/

Rivista al…Bar: il commento della Serie A di Paolo Valenti (trentottesima giornata)

Inizia la lettura
/
6 mins read

Rivista al…Bar: il commento della Serie A di Paolo Valenti (trentottesima giornata)

Milano, alla fine, s’è tinta di rossonero. E’ vero che si trattava, a questo punto, della conclusione più prevedibile, ma le sorprese continue che ha riservato questo campionato permettevano comunque di aprire la vista verso un ultimo, inopinato ribaltone. Invece il Milan è andato a Reggio Emilia col piglio dello squadrone, mettendo paura sin dai primi minuti a un Sassuolo assolutamente inadeguato a fronteggiare una situazione dal potente impatto emotivo come quella che era chiamato a sostenere, dando spesso, nel corso del primo tempo, l’impressione di uno sparring partner rimediato tra i valligiani di un improvvisato ritiro estivo.

Non c’è voluto molto per capire che lo scudetto stava per scivolare sulle maglie di un club che, sin dalla prima giornata, ha saputo costituire un’unità omogenea dalla dirigenza alla squadra, passando per le intuizioni della direzione tecnica gestita da Maldini e Massara e resa operativa ed efficace dalle scelte di Pioli. Questo scudetto è il (primo?) punto di arrivo della crescita costante di un gruppo che ha saputo credere nella capacità di migliorarsi giorno dopo giorno, dapprima attingendo alla leadership matura di Ibrahimovic e poi affrancandosene attraverso la focalizzazione sull’obiettivo che portava al conseguimento dei risultati. I rossoneri sono stati in testa, si sono fatti riprendere, hanno inseguito e, nella lunga progressione finale, hanno allungato senza tentennii che i suoi avversari hanno aspettato invano.

Uno scudetto meritato, reso ancor più prezioso dal fatto di non avere la miglior rosa del campionato. Quella che aveva l’Inter che, nel confronto coi cugini, ha pagato la sconfitta nel derby di ritorno e la tragica serata di Bologna. Ma non sono stati solo gli episodi a relegare i nerazzurri alla piazza d’onore. Le difficoltà di inizio stagione ad assorbire le perdite di tre elementi fondamentali nella vittoria dello scorso anno (Conte, Hakimi e Lukaku), seppur ben rimpiazzati, e l’impegno di Champions League contro il Liverpool, peraltro ottimamente affrontato, hanno tolto punti importanti alla classifica. E’ stato un bel duello dove ha vinto non il più forte ma senz’altro il migliore a gestire risorse interne e avversari.

Anche la lotta per non retrocedere ha avuto l’esito che sembrava più probabile alla vigilia. Ma le modalità con cui è maturato il verdetto hanno dell’assurdo, con la Salernitana che viene strapazzata davanti al proprio pubblico da un’Udinese senza più obiettivi e il Cagliari che, sul campo del già retrocesso Venezia, non riesce a segnare quell’unico gol che gli sarebbe bastato per salvarsi. Così, alla fine, i campani festeggiano la loro lunga rincorsa dopo una delle peggiori partite disputate quest’anno e i sardi vanno alla deriva in laguna con una squadra che, a inizio stagione, in pochi pensavano che sarebbe rimasta invischiata nella melma della lotta salvezza. Misteri (e bellezza) di un calcio che finalmente si è dimostrato più sportivo, con un encomio particolare da porgere al Venezia, che nelle ultime due partite, ormai retrocesso, ha ostacolato la rincorsa della Roma al quinto posto e ha mandato in serie B i rossoblù. Lo stesso plauso va indirizzato all’Udinese, salva da tempo ma nell’ultimo mese corsara a Firenze e Salerno contro squadre con gli stessi obiettivi di Roma e Cagliari.

Lazio e Roma si sono qualificate per l’Europa League. Un risultato coerente coi valori delle rispettive rose, non competitive per poter rientrare nel novero delle pretendenti alla zona Champions e fortemente influenzate nel loro rendimento dalla personalità dei rispettivi tecnici. La Roma più che la Lazio, che continuando il rapporto con Sarri potrà assimilare ancor più in profondità i dettami del tecnico toscano, orientati alla costruzione di un calcio elaborato e basato su meccanismi che vanno a regime quando vengono sperimentati con frequenza in allenamento. Per Mourinho gli schemi sono meno complessi, e questo è stato confermato dal gioco espresso dai giallorossi in campionato, migliorato solo quando la condizione mentale della squadra, vero elemento differenziale nel lavoro del tecnico portoghese, è andata progressivamente a crescere.

L’ultimo posto valido per l’Europa l’ha conquistato la Fiorentina con una netta vittoria sull’involucro della Juventus, ormai in vacanza dopo lo sfumare dell’obiettivo terzo posto. Un premio meritato per la squadra di Italiano, la rivelazione positiva della stagione che sopravanza, invece, il club che, nell’alta classifica, più ha smentito le attese: l’Atalanta. Quello che poteva essere l’anno per provare ad andare ancora più in alto per i bergamaschi si è rivelato una via crucis costellata dagli infortuni dei suoi uomini migliori (Zapata e Ilicic su tutti) che hanno reso complicata la stagione soprattutto nei suoi snodi fondamentali. Senza dimenticare che anche le vicende societarie, per quanto non traumatiche, possono aver modificato gli equilibri di cui si era nutrito l’ambiente fino alla passata stagione.

Giornalista e scrittore, coltiva da sempre due grandi passioni: la letteratura e lo sport, che pratica a livello amatoriale applicandosi a diverse discipline. Collabora con case editrici e redazioni giornalistiche ed è opinionista sportivo nell’ambito dell’emittenza televisiva romana.
Nel 2018 ha pubblicato il romanzo "Ci vorrebbe un mondiale" – Ultra edizioni. Nel 2021, sempre con Ultra, ha pubblicato "Da Parigi a Londra. Storia e storie degli Europei di calcio".

Articoli recenti a cura di