell’Argentina campione del mondo nel 1986 si è più volte detto che, Maradona a parte, non disponeva di una rosa di grandi giocatori. Palese eccezione all’assunto era costituita da Jorge Alberto Valdano, attaccante che mise a segno quattro gol durante la competizione, uno dei quali in finale. Calciatore tecnico e intelligente, come molti colleghi dalle qualità intellettive superiori alla media terminò la carriera ancora giovane, un anno dopo la vittoria del mondiale, per intraprendere altre strade nelle quali poter misurare le sue capacità. Ricoprì nel tempo i ruoli di allenatore, dirigente e apprezzabilissimo scrittore, avendo pubblicato “Il Sogno di Futbolandia” e “Le Undici Virtù del Leader. Il Calcio come scuola di vita”. Soprattutto il primo libro mette in evidenza le doti umane di un personaggio che, lontanissimo dallo stereotipo del giocatore di calcio, attraverso i gustosi aneddoti riportati, racconta un calcio che è espressione di quei sentimenti positivi e di quella bellezza che sanno incantare gli appassionati sin da bambini.
LA FINALE
Il 29 giugno 1986 allo stadio Azteca di Città del Messico, Germania Ovest e Argentina sono pronte a compiere l’ultima fatica prima di tornare a fregiarsi del titolo di campione del mondo, gustato otto anni prima dai sudamericani a Buenos Aires e nel 1974 in casa dai tedeschi. La Germania scende in campo con una improponibile divisa verde, poco gradita agli stessi giocatori. Per Franz Beckenbauer, che in questo stadio giocò il famoso “partido del siglo” contro l’Italia nel 1970, non è questo il motivo di preoccupazione principale, che in realtà verte sulla necessità di impedire a Maradona di esprimere le sue giocate. Allo scopo, decide di sacrificare sull’altare della marcatura del Pibe de Oro Lothar Matthaus, privandosene in fase di costruzione del gioco: sulla carta, per Kaiser Franz, il trade off dovrebbe essere positivo. Matthaus esegue alla lettera le disposizioni del mister, innervosendo a tal punto il fuoriclasse argentino da costringere l’arbitro brasiliano Filho ad ammonirlo. L’impostazione tattica della partita lascia poco spazio alla fantasia e il risultato riesce a sbloccarsi al 23° grazie a un improvvida uscita del portiere Schumacher che va letteralmente a vuoto su un cross dalla destra di Burruchaga: colpo di testa di Brown, rete. La reazione dei tedeschi, con poca fantasia in mezzo al campo visto il sacrificio di Matthaus in marcatura, è piuttosto sterile. Anzi, è l’Argentina a raddoppiare al 56° quando Jorge Valdano, ben smarcatosi sulla tre quarti campo, riceve palla e prosegue verso la porta di Schumacher, beffato in uscita con un diagonale indirizzato sul secondo palo.
La Germania sembra non avere la capacità di reagire, così Beckenbauer cambia il piano tattico: riconsegna Matthaus ai suoi compiti naturali e alterna la marcatura su Maradona tra centrocampisti e difensori. E’ l’esecuzione di due calci d’angolo a riportare in partita la Germania, che sfrutta la sua maggiore forza fisica e forse un calo di concentrazione dei sudamericani per pareggiare: gol di Rummenigge al 74° e di Voeller all’81°. La gioia dei tedeschi, però dura poco più dello spazio di un respiro perché all’84° Maradona, in mezzo a tre avversari che non possono far altro che osservarlo, libera Burruchaga con un passaggio che assomiglia a un passo di danza. L’autore dell’assist del primo gol si invola verso la porta di Schumacher, resiste al tentativo di recupero di uno stremato Briegel e, arrivato in area a pochi metri dal portiere tedesco, lo infila con un altro diagonale che finisce in rete la sua traiettoria. Non ci sono più tempo ed energie perché il risultato cambi nuovamente: l’Argentina e il suo capitano possono festeggiare quella che, ad oggi, rimane l’ultima affermazione dell’Albiceleste ai mondiali.
I PROTAGONISTI
Diego Maradona – A sedici anni dalla definitiva incoronazione di Pelè, l’altro prodigio assoluto del calcio di tutti i tempi regalò al mondo la massima espressione di se stesso sulle alture messicane: per gli amanti del calcio, estasi pura. Maradona arrivò al mondiale in uno stato di forma psico-fisico mai raggiunto né prima né dopo quell’evento. Ventiseienne, idolo di Napoli, fuoriclasse senza rivali, Diego fu il trascinatore inarrestabile di una nazionale con pochi giocatori sopra la media (Valdano escluso) che seppe bissare il successo di otto anni prima grazie alle inarrivabili prestazioni del Pibe de Oro, decisivo ogni volta che ce ne fu bisogno. A partire dalla prima partita importante, quella contro l’Italia, quando mise il suo sigillo al risultato che rese più difficile l’ultima partita del girone degli azzurri contro la Corea, fino a scatenarsi con le doppiette con Inghilterra e Belgio, viatico ineluttabile verso la vittoria finale. Inutile dilungarsi sulle sue qualità tecniche: basti pensare che riusciva a palleggiare all’infinito con una pallina da ping pong. Spesso fuori dall’ordinario anche le sue dichiarazioni fuori campo, a partire da quell’irridente “mano de Dios” che mandò in tilt i sudditi di Sua Maestà anche nel post partita. Un leader assoluto per ascendente verso i compagni, tutti in adorazione nei suoi confronti, e per doti tecniche: quando la squadra era in difficoltà, dare palla a lui significava risolvere i problemi.
Maradona non esaurì in Messico le sue esperienze ai mondiali, ma quelle successive (nel 1990 in Italia e nel 1994 negli USA) non dettero valore aggiunto alla magnificenza calcistica che dispensò nell’86 nella terra dei Maya. Tanto che venne da pensare che, se fosse esistito un dio del calcio, Diego non avrebbe potuto che esserne il figlio legittimo.
Gary Winston Lineker – Tra i migliori attaccanti mai espressi dal calcio inglese, Gary Lineker vinse il titolo di capocannoniere di Messico 86 nonostante l’Inghilterra vide interrompersi il suo percorso davanti alle prodezze di Maradona nei quarti di finale. Non potendo contare su un fisico portentoso, Lineker aveva nella tecnica e nella velocità d’esecuzione le sue doti più evidenti, che in nazionale sfruttò per diventare il terzo miglior marcatore di sempre (dietro a Wayne Rooney e Bobby Charlton) nonché il miglior goleador nelle fasi finali dei mondiali. Oltre alle sei reti firmate nell’86, infatti, Gary (il cui secondo nome, Winston, gli venne dato in considerazione del fatto che nacque il 30 novembre, giorno del compleanno di Churchill) ne fece altri quattro a Italia 90. Per lui il 1986 fu un anno d’oro: oltre al titolo di Pichichi, dopo il mondiale si trasferì al Barcellona. Due le curiosità legate al suo nome: la correttezza in campo (in tutte le partite ufficiali disputate, più di cinquecento, nessun arbitro estrasse mai un cartellino nei suoi confronti) e la frase, diventata ormai celebre, con la quale esaltò la forza di un avversario storico come la Germania:”Il calcio è un gioco semplice: ventidue uomini rincorrono un pallone per novanta minuti, e alla fine la Germania vince”. Fair play anche questo.